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Vincere con inventiva e creatività - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:19

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Vincere con inventiva e creatività

Anche se un’impresa sembra impossibile, raccogliendo la creatività, l’inventiva e maturando una determinazione risoluta si svilupperanno legami di forte unità e si raggiungeranno i risultati sperati

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Anche se un’impresa sembra impossibile, raccogliendo la creatività, l’inventiva e maturando una determinazione risoluta si svilupperanno legami di forte unità e si raggiungeranno i risultati sperati

Il Nuovo Rinascimento inizia la pubblicazione del terzo capitolo del volume 26, “Leader coraggiosi”.

Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[1] Le stelle che scintillavano nel cielo invernale erano bellissime. Nel silenzio, il suono lieve del frangersi delle onde riempiva l’aria pungente e le luci delle imbarcazioni lampeggiavano qua e là, mentre sul mare calava la notte.
Il 19 gennaio 1978 Shin’ichi Yamamoto, subito dopo le 17, arrivò alla stazione di Takamatsu e si diresse in auto al Training Center della Soka Gakkai di Shikoku che era stato appena inaugurato ad Aji-cho, nella prefettura di Kagawa. Quando arrivò, il sole era già tramontato, ma Shin’ichi volle soffermarsi nel giardino da dove si poteva ammirare il mare.
«È un posto meraviglioso…» disse rivolgendosi a Kazumasa Morikawa, responsabile generale della regione dello Shikoku.
«Sì, davvero… – rispose Morikawa -. Se ci fosse ancora luce, alla sua sinistra potrebbe vedere Yashima, dove ebbe luogo la famosa battaglia tra i clan Taira e Minamoto, durante la guerra Genpei (1180-1185). Questa zona è chiamata Funakakushi, letteralmente “luogo dove si nascondono le barche”, poiché si trova dietro il promontorio e si narra che i Taira vi nascondessero molte imbarcazioni».
«Ah, la battaglia di Yashima. Fu la battaglia in cui il valoroso condottiero Minamoto no Yoshitsune fece mostra di grande coraggio e abilità. Il clan Taira, insignito del titolo nobiliare di “Famiglia dei Taira”, divenne così potente che i suoi membri si consideravano superiori a tutti coloro che non facevano parte del clan, ma alla fine furono sconfitti, cosa che a quel tempo la maggior parte delle persone riteneva impossibile. È proprio come recita il detto: «Chi ha modi altezzosi non prospera a lungo». Le cause principali della sconfitta dei Taira furono l’arroganza e la negligenza che fecero dimenticare loro lo spirito della gente comune. Coloro che acquisiscono potere e autorità tendono a diventare capricciosi e indulgenti verso se stessi, si preoccupano solo dei propri bisogni e, di conseguenza, non riescono più a comprendere le sofferenze delle persone. Quando ciò accade, si allontanano dalla gente comune mentre la loro autorità comincia a sgretolarsi dalla base. È l’orgoglio la causa della rovina di queste persone».
Con un’espressione seria, Morikawa annuì e disse: «Questo è vero oggi come ieri».
«È proprio così. I leader devono restare sempre vicini alle persone e dedicarsi con tutto il cuore alla loro felicità. Devono avere sempre uno spirito indipendente, prendere l’iniziativa e guidare gli altri con l’esempio. Fu il vecchio generale Minamoto no Yorimasa, che allora aveva più di settant’anni, ad alzarsi dopo molti anni di sottomissione al capo militare Taira no Kiyomori, portando così i Minamoto a sconfiggere i Taira».

