Tre voci “disarmate” si interrogano su quali siano le strade più efficaci per creare un movimento per la pace duraturo. Betty Williams, premio Nobel per la pace, Elise Boulding, pacifista, e Daisaku Ikeda, filosofo e guida della SGI. Da questo incontro scaturiscono prospettive concrete di cambiamenti possibili
Il coraggio delle proprie idee
Betty Williams – Nata a Belfast nel 1943 iniziò la sua attività pacifista in Irlanda del Nord dopo aver assistito alla morte di tre bambini investiti da un’auto guidata da un latitante dell’IRA (Irish Republican Army), che aveva perso il controllo del veicolo dopo essere stato colpito dalla polizia britannica. È stata protagonista delle lotte nonviolente in Irlanda del Nord promuovendo raccolte di firme e marce per la pace.
Insieme a Mairead Corrigan Maguire, zia dei tre bambini investiti, ha fondato la Community of Peace People le cui attività e i risultati ottenuti in poco tempo valsero alle due fondatrici l’assegnazione del premio Nobel per la pace nel 1976.
Impegnata nella difesa dei diritti dei bambini, da allora ha viaggiato in ogni parte del mondo per combattere maltrattamenti e soprusi sui minori.
Nel 1997 ha fondato il World Centers of Compassion for Children International.Dall’incontro che ha avuto con Daisaku Ikeda nel 2006, è stato estratto questo brano.
Ikeda: Trent’anni fa, nel pieno dei conflitti armati che stavano insanguinando l’Irlanda del Nord, lei prese posizione da persona comune e con grande coraggio si dichiarò contraria alla violenza. Questo portò in seguito a una marcia della pace di trentacinquemila donne che attirò l’attenzione del mondo intero spostando l’opinione pubblica in una direzione diversa, quella della pace, e cambiando quindi il destino del mondo. Sia le donne cattoliche che quelle protestanti risposero al suo appello nello stesso identico modo, unendo le forze per lavorare concretamente alla pace. Come reagirono gli uomini a quella iniziativa?
Williams: Non molto bene a dire il vero, ma vorrei anche spiegarne il motivo. Se avessero partecipato alle nostre riunioni, rischiavano di essere uccisi, ma erano preparati per lavorare nell’ombra insieme a noi. Erano uomini molto coraggiosi e si rendevano conto che la forza del nostro movimento veniva dal fatto che eravamo donne e madri; in realtà fu questo a rendere il movimento così forte.
Ikeda: Che cosa l’ha fatta andare avanti nella sua instancabile attività in favore della pace?
Williams: Nel mio lavoro, proprio come nel suo, non si deve stare a sentire quello che dice la gente ma si deve avere il coraggio delle proprie idee. Si deve solo tener duro e non mollare mai.
Ikeda: Lei è stata capace di trasformare la sua rabbia per la violenza dilagante in Irlanda in una forte motivazione a lavorare per la pace. Il Buddismo insegna che la rabbia può avere sia risvolti positivi che negativi. Apprezzo il valore delle sue azioni intraprese in quella situazione: la rabbia per un grande male è un grande bene. La codardia è sempre sbagliata. Anche il nostro movimento si basa su questo spirito accompagnato da un coraggio invincibile.
Williams: La paura è contagiosa, ma lo è anche il coraggio che si trasmette da persona a persona e che aumenta sempre di più man mano che si va avanti.
Ikeda: Cosa le piacerebbe dire ai leader politici uomini?
Williams: Temo che sia ovvio, ma tutto si riconduce alla solita questione: «Basta con gli spargimenti di sangue!». Come donne è nostra responsabilità far sì che i leader che ricorrono alla violenza e alla prepotenza non vengano più eletti. E a questo si può arrivare solo e soltanto con l’educazione.
Ikeda: Come pensa che si possa realizzare e promuovere la pace?
Williams: Come lei sa, la pace non è qualcosa di statico. Per alcuni l’unico modo per concretizzarla è quello di guidare gli altri. Ma spesso ripeto che non si arriva da nessuna parte senza stare al fianco delle persone. I leader devono dare l’esempio per primi e poi sostenere tutti. Questa è la vera leadership. Insieme alle mie colleghe spesso diciamo che il nostro lavoro è paragonabile a quello di portare in cima a una collina un grosso peso camminando all’indietro e con i tacchi alti! E questo è molto impegnativo.
