Il desiderio di sperimentare con la vita il significato di una toccante frase di Gosho ha dato inizio a una serie di rivoluzioni anche nella professione
«Anche il Budda dimora nei nostri cuori, così come dentro la pietra focaia esiste il fuoco e dentro le gemme esiste il valore».
da Gosho di Capodanno, Il Nuovo Rinascimento, n. 350, pag. 18
«Anche il Budda esiste nei nostri cuori», questa frase, che considero un condensato del Buddismo, mi ha colpito fin dai primi tempi della mia pratica. Ero meravigliata e affascinata dall’idea che dentro questa vita, apparentemente piccola e insignificante, un punto nell’infinito spazio, avrei potuto trovare il Budda, la perfezione, l’illimitato potenziale della vita e dell’universo. Mi colpiva la “pazienza” di Nichiren, che mi convinceva della vera entità della mia vita, con delicatezza e leggerezza, usando numerosi esempi: la pietra focaia da cui scaturisce a sorpresa il fuoco, il tronco grezzo e duro del ciliegio da cui spunta imprevedibilmente un tenero “grazioso bocciolo”, il “puro fiore di loto” che ha origine dalla melma sporca… Era sorprendente e meraviglioso, così sono corsa a sperimentare se in questo “corpo alto cinque piedi” dimorava davvero lo splendore della natura di Budda.
Mi è piaciuta subito moltissimo la straordinaria semplicità del mezzo indicato da Nichiren per trasformare il cuore: non dovevo far altro che recitare Nam-myoho-renge-kyo, l’invocazione che “sveglia” l’innata natura di Budda. Iniziai a recitare Daimoku con la forza dell’istinto di sopravvivenza, come un’assetata nel deserto. Dentro mi sentivo come un fiore appassito e spento, ma sentii subito che con la recitazione la mia vita fioriva, si rivitalizzava, riceveva energia vitale allo stato puro. Quando sentii parlare delle quattro virtù del Budda, cominciai a recitare per sentirle; le cercai a una a una, orientando il Daimoku ora sulla “purezza”, ora sulla “felicità”, per arrivare al “vero io” e all’”eternità”.
Provavo gratitudine e sollievo infiniti. Funzionava: non capivo perché, ma la mia vita profonda sentiva l’infinito e straordinario potere di Nam-myoho-renge-kyo.
Sperimentai il Daimoku dapprima su alcuni aspetti apparentemente marginali della mia vita, poi puntai decisamente sui problemi di lavoro. Avevo urgente bisogno di cambiare la scuola che dirigevo: era un ambiente difficile, altamente conflittuale, da anni nell’occhio del ciclone. Il paese aveva bisogno di un bersaglio su cui sfogare le proprie contraddizioni e la propria impotenza culturale: la scuola catalizzava la sua sfiducia della gente verso ogni possibilità di cambiamento. Più che una scuola, sembrava una prigione o una tomba. Tutti stavano male.
Cominciai a recitare Daimoku intensamente, immaginando la scuola, i tetti del paese, il comune, la parrocchia… Volevo una scuola felice, alunni felici, genitori e insegnanti felici, un paese felice. Leggevo continuamente la frase introduttiva della Rivoluzione umana: «Una grande rivoluzione nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento nel destino di un’intera nazione e alla fine di tutta l’umanità».
Così mi sforzai di dare un enorme impulso alla mia rivoluzione umana, mi serviva più speranza, più compassione, più saggezza e soprattutto coraggio, coraggio e ancora coraggio. Ero felice, scoprivo che davvero “il Budda esiste nei nostri cuori” e scoprivo anche, con stupore e gratitudine, che – simultaneamente alla mia trasformazione – cambiava anche l’ambiente. Anche la scuola e il paese rifiorivano insieme a me. Fui felice quando nel 2000 la scuola promosse l’idea dei “Maestri di Pace” come simbolo dell’infinito potenziale inerente alla vita. Tra le varie iniziative gli alunni dipinsero per l’aula magna dei grandi quadri sui maestri di pace di tutto il mondo e nella parte inferiore delle pareti intagliarono nel legno la propria sagoma col dito additante i maestri. Così l’aula magna diventò il simbolo della relazione fra maestro e discepolo e fu dedicata a “Daisaku Ikeda, maestro di pace”.
La relazione maestro discepolo è l’asse della nostra rivoluzione umana e il pilastro della Soka Gakkai. Nel mio percorso ho sempre avuto il maestro nel cuore. In ogni battaglia lui è stato la mia bussola e la mia forza. Mi commuovo quando Ikeda parla della sua relazione con Toda e mi sforzo di sentire con la stessa profondità la mia relazione col maestro. A lui dedico le mie lotte e le mie sofferenze e percepisco l’eternità di questa relazione.
Ho incise nella mia vita le tappe dei miei incontri con lui. Quando l’ho visto a Milano nel 1992, ho deciso che lo scopo della mia vita era sentire il suo cuore. Nel 2000, quando l’ho rivisto in Giappone in un incontro con gli educatori, ha detto che affidava agli educatori italiani il testimone di kosen-rufu per l’educazione nel mondo; io lo sto seguendo e recito intensamente affinché noi italiani diventiamo davvero avanguardia di pace nel mondo.