[2] Nel 1180 Minamoto no Yorimasa ricevette l’ordine dal principe Mochihito, figlio dell’imperatore Goshirakawa, di sconfiggere i Taira. Combatté con coraggio, ma in seguito alla sconfitta subita nella battaglia di Uji, si tolse la vita nel vicino tempio di Byodo. Grazie alla sua lotta determinata costatagli la vita, Minamoto no Yoritomo che era stato esiliato a Izu, suo cugino Minatomo no Yoshinaka che si trovava a Kiso e poi anche altri, iniziarono a prendere le armi contro i Taira. Il malcontento per la tirannia dei Taira era molto diffuso sia tra i samurai che tra il popolo ed era giunto il tempo di combattere. Ma c’era stato bisogno di una scintilla per dare il via alla ribellione dei Minamoto e questa scintilla era stata innescata da Yorimasa. La decisione coraggiosa di una sola persona accese la miccia che portò a un cambiamento epocale nel corso della storia.
L’anno seguente, il 1181, Taira no Kiyomori morì di un malore. Dopo aver sconfitto i Taira e conquistato la capitale imperiale di Kyoto, Yoshinaka divenne arrogante e prepotente. Venne nominato dalla corte imperiale shogun, comandante militare, ma poi fu attaccato e ucciso dal fratello minore di Yorimoto, Yoshitsune e da altri soldati di Minamoto per ordine di Yoritomo. Il clan dei Minamoto ricevette un’altra ordinanza dall’ex imperatore Goshirakawa affinché cacciasse i Taira. Yoshitsune allora attaccò il porto di Fukahara, da tempo una base del clan Taira nella provincia Settsu, nel mare interno di Seto.
Nel febbraio del 1184 i Minamoto fecero strage dei Taira nella battaglia di Ichinotani, nella provincia di Settsu, quando Yoshitsune attaccò a sorpresa dalla scogliera Hiyodorigoe. I Taira fuggirono a ovest, stabilendo la loro base principale a Yashima, nella provincia di Sanuki (l’odierna prefettura Kagawa, nello Shikoku), da cui controllavano il mare interno di Seto, e con una grande flotta cercarono di rafforzare la difesa dal mare. Yoshitsune non aveva possibilità di vincere una battaglia navale; perciò raggiunse lo Shikoku e si avvicinò a Yashima via terra con l’intenzione di attaccare il clan Taira alle spalle. Chi mira con tutto se stesso alla vittoria è in grado di raccogliere tutta la propria inventiva e creatività. Finché si è determinati, la sorgente della saggezza non si prosciugherà mai.
Nel cuore della notte si alzarono violente burrasche. Il mare era agitato da cavalloni bianchi di schiuma, ma il vento soffiava favorevole. Yoshitsune decise immediatamente di fare rotta verso lo Shikoku con le navi che aveva preparato. «Il nemico ora non ci aspetta. Non possiamo farci sfuggire questa occasione!». Rimproverando coloro che indietreggiavano spaventati dal forte vento, Yoshitsune uscì nel mare agitato con cinque sole barche. Le azioni valorose del giovane generale risvegliarono il coraggio nel cuore degli altri guerrieri.