Una tenacia instancabile
Williams: Continueranno a esserci guerre finché gli uomini continueranno a pensare che la guerra è qualcosa di divertente. È questa mentalità che bisogna cambiare.
Ikeda: Le persone fanno le guerre e sono le persone che possono creare la pace. Noi pensiamo che il dialogo sia l’unico modo per cambiare il cuore delle persone e il mondo intero.
Williams: Alla fine la verità vince sempre. Quello di cui abbiamo bisogno è una tenacia instancabile.
Ikeda: Lei ha detto che l’esempio dell’Irlanda del Nord dimostra come il circolo della violenza aumenti di generazione in generazione. Secondo lei qual è la chiave per rompere questo circolo vizioso?
Williams: Per me, e questo è anche l’unico modo in cui riesco a lavorare, è rimanere fedeli alle proprie convinzioni e volere bene agli avversari, rispettarli. È veramente difficile da fare. Ricordo ancora un episodio: una volta fui aggredita verbalmente da un uomo molto violento e a un certo punto mi fu così vicino che pensai che mi avrebbe dato una testata o staccato il naso con un morso. Ma io rimasi calma, senza dire una parola. Alla fine la sua bocca deve essersi stancata di urlare e iniziò a parlare sempre più lentamente e alla fine indietreggiò. Lo guardai e gli dissi: «Ti voglio bene». Circa due mesi dopo quell’uomo diventò un operatore di pace.
Ikeda: Questo episodio è una lezione importantissima per tutti noi. Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai bambini del ventunesimo secolo?
Williams: Sono sicura che è lo stesso messaggio suo e della signora Kaneko: «L’unica via è la pace, non ce ne sono altre».
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Il ruolo centrale della famiglia
Elise Boulding – Elise Boulding (1920-2010) è stata una studiosa, un’attivista e una ricercatrice nell’ambito della pace. Il suo contributo alla creazione di una nuova disciplina nel campo delle scienze sociali, lo studio dei conflitti e della pace, l’ha resa una delle figure più influenti del movimento della pace del ventesimo secolo. Nata a Oslo è stata docente di sociologia al Dartmouth College e ha insegnato anche all’università del Colorado. Insieme al marito, l’economista Kenneth Boulding, anch’egli una personalità di spicco del movimento pacifista, Elise ha condiviso la fede quacchera che ha inspirato le sue attività per la pace. È morta a novant’anni, dopo avere terminato una serie di dialoghi per corrispondenza con Daisaku Ikeda, di cui fa parte il brano pubblicato. (Into Full Flower: Making Peace Cultures Happen, Dialogue Path Press, 2010)
Ikeda: La famiglia e il nostro quartiere sono fondamentali per diffondere la cultura della pace.
Boulding: Sì, senza la pace in famiglia e nel quartiere non possono svilupparsi neanche organizzazioni come le Nazioni Unite. Questo è il motivo per cui ho sempre cercato di conoscere i miei vicini. Dobbiamo conoscerci per essere in grado di aiutarci a vicenda. La pace non è solo una questione da affrontare nei periodi di guerra ma significa piuttosto darsi una mano nel quotidiano. In questo, la famiglia e il quartiere sono punti di partenza indispensabili.
Ikeda: Anche nella SGI si dà grande importanza ai quartieri, dove si promuove la pace, la cultura e l’educazione tra la gente. È basilare creare costantemente legami di amicizia nei nostri quartieri e incoraggiare sinceramente coloro che si trovano in difficoltà. Un movimento che non lavori a fianco della gente non potrà mai averne il favore. Bisogna sempre ricordare che la famiglia è la prima cellula sociale e come tale riveste un ruolo importantissimo. Per questo i suoi studi sono unici nel campo della pace perché fatti dal punto di vista di una madre. Lei ha messo in evidenza quanto siano fondamentali per una cultura di pace sia la famiglia che la missione delle donne.
Boulding: Sì, ma anche gli uomini hanno la loro missione come costruttori di pace. Nell’ambito della famiglia, vista come punto di partenza per costruire la pace, un padre ha la stessa importanza di una madre.
