A Parigi Yamamoto incontra Aurelio Peccei, uomo d’affari italiano che come Makiguchi e Toda aveva vissuto l’esperienza del carcere durante la guerra. Una grande persona impegnata nella creazione di presupposti per un futuro migliore e abituata ad affrontare di petto ogni problema. Fra i due uomini nascerà una profonda e duratura amicizia
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Terminato l’incontro, Shin’ichi [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.]tornò al Centro culturale di Parigi, dove poco dopo mezzogiorno doveva incontrare il cofondatore del Club di Roma Aurelio Peccei (1908-84).
Due anni prima, una volta concluso il dialogo intrecciato con Arnold Toynbee (1889-1975), lo storico britannico aveva consegnato a Eiji Kawasaki un biglietto indirizzato a Shin’ichi nel quale erano scritti i nomi di alcuni suoi amici. Egli sperava che il presidente Yamamoto, nonostante la sua fitta agenda piena di impegni, avrebbe trovato il tempo di incontrarli. Aveva manifestato anche la sua viva speranza che Shin’ichi suscitasse un flusso dinamico di dialogo in tutto il mondo.
I nomi che Toynbee gli aveva inviato appartenevano a numerosi pensatori e studiosi di spicco, fra i quali anche quello del dottor Aurelio Peccei (1908-1984), un importante uomo d’affari la cui convinzione era che, per coltivare la speranza di avere un futuro, gli esseri umani dovevano cambiare i loro stili di vita e realizzare una rivoluzione umanistica. Nel 1968 Peccei invitò un piccolo gruppo internazionale di pensatori provenienti dal campo accademico e industriale a incontrarsi a Roma, per discutere su come ridurre le minacce che pesavano sul futuro dell’umanità come lo spreco delle risorse naturali, la crescita incontrollata della popolazione e la distruzione dell’ambiente. Fu con quell’iniziativa che venne fondato il Club di Roma. Nel 1972 il gruppo pubblicò un rapporto dal titolo I limiti dello sviluppo che identificava le crisi che il mondo si sarebbe trovato a fronteggiare. Il rapporto avvertiva che, se trascurati, problemi come la scarsità di cibo, l’esaurimento delle risorse naturali e il degrado ambientale avrebbero bloccato lo sviluppo nell’arco di un secolo, creando una potenziale minaccia per l’esistenza stessa dell’umanità. Il rapporto suscitò preoccupazione in tutto il mondo.
Shin’ichi condivideva la stessa sensazione di crisi e si interessò molto a quel rapporto. Sentiva di dover parlare con Peccei. A nome di Shin’ichi, Kawasaki incontrò Peccei e gli parlò delle idee, degli obiettivi e delle attività della Soka Gakkai. Peccei si disse in sintonia con il movimento globale per la pace basato sulla rivoluzione umana della SGI, e inviò anche, alla prima Conferenza mondiale per la pace, tenutasi a Guam nel gennaio del 1975, un messaggio di congratulazioni nel quale esprimeva la propria solidarietà.
Nel febbraio del 1975 Peccei inviò a Shin’ichi una lettera in cui gli proponeva di avviare un dialogo: i due iniziarono a pensare a dove e quando incontrarsi, e in un primo tempo decisero di farlo a Roma. Shin’ichi aveva in programma la visita alla capitale italiana, dato che il Vaticano gli aveva trasmesso un invito ufficiale per incontrare il Papa. Riteneva il dialogo con il Cristianesimo fondamentale per raggiungere la pace nel mondo, convinto com’era che il dialogo interreligioso fosse un passaggio chiave per creare la comprensione e collaborazione fra soggetti diversi, necessaria a sostenere le persone e alimentare la pace. Shin’ichi era profondamente consapevole che l’unico modo per provocare un movimento per la pace mondiale, capace di crescita, era avviare un dialogo non solo con il mondo cristiano, ma anche con l’Islamismo, l’Ebraismo, l’Induismo e tutte le tradizioni religiose.