[3] L’esercito di Minamoto no Yoshitsune salpò per la provincia di Awa nell’isola di Shikoku mentre infuriava una tempesta di vento. Le navi erano sballottate dal mare burrascoso. Fu un viaggio difficile, ma i venti favorevoli gli permisero di compiere la difficile traversata verso Awa in sole sei ore. Quando arrivarono, trovarono i rossi stendardi dei Taira che sventolavano nel cielo. Yoshitsune disponeva solo di cinquanta cavalli, sistemati in cinque navi; ciononostante, con i suoi uomini riuscì a disperdere l’esercito dei Taira e si fece strada via terra verso Yashima. Nel tragitto si unirono alcuni samurai locali e così crebbero di numero. La passione e l’unità attira le persone e genera sostegno.
Yoshitsune continuò a viaggiare anche di notte, attraversando la baia di Osaka, sul confine tra Awa e la vicina provincia di Sanuki, dirigendosi verso la spiaggia del sud di Yashima. Una volta lì, appiccarono il fuoco tutt’intorno. Vedendo il fumo sollevarsi in cielo e le crescenti fiamme che indicavano l’attacco dei Minamoto, i Taira furono presi dal panico. Abbandonarono il palazzo dove avevano insediato l’imperatore bambino Antoku e, insieme a lui, salirono a bordo delle navi fuggendo in mare.
Fino a quel momento i Taira erano stati sicuri che i Minamoto avrebbero attaccato attraversando il mare interno di Seto. Avendo una flotta più grande erano certi di poter vincere una battaglia navale, ma quella sicurezza si rivelò il loro punto debole. L’attacco alle spalle dei Minamoto li prese completamente alla sprovvista facendo perder loro ogni certezza.
In ogni battaglia ci sono svolte continue, inaspettate. In questi momenti agire con fretta eccessiva e lasciarsi prendere dall’agitazione o dal panico può condurre alla sconfitta. I Minamoto con unità di cinque, dieci soldati, avanzando velocemente nell’acqua bassa con i loro bianchi stendardi al vento, attaccarono i Taira che scappavano. Ai Taira sembrò un esercito enorme. Yoshitune dichiarò guerra e nello stesso momento una raffica di frecce partì dalle navi dei Taira ancora vicine alla riva e il combattimento cominciò.
Nel frattempo una parte dell’esercito di Yoshitune raggiunse la terraferma a Yashima, dove fu appiccato il fuoco al palazzo imperiale e ad altri edifici.
Osservando attentamente, l’esercito dei Minamoto era numericamente inferiore rispetto al grande esercito dei Taira. Quando i soldati dei Taira se ne accorsero, si pentirono amaramente di essersi ritirati così in fretta.

[4] I soldati dei Taira che si erano rifugiati nelle navi e l’esercito dei Minamoto, che aveva preso il controllo di Yashima, combatterono con archi e frecce tra la terra e il mare. Quando un soldato Taira scagliava una freccia contro Yoshitsune, i suoi vassalli anziani lo proteggevano come scudi umani. Uno di loro, Sato Tsugunobu, della provincia di Oshu, l’attuale Tohoku, fu trafitto da una freccia che entrò dalla spalla sinistra e lo trapassò fino al fianco destro. La battaglia era al culmine, ma Yoshitsune fece portare Tsugunobu nelle file posteriori del suo esercito e scese da cavallo. Con espressione addolorata, prese la sua mano: «Tsugunobu, come ti senti?».
Questi raccolse tutta la sua forza per rispondere: «Non ho rimpianti, mio signore, a parte il fatto che non vivrò abbastanza per poter vedere il vostro trionfo. È destino di un guerriero essere ucciso dalla freccia di un nemico. Inoltre si dirà che Tsugunobu ha partecipato alla battaglia tra i Minamoto e i Taira ed è morto in battaglia per salvare la vita al suo signore. Questo è un grande onore per un guerriero che mi accompagnerà nella prossima esistenza».
Tsugunobu era uno dei servitori più fedeli di Yoshitsune e lo aveva accompagnato per tutto il tragitto da Oshu. Yoshitsune guardò Tsugunobu divenire sempre più debole mentre parlava e iniziò a singhiozzare. Tsugunobu morì e Yoshitsune gli diede l’ultimo commiato con affetto. Ricompensò anche coloro che provvidero al funerale di Tsugunobu donando loro il suo cavallo preferito che aveva cavalcato nella battaglia di Ichinotani e la sella dai montanti d’oro. Tsugunobu aveva dato la vita per proteggere il suo signore e gli era stato fedele fino alla fine. Yoshitsune espresse la sua gratitudine e ripagò la fedeltà del servitore con grandissima sincerità.
Incitati da tutto ciò, gli altri samurai con le lacrime agli occhi giurarono: «Non esiteremo a mettere a rischio le nostre vite per il bene del nostro signore!». La vera forza di Yoshitsune risiedeva nel fatto di avere solidi legami con i suoi servitori. Questi legami non erano semplicemente dovuti al rapporto tra signore e servitore. Erano legami umani più profondi basati sulla fedeltà, l’affetto, la fiducia e il rispetto come esseri umani. Il coraggio dei servitori di Yoshitsune, che consideravano un onore il servizio al loro signore, forgiava legami indistruttibili che li rendeva impavidi persino di fronte alla morte.
Solo dove esistono legami da cuore a cuore nasce una forte unità.