Fuori dalla famiglia, anche i padri devono imparare ad ascoltare. Per tradizione, anche se oggi molto meno che in passato, le donne passavano molto più tempo a casa con i figli e imparavano ad ascoltarli. Questo le ha rese delle ascoltatrici più attente rispetto agli uomini. Anche se le madri oggi passano meno tempo coi figli, da loro ci si aspetta comunque che siano buone ascoltatrici. In tutte le società, un modo per costruire una solida cultura di pace è che gli uomini trascorrano più tempo coi figli e imparino dalle donne a comprenderne i bisogni.
Ikeda: Lei insiste sempre sul punto che una cultura di pace inizia con l’ascolto degli altri e gli uomini, in questo ambito, hanno sicuramente molto da imparare dalle donne. Nel libro che abbiamo scritto insieme, Cittadini del mondo, la sua amica Hazel Henderson sostiene che il ventunesimo secolo dovrebbe vedere la collaborazione fra uomini e donne. Nichiren Daishonin visse nel tredicesimo secolo e già allora insegnava che non ci dovrebbero essere discriminazioni tra loro, pensando che entrambi possono contribuire alla società. Gli uomini devono rispettare le donne e una società che non valorizza le donne è destinata al degrado e al collasso.
Immaginare la pace
Ikeda: Quale consiglio potrebbe dare ai giovani? Da quale punto devono partire per iniziare il loro futuro?
Boulding: Prima di tutto devono immaginarsi un mondo senza armi. Poi devono cominciare a capire come realizzare un mondo di questo tipo. Benché molte persone la trovino un’idea inconcepibile, innanzitutto dobbiamo crearci l’immagine di un mondo molto diverso da quello odierno che funzioni senza l’apparato militare e che gestisca i conflitti in modo creativo. Mio marito diceva sempre: «Ciò che esiste è possibile». Pensi a tutti quei luoghi dove la gente vive in pace! E questo non solo è possibile ma è anche realizzabile.
Ikeda: Un messaggio splendido per i giovani. Le persone tendono a deprimersi pensando che il presente non si può cambiare e il futuro è già scritto. E così continuano ad andare avanti con la sensazione del tutto errata che la realtà non cambierà mai. Invece si deve immaginare un futuro armonioso tenendo gli occhi aperti sul presente.
Boulding: Negli anni Sessanta, durante un convegno di esperti dove venivano trattati gli aspetti economici del disarmo, chiesi come avrebbe funzionato il mondo senza le armi. La risposta fu che non ne avevano la più pallida idea. In realtà pensavano che l’obiettivo del loro lavoro fosse solo aumentare le possibilità del disarmo. Allora mi resi conto che molte persone che operavano nel movimento pacifista non avevano la benché minima idea di come potesse essere una società armoniosa. Come potevano darsi completamente a un movimento di cui non riuscivano a intravedere il risultato finale?
Ikeda: Non importa quanto possa essere appassionata la nostra ricerca verso la pace ma se non abbiamo chiaro dove andare, è impossibile raccogliere tutte le forze necessarie per trionfare nella dura realtà che ci troviamo ad affrontare: i nostri sforzi rischiano di scivolare nell’inerzia o diventare pura astrazione.
Boulding: Ero amica del sociologo olandese Fred Polak. Mentre si nascondeva dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, scrisse L’immagine del futuro, che vinse in seguito il premio del Consiglio d’Europa. Attingendo alla storia dell’umanità, Polak dimostrò che non importa quanto siano dure le problematiche da affrontare: se una società crede nel proprio futuro, esterna una capacità dinamica per superare creativamente le difficoltà. Allo stesso tempo osservò che le società che vivevano nell’indifferenza o nella paura non erano in grado di generare la forza necessaria per attuare un cambiamento positivo.
Ikeda: La passività e l’indifferenza che si riscontrano ovunque nella società moderna rappresentano un problema enorme. La pace, la cultura e l’educazione promosse dalla SGI vogliono contrapporsi a questa passività e stimolare il desiderio di un cambiamento su scala mondiale.
Boulding: La mia personale interpretazione del termine “cultura di pace” è quella di una cultura che promuove una diversità armoniosa, confrontandosi creativamente con i conflitti e le differenze che si riscontrano nella società, perché non esistono al mondo due esseri umani uguali. Essa coinvolge stili di vita, sistemi di credenze, valori e comportamenti; interessa anche l’assistenza promossa dalle istituzioni e il benessere e l’equa ripartizione delle risorse del pianeta tra tutti gli abitanti e gli esseri viventi. Questo è il lavoro che stiamo facendo per il mondo in cui viviamo.