Erano già passati otto anni da quando aveva avuto i primi contatti con i portavoce del Papa. Attraverso un costante scambio di opinioni si erano trovati d’accordo sull’importanza di approfondire la comprensione tra Cattolicesimo e Buddismo, in modo da lavorare insieme a una base comune per la pace globale. Di conseguenza, nel 1975, mentre Shin’ichi si trovava in Europa, il Vaticano gli rivolse un invito ufficiale a incontrare il Pontefice.
Poco prima della sua partenza, però, il clero della Nichiren Shoshu aveva espresso forti obiezioni su questo incontro. Anche se profondamente dispiaciuto, non avendo la necessaria approvazione del clero, Shin’ichi non ebbe altra scelta che annullare l’incontro, nonostante l’importanza che questo avrebbe potuto avere per la pace nel mondo.
Inoltre, proprio prima della partenza per l’Europa, gli aeroporti italiani furono coinvolti da uno sciopero sindacale che sconvolse gli orari dei voli. Perciò, per evitare cambiamenti improvvisi che avrebbero influito negativamente sul resto del viaggio, e per non creare fastidio alle molte persone che aspettavano di incontrarlo, Shin’ichi decise di cancellare la sua visita a Roma. Chiese a un suo portavoce di recapitare a Peccei un messaggio in cui gli spiegava la situazione e porgeva le sue scuse. Peccei si offrì allora di recarsi lui a Parigi per incontrarlo.
Bellissimi fiori variopinti si cullavano nella brezza gentile mentre Aurelio Peccei giungeva al Centro culturale di Parigi il 16 maggio, poco dopo mezzogiorno. Quando quel gentiluomo dai capelli d’argento scese dall’auto, Shin’ichi lo accolse a braccia aperte: «Grazie di essere venuto fino a qui. Questo incontro è una delle ragioni che mi hanno condotto in Europa, dottor Peccei».
Peccei aveva sessantasei anni. Il suo successo negli affari lo aveva portato in tutto il mondo. Durante la Seconda guerra mondiale si era unito al movimento di resistenza antifascista e in seguito, imprigionato, era stato sottoposto a pesanti torture. Dopo la guerra, mentre faceva ricerche sulle crisi che aspettavano l’umanità, cercando un modo per arginare tali minacce, iniziò anche a sostenere la necessità di una rivoluzione umanistica.
Per prima cosa Shin’ichi accompagnò Peccei nella sala ricevimenti del Centro culturale. Peccei, che aveva in mano la traduzione inglese de La rivoluzione umana, gli chiese di firmarla. Così egli scrisse: «Al dottor Peccei, sostenitore e pioniere della rivoluzione umanistica, io, pioniere della rivoluzione umana, auguro sinceramente il successo nelle sue attività».
Spiegò quindi al suo ospite che il dialogo con Toynbee era uscito nell’edizione giapponese, e gli chiese di apporvi a sua volta una dedica. Peccei scrisse: «A sensei Yamamoto va la mia profonda ammirazione, insieme agli auguri più sinceri che il suo lavoro pionieristico e illuminato sia coronato da ogni successo».
Proprio quel giorno cadeva il compleanno della moglie di Peccei, e nonostante quell’importante evento familiare, lui era partito dall’Italia per incontrare Shin’ichi a Parigi: egli apprezzò moltissimo quel gesto.
Peccei era determinato a trovare un modo nuovo per impedire all’umanità di continuare a camminare sul sentiero dell’estinzione. Questa seria determinazione e forte senso di responsabilità brillavano nei suoi occhi, e per Shin’ichi fu perfettamente evidente.
Come dichiarò una volta Josei Toda: «Voi siete quelli che al mondo possiedono la filosofia di vita più grande per permettere alle persone di ottenere la felicità».
Shin’ichi era intensamente consapevole dei sentimenti di Peccei.
Si trovavano nella sala ricevimenti del Centro culturale di Parigi, e Shin’ichi Yamamoto disse ad Aurelio Peccei: «Mi dispiace che questa stanza sia così piccola. Ma il giardino è così bello, perché non ci sediamo là fuori?».
«Buona idea», concordò Peccei.
Nel giardino vennero sistemate sedie da esterno, un tavolino e un ombrellone, poi i due uomini si sedettero per dare inizio al loro dialogo.