[5] L’esercito dei Taira, battuto dall’esercito dei Minamoto a Yashima nel febbraio del 1185 grazie a una superiore strategia militare, si ritirò verso ovest nel mare interno di Seto. Un mese dopo, in marzo, fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Dannoura che segnò la fine del clan dei Taira. Contemplando il mare di notte dal Training Center di Shikoku, ad Aji, Shin’ichi Yamamoto rifletteva sulla battaglia di Yashima. Pensò tra sé: «La popolazione in fuga per l’attacco imminente deve essere stata terrorizzata vedendo le proprie case bruciare. Dopo i Taira, salirono al governo i Minamoto che misero invece al comando i samurai della corte reale. Ma l’epoca di un governo di rappresentanti del popolo era ancora molto lontana. Nichiren Daishonin nacque trentasette anni dopo la decisiva battaglia di Dannoura…». Riflettendo sul trattato del Daishonin Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese (Rissho ankoku ron), Shin’ichi disse: «È evidente che Nichiren Daishonin mirava a una società basata sul potere dei cittadini e ciò non soltanto nella sfera politica. Voleva vedere un mondo in cui tutte le persone comuni potessero godere di pace e prosperità e condurre vite felici. I sistemi sociali e le istituzioni sono necessari, ma ancor più importante è il cuore delle persone che regolano quei sistemi.
Per quanto un sistema sociale possa essere perfetto, c’è sempre la possibilità che le persone ne approfittino utilizzandolo per fini corrotti o che diventi mera formalità. La cosa fondamentale è riuscire a far sì che si affermi una filosofia di vita che insegni che gli esseri umani, sia il popolo che i governanti, sono ugualmente nobili e degni di rispetto; che insegni a mettere la compassione al centro della vita, coltivando l’empatia per gli altri e cercando di alleviare le sofferenze, a superare l’egoismo e l’insaziabile avidità.
Questa è la lotta per stabilire “l’insegnamento corretto” nella società, mentre “la pace nel paese” è la direzione che la società dovrebbe prendere basandosi su quel modo di vivere e pensare, creando felicità, prosperità e pace per tutte le persone. Non solo dal punto di vista politico, ma anche nel commercio, nella cultura, nell’educazione e in ogni sfera di attività umana.
Senza adottare l’insegnamento corretto non ci può essere vera pace nel paese, il contrario equivale a rendere il Buddismo privo di significato.

