I mezzi di comunicazione di massa trasmettono ogni giorno dati, e soprattutto opinioni, sulla crisi, spesso fornendo anche informazioni e interpretazioni contraddittorie. La chiave di lettura buddista del concetto di crisi è diversa: rappresenta un crocevia di fronte al quale ciascuno può scegliere da che parte andare e cosa fare della propria vita. Tenendo presente, come racconta Elisabetta, che il bivio non inizia «là fuori», ma «qui dentro il proprio cuore»
Meglio essere ottimisti e avere torto,
che essere pessimisti e avere ragione.
(Albert Einstein)
Crisi di valori. Crisi di governo. Crisi finanziaria. Crisi di mezza età. Crisi di vocazioni. Crisi politica. Crisi di panico. Crisi ambientale. Crisi della coppia. Crisi dell’occupazione. Crisi di nervi. In quanti diversi contesti usiamo questa parola? Ma soprattutto cosa significa?
La parola greca krisis fa riferimento al verbo krino che significa “separare” ma anche, in senso figurato, “scegliere”. Potremmo dire che indica quel momento decisivo che separa una maniera di essere o una serie di fenomeni da un’altra differente. Il termine inizialmente apparteneva al vocabolario giuridico e faceva riferimento a una situazione ancora aperta, in cui erano presenti diverse possibilità di soluzione.
Nella lingua cinese la parola crisi è composta da due ideogrammi: il primo (wei) indica pericolo, il secondo (ji) opportunità.
Quindi in realtà crisi non significa difficoltà o recessione ma punto di svolta. Come dice il filosofo Karl Jaspers, si tratta di «un momento in cui tutto subisce un cambiamento subitaneo, dal quale l’individuo esce trasformato, sia dando origine a una nuova soluzione, sia andando verso la decadenza» (Psicopatologia generale, ed. Il pensiero scientifico, Roma 1964, pag. 748). Rinascere o decadere dipende quindi sostanzialmente da noi, dall’atteggiamento col quale affrontiamo questo momento cruciale.
Per affrontarlo ci sono vari modi. Uno ad esempio è quello di negarlo, di ripetersi che non si tratta di uno snodo cruciale, ma di uno dei tanti momenti d’inerzia che fanno parte della vita e che quindi passerà in maniera naturale. Che tutto sommato non si può fare di più. Che basta avere pazienza.
Un altro è quello di non sentirsi all’altezza e trovarsi quindi incapaci di agire. Visto che si tratta di un momento cruciale, di una difficoltà nuova, quello che ci viene richiesto va oltre quello che sappiamo già fare. Allora pensiamo che non ce la possiamo fare, che non solo non sappiamo cosa fare ma non sappiamo neanche da che punto cominciare a pensare a cosa fare. È troppo difficile, non ci possiamo riuscire.
Magari invece vogliamo fare qualcosa. E ci proviamo a fare qualcosa. Ma i risultati non arrivano. Proviamo una soluzione, niente. Un’altra, niente. Un’altra ancora, un disastro. In questo caso vogliamo applicare strategie conosciute a qualcosa che invece non conosciamo. E i momenti eccezionali richiedono invece interventi eccezionali.
A volte però è proprio quando si tocca il fondo, quando non si ha più nulla da perdere, che le idee migliori iniziano a germogliare.
Come farle germogliare? Per noi che pratichiamo il Buddismo, la risposta è quasi scontata: recitando Daimoku.
Nel romanzo La nuova rivoluzione umana, Daisaku Ikeda scrive: «Quando le persone diventano pessimiste, è come se si celassero dietro una scura coltre di nubi che nasconde qualsiasi tipo di speranza. Il Buddismo è l’insegnamento del supremo ottimismo. Esso afferma che la Terra della Luce Tranquilla esiste in questo mondo di saha, cioè di conflitto, e che il peggiore degli uomini come pure l’individuo più sofferente possono diventare dei Budda. È un insegnamento che non contempla la disperazione, ma un’infinita speranza, e apre la strada verso una felicità senza limiti» (NRU, 6, 19).