«Finora – disse Peccei con calore – ho lavorato nella direzione di una rivoluzione umanistica, ma pensandoci bene sono arrivato a credere che in fin dei conti essa coincida con la rivoluzione umana di cui parla lei. Quale pensa sia la relazione tra le due?».
Shin’ichi annuì: «Per come la vedo io, una rivoluzione umanistica si fonda su una trasformazione della vita che faccia venir fuori la nostra umanità. Questo tipo di cambiamento basilare noi la chiamiamo rivoluzione umana. Di conseguenza, realizzare la propria rivoluzione umana è indispensabile per arrivare alla rivoluzione umanistica».
Ascoltando attentamente i commenti di Shin’ichi, Peccei sorrise e poi dichiarò che da quel momento avrebbe usato anche lui il termine “rivoluzione umana”. Egli osservò che l’umanità fino ad allora aveva sperimentato solo rivoluzioni orientate verso l’esterno, come la rivoluzione industriale e i conseguenti progressi scientifici e tecnologici. Poi sottolineò: «La saggezza necessaria per impiegare al meglio i risultati scientifici e tangibili di queste rivoluzioni rimane un argomento del tutto inesplorato».
Chiedendosi cosa fosse necessario per far sì che questi progressi tecnologici fossero adoperati in modo da contribuire alla felicità e al benessere dell’umanità, egli dichiarò: «Qui ci vuole una rinascita dello spirito, una rivoluzione all’interno degli esseri umani stessi. Ed è un concetto che lei, presidente Yamamoto, sta sostenendo da molti anni».
Sottolineò che ci voleva un’azione immediata, finché si era ancora in tempo.
Non solo Peccei conosceva le idee di Shin’ichi, ma era anche al corrente della ingiusta morte in prigione del primo presidente della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, come pure dell’incarcerazione del secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda. Egli lodò moltissimo Makiguchi e Toda per la loro salda opposizione alle autorità militariste del Giappone durante la Seconda guerra mondiale e per il loro assoluto impegno verso la verità e la giustizia.
«Lei stesso è un campione di giustizia e ha sperimentato un’ingiusta prigionia, non è vero?», chiese Shin’ichi.
Aurelio Peccei si era gettato anima e corpo nel movimento di Resistenza antifascista nella sua patria, l’Italia, e nel febbraio del 1944, all’età di trentacinque anni, era stato arrestato. A quel punto la Germania nazista governava nei fatti il Nord Italia attraverso il dittatore fascista Benito Mussolini (1883-1945), praticamente il suo burattino. In prigione Peccei era stato picchiato tanto da rendere il suo volto quasi irriconoscibile. Ciononostante, non aveva minimamente vacillato nel suo fermo impegno verso le proprie idee.
Riflettendo su quell’esperienza, Peccei disse: «In prigione tutto ciò su cui puoi contare sono le tue convinzioni e la tua umanità. Ho imparato che le persone abituate a dare ordini crollano facilmente, mentre coloro che sono tranquilli e non inclini a vantarsi tendono a essere forti, se sottoposti a una dura coercizione».
Stringendo il pugno con rabbia, aggiunse: «Odio i traditori più di ogni altra cosa».
Shin’ichi Yamamoto comprendeva perfettamente i sentimenti di Peccei. Anche lui disprezzava i traditori.
Ci fu un momento in cui, quando era giovane e lavorava per la società di Josei Toda, la situazione economica si fece difficile: molti impiegati abbandonarono Toda, e nell’andarsene espressero anche odio e disprezzo nei suoi confronti. Erano gli stessi uomini che fino ad allora avevano fatto proclami moralistici su come sarebbero rimasti fedeli a Toda per tutta la vita. Shin’ichi non dimenticò mai la rabbia e il rammarico che provò di fronte al loro tradimento e alla loro vigliaccheria.
Tradire qualcuno non è solo una sconfitta personale, ma ferisce anche gli amici. Niente è più esecrabile del tradimento. Come scrisse Eschilo, antico drammaturgo greco: «Non vi è infamia che maggiormente disprezzo [della slealtà di coloro che abbandonano gli amici]».
