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Voglio vivere così - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:35

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Voglio vivere così

Camilla Sanviti, Falconara Marittima (AN)

Ho iniziato a recitare Daimoku tutti i giorni con una forte determinazione che non sapevo di avere, sentivo che le mie paure avevano meno presa su di me e io mi rafforzavo sempre di più. In questo modo sono riuscita a ottenere una solida preparazione, superando i contrattempi e le difficoltà che immancabilmente sorgono quando vogliamo raggiungere una meta

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Ho iniziato a recitare Daimoku tutti i giorni con una forte determinazione che non sapevo di avere, sentivo che le mie paure avevano meno presa su di me e io mi rafforzavo sempre di più. In questo modo sono riuscita a ottenere una solida preparazione, superando i contrattempi e le difficoltà che immancabilmente sorgono quando vogliamo raggiungere una meta

Credere nell’immenso potere che è dentro la propria vita non è facile, soprattutto se non si ha mai avuto fiducia e stima di se stessi. Ho iniziato a praticare il Buddismo nel settembre 2008 e questa esperienza è la prova concreta della battaglia contro la mia oscurità.
Ho ventinove anni e, dopo cinque anni di Istituto d’arte, ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Ingegneria, senza pensarci troppo, tanto l’università andava fatta. La facevano tutti. Mi sono subito trovata di fronte a molte difficoltà, la mia preparazione precedente non era una base sufficiente per affrontare un simile corso di studi. In poco tempo ho iniziato a credere di essere un’incapace e che tutti si sarebbero fatti una sola idea di me: non valevo.
Questo mi ha portato a evitare il più possibile il contatto con i miei compagni di corso, a isolarmi e a frequentare la facoltà lo stretto indispensabile. Sostenere un esame davanti ad altre persone rappresentava un incubo per me: non volevo essere ascoltata nel momento in cui, di sicuro, avrei detto un’enorme sciocchezza.
Riguardo al mondo di Animalità Daisaku Ikeda dice: «Agire solamente in modo istintivo è un invito ai disastri e coloro che non riescono a fare a meno di seguire ciecamente i loro istinti non hanno controllo sul proprio destino» (R. Causton, I dieci mondi, Esperia, pag. 18).
Quindi, nonostante le mie paure, ho proseguito, ottenendo anche discreti risultati, anche se per me l’immagine della laurea rimaneva un miraggio. Finiti gli esami fattibili, sono arrivati i dolori. Ma non ero sola in tutto questo perché più andavo avanti più incontravo persone che, come me, erano rimaste indietro.
Studiare insieme agli altri era una cosa che non avevo mai fatto; trovare il coraggio di dire: «Fermi, io non ho capito» addirittura impensabile. Avevo sbagliato a scegliere Ingegneria e mi ero data il colpo di grazia quando non avevo trovato il coraggio di ammettere che non faceva per me.
Proprio durante la preparazione di uno di questi esami, incontrai il Buddismo di Nichiren. Ho iniziato a recitare Daimoku sperando in una miracolosa trasformazione: o tutto avrebbe iniziato a girare nel verso giusto o sarebbe accaduto qualcosa che mi avrebbe permesso di abbandonare gli studi.
In tutto ciò, gli incoraggiamenti dei miei compagni di fede sono stati importantissimi perché mi hanno fatto capire che la mia vittoria è anche la vittoria di tutti e che anch’io avrei potuto offrire qualcosa per aiutare ogni persona a sentirsi felice e superare i problemi della vita.
Così ho deciso di sfidarmi con il famoso “obiettivo impossibile”: superare il terribile esame di Tecnica delle costruzioni e addirittura prendere un voto alto. Non solo. Quello che avevo determinato era soprattutto di affrontare la preparazione con impegno, costanza, ma senza pesantezza, e di sostenere un esame che non doveva essere come un’interrogazione ma una chiacchierata con il professore.
Dietro all’obiettivo personale c’era però qualcosa di più grande e profondo: volevo poter credere davvero nell’enorme potenziale racchiuso dentro di me, nella mia Buddità. Volevo proprio “sentirla” anche per mostrare agli altri che se ci riuscivo io anche loro avrebbero potuto.
Spinta proprio da questo sentimento, ho iniziato a recitare Daimoku tutti i giorni con una forte determinazione che non sapevo di avere, sentivo che le mie paure avevano meno presa su di me mentre io mi rafforzavo sempre di più. In questo modo sono riuscita a ottenere una solida preparazione, superando i contrattempi e le difficoltà che immancabilmente sorgono quando vogliamo raggiungere una meta, ed è arrivato il fatidico giorno.
A differenza degli esami precedenti, mi sentivo tranquilla e ogni volta che sentivo un accenno dell’ansia, rileggevo le parole del Daishonin. Ecco quello che è accaduto.
Il professore ha deciso di far diventare il mio esame una lezione per gli studenti del suo corso; mi sono ritrovata in cattedra di fronte a circa venti studenti che mi guardavano curiosi e al professore, seduto in mezzo a loro. Non avevo paura di sbagliare quando il professore mi faceva le domande, non mi bloccavo se avevo qualche dubbio. Ero un’altra persona e me ne stavo rendendo conto. È stato l’esame più divertente che abbia mai sostenuto. Come se non bastasse, mentre il professore mi verbalizzava il voto, mi ha chiesto di me, dei miei esami e mi ha addirittura proposto la tesi insieme a lui. Ogni evento di quella giornata mi diceva che la mia pratica aveva svoltato, prendendo la direzione giusta. Io e il mio ambiente eravamo la conferma di questo.
Ora posso dire con certezza che il Buddismo, se lo vogliamo veramente, è in grado di portarci alla felicità, il che non significa non provare più dolore o sofferenza ma essere fermi di fronte agli eventi, consapevoli che potrebbe capitare qualsiasi cosa ma, nonostante ciò, rimanere forti, interi, completamente presenti e non in balia delle illusioni della mente. È così che voglio vivere la mia vita.

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Il sedici marzo: «We will do it»

Il 16 marzo 1958 Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, raccolse tutte le forze che la sua precaria salute gli concedeva e, durante un discorso tenuto davanti a seimila giovani, affidò loro il futuro della Soka Gakkai e il compito di realizzare kosen-rufu nel mondo. Due anni dopo, nel 1960, Daisaku Ikeda raccolse il suo testimone spirituale, diventando il terzo presidente della Soka Gakkai, all’età di trentadue anni.
Il 16 marzo, nella SGI è tutt’oggi considerato il giorno in cui i discepoli, in perfetta unità con il maestro, rinnovano la promessa: «Io realizzerò kosen-rufu!», impegnandosi a creare valore attorno a loro, a promuovere la pace attraverso il dialogo e la realizzazione individuale e a incoraggiare la comprensione della filosofia umanistica del Buddismo di Nichiren Daishonin.
Questo spirito si è conservato immutato nel tempo; cinquant’anni dopo, il 16 marzo 2008, in cinquemila, provenienti da trentacinque paesi europei, si sono radunati a Milano, al Forum di Assago, per rinnovare con coraggio la promessa: «We will do it!», di rispettare la vita, adoperarsi contro ogni forma di discriminazione, lottare per l’abolizione delle armi nucleari e diventare individui capaci e contribuire alla felicità degli altri.

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