Il modo in cui interagiamo con la realtà, col mondo circostante, avviene attraverso le cosiddette cinque componenti: forma, percezione, concezione, volizione e coscienza. Infatti la disarmonia delle cinque componenti è una delle otto sofferenze principali della vita, ma l’essere umano è considerato una “aggregazione temporanea” di esse. In pratica sono l’unione della nostra parte fisica e spirituale, indicano la nostra personalità e ciò che ci differenzia dagli altri; le cinque componenti si rivelano gli strumenti attraverso cui comprendiamo la realtà e gli eventi intorno a noi.
Quindi il modo in cui noi “percepiamo” una determinata persona o situazione, la “concezione” che ce ne facciamo e di conseguenza la “volizione” o azione che intraprendiamo dipendono dalla nostra soggettività, dal nostro stato vitale. Ed è evidente che uno stato vitale diverso, superiore, porti a idee e decisioni superiori.
Non esiste una realtà oggettiva, niente è per sempre – nel bene o nel male – e tutto passa attraverso la nostra personale conoscenza nel momento presente.
E se tutto cambia, anche noi cambiamo. E cambia quello che pensiamo, a volte dalla sera alla mattina, a volte nel tempo; in fondo anche la scienza ci dice che nel giro di sette anni le cellule del nostro corpo si rinnovano.
E se la nostra parte fisica ha bisogno di rinnovarsi, anche la nostra parte spirituale ha questa necessità. E spesso per farlo c’è bisogno di una crisi, di un momento di svolta, che ci spinga nell’angolo, che ci costringa a mettere da parte quello che siamo e ci sproni a guardare alle possibilità che abbiamo davanti.
Si dice che le difficoltà siano occasioni, ma è più facile dirlo che pensarlo.
In realtà le difficoltà non sono occasioni. E non sono nemmeno difficoltà. Sono soltanto momenti cruciali. La nostra cultura, la cultura occidentale, è fatta di dualismi che non si incontrano mai, bene-male, vita-morte, amore-odio, come se ogni cosa potesse essere definita, scontornata, incasellata, in una visione generale delle cose dove tutto o è bianco o è nero. Ma non è così. Le cose non sono bianche o nere, spesso sono una delle tante sfumature intermedie di grigio.
Anche la parola malattia, a farci caso, contiene la radice “male”. Eppure la malattia è un evento naturale e il problema sta solo nel fatto di riuscire a superarla. D’altra parte nel corso della vita superiamo tante malattie, piccole o grandi, uscendone via via rafforzati. È lo stesso concetto che sta alla base delle vaccinazioni: affrontare un virus, anche se in forma ridotta, insegna al corpo a riconoscerlo e a combatterlo. Forse potremmo dire che i momenti di crisi, in realtà, sono una specie di “vaccinazione spirituale”.
Qualche anno fa un quotidiano nazionale ha realizzato un’inchiesta sui vincitori delle lotterie e ha scoperto come quello che per molti è un sogno può trasformarsi in un incubo. In moltissimi casi infatti i vincitori nel giro di pochi anni finiscono i soldi: a causa di acquisti compulsivi, investimenti sbagliati o prestiti ad amici e parenti. Inoltre si registrano numerosi casi di divorzio o di cause legali intentate per i più svariati motivi, insomma anche vincere alla lotteria, di per sé, non è sempre una fortuna.
In effetti non sempre la fortuna si manifesta secondo le nostre aspettative.
A volte la fortuna è capire che nessuna difficoltà è più grossa del potenziale che abbiamo per superarla; è trovare il coraggio per affrontare una parte oscura della nostra vita; è comprendere che crisi in fondo vuol dire semplicemente decidere. Decidere da che parte andare.
Perché un bivio è un bivio e un bivio offre sempre due strade, due soluzioni, una scelta.