[6] La vita di Nichiren Daishonin fu un susseguirsi continuo di persecuzioni perché egli si batté con tutto se stesso per realizzare kosen-rufu e per stabilire l’insegnamento corretto per la pace del paese. In parole semplici, Nichiren, vedendo le persone soffrire per calamità naturali come terremoti, carestie e pestilenze, prese l’iniziativa di salvare tutti.
A quel tempo le scuole buddiste più diffuse assecondavano gli interessi delle autorità governative, non preoccupandosi affatto di tornare alle basi e provare la validità degli insegnamenti buddisti. Molte scuole buddiste del tempo esponevano insegnamenti che incoraggiavano le persone a evadere dalla realtà rendendole impotenti. Dopo aver esaminato approfonditamente gli insegnamenti buddisti per trovare quello che potesse davvero servire come base per la vita della gente divenendo una fonte di vigore e vitalità, il Daishonin iniziò una lotta per diffondere nel cuore delle persone il corretto insegnamento della Legge mistica. Iniziò con l’osservare i governanti della nazione e fece loro una rimostranza contenuta nel trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, perché era convinto che la filosofia abbracciata da chi deteneva il potere aveva un effetto enorme sulla vita di innumerevoli persone.
Il Daishonin era consapevole che confutando le autorità avrebbe richiamato su di sé avversione e dure persecuzioni; ma vedendo così tante persone soffrire di fame e malattie, sentiva che come buddista non poteva ignorare la loro condizione. Le sue azioni furono basate sulla grande convinzione e sulla compassione che si esprimono in queste parole: «Non ci può essere alcun dubbio che tramite questo atto la medicina davvero eccellente della Legge meravigliosa viene usata allo scopo di curare la grave malattia dell’oscurità che affligge tutti gli esseri viventi» (BS, 110, 63).
Questa era la determinazione del Daishonin ed è il corretto modo di vivere di un buddista. La coraggiosa propagazione del corretto insegnamento da parte del Daishonin causò violente persecuzioni che iniziarono con quella di Matsubagayatsu nel 1260, l’esilio di Izu nel 1262, la persecuzione di Komatsubara nel 1264 e finirono con quella di Tatsunokuchi e il conseguente esilio a Sado nel 1271. Durante la persecuzione di Tatsunokuchi la vita stessa del Daishonin fu messa a repentaglio. Scrisse a quel tempo: «Nel dodicesimo giorno del nono mese dello scorso anno, tra le ore del topo e del bue [dalle ventitré alle tre] questa persona chiamata Nichiren fu decapitata. La sua anima è arrivata in quest’isola di Sado» (L’apertura degli occhi, RSND, 1, 243). In altre parole, il Daishonin abbandonò la sua identità transitoria di persona comune e rivelò la sua vera identità di Budda dell’Ultimo giorno della Legge. Questo fu il suo hosshaku kempon (abbandonare il transitorio e rivelare l’originale).

[7] Il concetto buddista di “abbandonare il transitorio e rivelare l’originale” (hosshaku kempon) si riferisce al fatto di abbandonare un’identità transitoria per manifestare la propria vera natura di Budda. Nel momento in cui Nichiren Daishonin stava per essere decapitato a Tatsunokuchi, vicino a Kamakura, «una sfera brillante quanto la luna attraversò il cielo» (Le azioni del devoto del Sutra del Loto, RSND, 1, 682) proveniente dall’isola di Enoshima. L’oggetto brillante illuminò tutti i presenti come la vivida luce lunare. I soldati che stavano per decapitare il Daishonin furono momentaneamente accecati da quel bagliore, caddero a terra o scapparono via sparpagliandosi, presi dal panico. Sebbene il Daishonin gridasse: «Venite qui! Accostatevi!», si tenevano tutti a distanza. Egli gridò: «Dovete affrettarvi a giustiziarmi perché sarebbe indecente farlo dopo il levarsi del sole», ma nessuno rispose. Alla fine, non riuscirono a decapitarlo. Tutte le funzioni protettive della vita si attivarono per proteggere il Daishonin arrivando a smuovere il grande universo. Nel Sutra del Loto si legge: «La spada del boia si frantumerà in mille pezzi» (pag. 407). A Tatsunokuchi il Daishonin, che aveva instancabilmente lottato per condurre tutte le persone all’Illuminazione, abbandonò la sua identità transitoria di comune mortale per rivelare la sua vera natura di eterno Budda dal tempo senza inizio, in altre parole di Budda originale dell’Ultimo giorno della Legge. Rivolgendosi ai suoi discepoli, il Daishonin scrive: «Se hai la stessa mente di Nichiren, devi essere un Bodhisattva della Terra e se sei un Bodhisattva della Terra, non c’è il minimo dubbio che tu sia stato un discepolo del Budda dal remoto passato» (Il vero aspetto di tutti i fenomeni, RSND, 1, 341). Tutti i membri della SGI che si impegnano per kosen-rufu proprio come insegna il Daishonin sono Bodhisattva della Terra e la loro vera identità è quella di discepoli del Budda fin dal remoto passato. Il voto del Daishonin è che tutte le persone dell’Ultimo giorno della Legge possano fare il proprio hosshaku kempon come fece lui, abbandonino cioè l’identità transitoria per rivelare la propria vera identità. In altre parole, egli anelava a trasmettere a ogni singola persona la missione e la pratica dei Bodhisattva della Terra, aiutando ognuno a manifestare lo stato vitale della Buddità come discepolo del Budda dell’Ultimo giorno della Legge. Quando in seguito alcuni contadini suoi seguaci arrivarono a offrire con coraggio la propria vita per la Legge, durante la persecuzione di Atsuhara, il Daishonin vide con i suoi occhi lo hosshaku kempon dei suoi discepoli: la solidità della loro fede fu un esempio di come anche persone comuni potevano abbandonare il transitorio per rivelare l’originale. Ciò lo convinse che era giunto il momento di portare a termine il vero scopo del suo avvento in questo mondo.