Peccei sopportò diversi giorni di tortura. Alla fine, dopo undici mesi di prigione, i suoi carcerieri lo rilasciarono in segreto, temendo le ritorsioni che altrimenti, una volta terminata la guerra, avrebbero potuto subire.
Pur affermando di aver sofferto terribilmente in carcere, Peccei riconobbe che quel calvario aveva rafforzato le sue convinzioni. Sottolineò inoltre che in prigione aveva trovato amici in cui sapeva di poter riporre una fiducia assoluta. «Ironicamente – disse – fui in grado di imparare persino dai fascisti».
Così dicendo sorrise, e scrollando le spalle aggiunse: «Ecco perché ora posso perdonarli».
Il dialogo tra Peccei e Shin’ichi toccò moltissimi argomenti: quanto fondamentali sono gli scambi culturali, in che modo l’istruzione avrebbe potuto fornire una prospettiva globale, come riuscire a comprendere le varie epoche, e le speranze che riponevano entrambe nelle Nazioni Unite e nell’UNESCO. Chiacchierarono a lungo piacevolmente, esprimendo nuove idee, prefigurando il cammino che l’umanità avrebbe dovuto percorrere, a partire dai problemi attuali, verso un domani più luminoso.
Quando l’argomento passò al ruolo futuro del Giappone, Shin’ichi disse: «Penso che il Giappone, invece che inseguire una leadership mondiale nella politica o negli affari, dovrebbe trovare una nuova direzione. La politica è sempre guidata dal potere, e gli affari dal profitto. A partire dalla Restaurazione Meiji, che aprì la strada alla modernizzazione, un secolo fa, il Giappone cercò di trovare il suo posto nel mondo attraverso il potere militare diventando una nazione concentrata sul militarismo. Dopo la Seconda guerra mondiale tentò la carta del potere economico, e questo ricercare la supremazia con tali mezzi portò i giapponesi a essere ridicolizzati da molti come puri “animali economici”.
«Nel futuro il Giappone dovrebbe cercare di dare il suo contributo all’umanità, all’interno della società internazionale, come portabandiera della pace e della cultura. Dovremmo spostare le nostre priorità dall’obiettivo del potere militare ed economico a quello di diventare una grande nazione di pace e cultura, che funziona da ponte culturale tra est e ovest, tra nord e sud. Per ottenere questo, dobbiamo poter offrire un’educazione umanistica alla pace basata su una prospettiva globale».
Shin’ichi vedeva nella cultura e nell’educazione i pilastri di un nuovo Giappone.
Come disse una volta l’educatore svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827): «Non può esserci salvezza che attraverso l’istruzione, attraverso l’allenamento della nostra umanità, attraverso la nostra cultura».
Il dialogo di Shin’ichi con Peccei era cominciato con l’argomento della rivoluzione umana, e sempre con quello terminò: nello stigmatizzare l’uso sconsiderato del tremendo potere della scienza e della tecnologia, che aveva portato l’umanità all’attuale crisi globale, Peccei sottolineò che la causa fondamentale di tutti i problemi citati era da ricercarsi nell’ego umano. Perciò, egli riteneva che la rivoluzione umana fosse necessaria per assicurare prosperità e felicità a tutta la famiglia umana. Il nostro futuro dipende da questo. Mentre parlava brillava nei suoi occhi una scintilla di grande fervore.
Shin’ichi Yamamoto parlò della relazione tra vera felicità e rivoluzione umana dalla prospettiva buddista: «Il Buddismo insegna che finché le persone sono dominate dai propri desideri e cercano la felicità nelle cose materiali o nelle circostanze esterne, non potranno mai ottenere la vera felicità. Ci insegna inoltre che il sentiero per la felicita è la costruzione di un’autonomia personale che non sia più schiava di desideri egoistici o impulsi istintuali, di una collaborazione con gli altri e di un’esistenza in armonia con l’ambiente naturale.
Questo tipo di vita si può ottenere cercando di allinearsi al principio eterno che esiste in tutti gli esseri umani e che realmente pervade e unisce l’intero universo. Questo, secondo il Buddismo, è il sentiero della rivoluzione umana. Senza una tale trasformazione interiore, i problemi che affliggono l’umanità sono irrisolvibili».