• • •
La gratitudine che rischiara il buio
Nel ’99, prima di iniziare a praticare, subii una truffa che mi vide protagonista di un protesto per alcuni assegni a vuoto. Dopo aver cominciato a praticare il Buddismo e aver messo la questione in mano a un avvocato, in attesa del processo, mi dedicai a rimettere in piedi la mia vita. Questo “sospeso”, affiancato dalla paura di future conseguenze, ha condizionato la mia vita per dieci anni e la resa dei conti è arrivata nel 2009. Non disponendo della cifra, avviai la pratica per richiedere la dilazione. Risultato: sei anni di pagamenti mensili. Questa cosa mi faceva enormemente soffrire. Ancora una volta mi trovavo di fronte a un debito che si sarebbe protratto negli anni.
A novembre muore mio padre. Scopro che avrei ricevuto una somma di denaro in eredità nella quale poteva rientrare anche l’estinzione del debito e decido di non pagare più le rate mensili, tanto avrei saldato il tutto a breve. Senza alcuna esperienza in merito mi illudo di concludere velocemente. Ma fino all’aprile successivo non riesco a entrare in possesso delle mie spettanze. Solo allora mi decido ad andare all’ufficio addetto dove scopro che non aver pagato le rate ha fatto cadere il mio diritto alla rateazione, per cui sono costretta a pagare anche la mora: 600 euro in più. Esco dall’ufficio nera con me stessa. Mi rendo conto che è proprio il mio atteggiamento rispetto al denaro a essere sbagliato, superficiale. Ma allo stesso tempo mi lamento pensando di aver ricevuto troppo poco di eredità. Mi sento profondamente insoddisfatta.
Il mio ichinen continuava a essere rivolto al passato.
Qualche giorno dopo partecipo a una riunione: argomento la gratitudine. Un bellissimo incontro nel quale mi colpisce principalmente un’esperienza. La persona raccontava di non provare più gratitudine in mezzo alle proprie difficoltà e quindi aveva recitato Daimoku per ricercarla.
Tornando a casa mi rendo conto che ho perso completamente questo sentimento e nei miei pensieri mi lamento spesso. Comincio a riflettere su tutti gli aspetti della mia vita e mi accorgo che il mio atteggiamento disfattista la fa da padrone un po’ dappertutto. Il giorno successivo mi metto a recitare con un diverso spirito e “parlandone” con il Gohonzon decido di fare questa stessa esperienza.
Recito Daimoku con riconoscenza verso la mia vita perché ho un lavoro, perché ho ricevuto una piccola eredità, perché ho costruito una vita felice che, ripensando al mio passato, non è proprio da disdegnare. Passano solo un paio di giorni che già mi sento meglio; improvvisamente è come se il mondo fosse più luminoso. Vista la mia tendenza poco incline al risveglio mattutino, non posso proprio dire che mi alzo volentieri, ma la fatica di vivere una nuova giornata non mi assale più.
Proprio in quei giorni ricevo una telefonata da mio fratello. Mi dice che ha chiamato l’agenzia delle entrate. Risulta esserci una differenza in nostro favore sulle tasse pagate. Il giorno dopo mi precipito all’ufficio, pensando che è veramente strano che dopo nemmeno un mese chiamino per restituire i soldi. Mi spiegano che la legge prevede dei benefici che nel conteggio non avevamo considerato e pertanto avevamo pagato più del dovuto. La differenza che ci rimborsano è di 1200 euro, 600 per me e 600 per mio fratello.
In quel momento mi colpisce la cifra e penso subito a una risposta del Gohonzon. Come se mi dicesse: «È il cuore che è importante». Quest’anno è con questo stesso spirito che ho deciso di fare zaimu.
In fondo l’abbiamo fatta mille volte questa esperienza, ma ogni volta è una strabiliante scoperta. È facile cadere nella trappola dell’oscurità e dei cattivi sentieri, trovarsi a guardare il bicchiere mezzo vuoto e non quello mezzo pieno. Credo che l’aspetto più bello e la ricchezza più grande che abbiamo nell’organizzazione siano proprio gli zadankai, i nostri gruppi. Gruppi di persone che lottano per fare la propria rivoluzione umana, raccontando le loro esperienze per incoraggiare gli altri.
Elisabetta G.