[8] Durante la persecuzione di Atsuhara, i tre contadini suoi seguaci, Jinshiro, Yagoro e Yarokuro rimasero fedeli all’insegnamento nonostante le minacce e le pressioni e alla fine diedero la vita per il loro credo. In questo modo manifestarono il comportamento e la condizione vitale dei Bodhisattva della Terra e rivelarono la vera identità di discepoli del Budda originale, Nichiren Daishonin.
Il martirio dei tre contadini di Atsuhara non è semplicemente una vicenda dolorosa. Mentre affrontavano persecuzioni per la Legge, essi poterono stabilire nella loro vita lo stato vitale del Budda, uno stato di eterna e assoluta felicità che trascende tutte le sofferenze. Anche se i tre martiri furono uccisi, molti altri discepoli del Daishonin continuarono a lottare con altruistico impegno per affermare il corretto insegnamento. Fondamentalmente, ognuno di noi “abbandona il transitorio e rivela l’originale” quando determina fortemente di dedicarsi completamente a kosen-rufu e inizia a intraprendere azioni coraggiose e risolute in quella direzione.
Il primo presidente Tsunesaburo Makiguchi soleva spesso ripetere nel periodo del 1943: «La Gakkai deve fare il suo hosshaku kempon». A partire da Josei Toda, i discepoli di Makiguchi all’epoca non compresero il significato delle sue parole. In seguito, il potere autoritario del governo militarista giapponese iniziò ad accanirsi contro la Soka Gakkai infliggendole forti persecuzioni. Makiguchi stesso venne arrestato, ma era convinto che fosse quello il momento giusto per opporsi alle autorità e continuare a proclamare la verità del Buddismo del Daishonin. In seguito Makiguchi morì in carcere per la sua fede. Possiamo affermare che questo fu il suo hosshaku kempon, il modo in cui Makiguchi, il nostro eterno maestro, rifiutò il transitorio e rivelò il vero nella sua vita.
Toda, che era stato arrestato insieme a Makiguchi, dopo aver letto instancabilmente il Sutra del Loto e recitato Daimoku nella sua cella solitaria poté vivere la profonda esperienza di risvegliarsi alla propria vera identità di Bodhisattva della Terra. Nel luglio del 1945 uscì dal carcere e giurò al suo defunto maestro Makiguchi di realizzare kosen-rufu. Scrisse: «La nostra vita è eterna, senza inizio né fine. Sono ora consapevole del fatto che siamo tutti apparsi in questo mondo con la missione di propagare Nam-myoho-renge-kyo o i sette caratteri del Sutra del Loto nell’Ultimo giorno della Legge. In accordo con quanto affermato, la nostra vera natura è quella di Bodhisattva della Terra».
Questa consapevolezza, dopo la guerra, penetrò ampiamente fra i membri, ma rimase una consapevolezza individuale. Ancora non si era arrivati a realizzare lo hosshaku kempon della Soka Gakkai stessa. Questo perché la Gakkai nella sua interezza non era ancora matura per compiere le azioni finalizzate alla realizzazione di kosen-rufu.

[9] Nel 1951, sotto la direzione del secondo presidente Josei Toda, tutti i membri acquisirono una consapevolezza più profonda della propria missione per kosen-rufu e diedero inizio a un grande movimento di propagazione. Riguardo alla missione dei membri della Soka Gakkai, Toda disse: «Dal punto di vista dell’insegnamento – nel modo di agire noi siamo Bodhisattva della Terra, ma dal punto di vista della fede, della condizione vitale interiore, siamo gli inviati di Nichiren Daishonin, ovvero i suoi successori. Sia che ci troviamo di fronte ai Budda e bodhisattva delle dieci direzioni dei tre tempi di passato, presente e futuro, sia che ci troviamo nelle profondità dell’inferno, dovremmo recitare con voce risonante i sette caratteri del Sutra del Loto al Gohonzon che rispettiamo e abbracciamo come il nostro più alto privilegio». Inoltre, aggiunse a gran voce: «Non è forse proprio questo hosshaku kempon (abbandonare il transitorio e rivelare l’originale)?» e fece il voto di dedicare tutta la sua vita al Buddismo, ereditando le volontà del presidente Makiguchi come inviato per la propagazione di kosen-rufu in Asia. In altri termini, per noi hosshaku kempon significa decidere che kosen-rufu, cioè realizzare la felicità e la pace per tutte le persone, è l’obiettivo supremo della vita nonché la nostra missione, e portare avanti questa pratica coraggiosa nella vita reale. Significa dimostrare attraverso le azioni e il comportamento quotidiano che siamo i discepoli del Budda originale, Nichiren Daishonin. Shin’ichi Yamamoto, nel giardino del Training Center di Shikoku, osservando il mare di notte e rievocando il comportamento del Daishonin sulla spiaggia di Tatsunokuchi quando stava per essere decapitato, pensò alla sua condizione vitale di profonda gioia e considerò che poteva essere paragonata al sole che irradia la sua luce sulle tenebre dell’infelicità dell’Ultimo giorno della Legge, nell’attimo in cui il grande universo viene colorato di luce dorata. In quell’istante sul cielo sopra Seto apparve una luce. Era una stella cadente; e poi apparvero una seconda e una terza stella cadente. Nella sua mente Shin’ichi compose una breve poesia:

Mirando a rivelare l’originale
in una stella cadente
presso il Training Center di Aji.

Riflettendo sulla condizione vitale del Daishonin, Shin’ichi, che ora aveva cinquant’anni e stava per realizzare la nuova partenza del sistema dei capitoli nel secondo atto di kosen-rufu, fece il voto in cuor suo di dare inizio a una nuova sfida a un livello ancora più profondo per “abbandonare il transitorio e rivelare l’originale” nella propria vita così come nella Soka Gakkai.

[10] La sera del 19 gennaio Shin’ichi Yamamoto tenne un incontro informale con alcuni rappresentanti locali, a partire dal responsabile dello Shikoku, Seitaro Kumegawa, e il responsabile della prefettura di Kagawa, Taizo Sasaki. Dopo aver ascoltato l’opinione di tutti, anche in vista della partenza del nuovo sistema di capitoli, Shin’ichi volle sottolineare l’importanza dei consigli nella fede: «Per far sì che tutti possano godere di benefici e per far crescere persone di valore, i consigli nella fede sono di vitale importanza. Nella prima epoca del nostro movimento, il signor Toda affittò una stanza nell’edificio di Ichigaya – che ospitava anche gli uffici della Compagnia Daito, dove Toda svolgeva il ruolo di massimo consulente aziendale – e ne fece una succursale della sede centrale della Soka Gakkai [che allora si trovava a Nishi-Kanda]. In quella stanza, quasi tutti i giorni, Toda dava guide personali ai membri. Anche i responsabili venivano lì regolarmente per assistere con attenzione alle sessioni di guida del signor Toda. Osservando lui impararono come condurre le guide personali, che costituiscono la base fondamentale dell’attività della Gakkai. In seguito, dopo aver sviluppato a loro volta la capacità di dare consigli nella fede, quei responsabili iniziarono a dialogare con ogni singolo membro. I legami che si creano tra membri e responsabili più anziani nella fede attraverso le guide personali sono forti, mentre i legami basati solo su relazioni nate durante le grandi riunioni generali o le attività organizzative sono deboli, poiché attraverso di esse non è possibile costruire relazioni umane di autentica fiducia. Ho sentito di un membro che pratica da tanti anni che, trovandosi ad affrontare seri problemi di lavoro e dopo aver sofferto molto, si decise a chiedere una guida personale a un suo ex responsabile del capitolo precedente alla ristrutturazione dell’organizzazione, invece che al suo responsabile attuale. Ciò dimostra che i legami tra le persone nella nostra organizzazione non sono più forti come una volta. Ritengo che attualmente la percentuale delle guide generali date durante le riunioni corrisponda all’80%, mentre quelle date come consigli personali al 20%; ma se vi impegnerete nel ribaltare questa proporzione riuscirete a far crescere molte più persone di valore. La Gakkai diventerà ancora più forte e soprattutto voi responsabili crescerete enormemente. Non offrite soltanto consigli generici. È necessario stabilire una sincera relazione con i membri e continuare a sostenerli accumulando incoraggiamenti su incoraggiamenti per poter creare forti legami umani e costruire un’autentica rete di solidarietà tra le persone. La nostra società è alla ricerca di questo». Basandoci sul nostro senso di missione e lottando per la felicità degli altri possiamo creare profondi legami cuore a cuore e una vera rete umanistica di solidarietà tra esseri umani.

[11] Nel corso della riunione una responsabile della Divisione donne domandò: «Nella Gakkai sta avvenendo un cambio generazionale e anch’io sono stata nominata responsabile, nonostante sia ancora giovane. Qual è il modo migliore di relazionarmi con i membri anziani nella fede, ricchi di esperienze di vita, che fanno parte del gruppo consiglieri?». Shin’ichi Yamamoto sorridendo iniziò a rispondere: «Questa è una domanda importante riguardo all’assumersi una responsabilità nell’organizzazione. Innanzitutto, nel caso in cui si debba prendere una decisione, è importante consultarsi con i membri più anziani nella fede. Se questi si dovessero sentire ignorati o isolati, non potrebbe esserci unità; perciò è importante rispettare la loro opinione dicendo: “Io la penso così ma, dal tuo punto di vista, come membro anziano nella fede, potresti darmi qualche consiglio a riguardo?”. Inoltre, quando li incontrate a tu per tu, è importante che abbiate l’umiltà di dire: “Se hai delle indicazioni da darmi, per favore non esitare a farlo”. Poi, nel momento in cui otterrete dei risultati positivi nell’attività, esprimete loro la vostra gratitudine: “Grazie a te siamo riusciti a ottenere questa vittoria”; non semplicemente a parole, ma con tutto il vostro cuore. Ciò non riguarda soltanto chi fa parte del gruppo consiglieri, ma anche tutti coloro che si sono presi cura di voi, e tutti gli amici che hanno lottato insieme a voi, che sono sicuramente numerosi. Cercate di non perdere assolutamente il rispetto verso queste persone, né di comportarvi in modo arrogante, presumendo di essere superiori solo perché ora avete assunto una responsabilità più alta rispetto a loro. Se cadete in questo atteggiamento, darete solo prova della vostra stupidità e superficialità, e di conseguenza gli amici si allontaneranno e rimarrete soli. È importante mantenere questo tipo di pensiero: “Io sono stata nominata responsabile, ma ci sono tante altre persone che hanno molte più capacità di me”. Il punto fondamentale è riuscire a prendersi cura dei compagni di fede con cui siamo entrati in contatto finora e diventare persone attrattive. Questo è uno dei requisiti importanti per un responsabile». Shin’ichi rispose a tutte le domande con serietà. A volte raccontava le sue esperienze personali. I dialoghi cuore a cuore sono la forza motrice per un ulteriore sviluppo.

(continua)

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