Fin da quando siamo piccoli, ci viene spesso rivolta una domanda: «Cosa vuoi fare da grande?». Io rispondevo “la maestra”, la volta dopo “la ballerina”, quella dopo ancora “la parrucchiera”. Da grande ho continuato a non avere le idee chiare. Per questo ho sempre invidiato chi, invece, a quella fatidica domanda rispondeva “l’infermiera” e infermiera lo è diventata davvero. Grazie al Buddismo e al legame con il mio maestro ho trovato però una soluzione: «Ognuno di voi – scrive il presidente Ikeda – ha una missione in questa vita che nessun altro può compiere. Tutti voi avete una vita che solo voi potete vivere rendendola una vita di valore. […] Continuate a credere in voi stessi, recitate Daimoku e affrontate a viso aperto le sfide che avete davanti, con tutta la vostra forza (Personalità e carattere, esperia, pag. 28-29). Anche nelle parole del Daishonin ho trovato ispirazione: «Qualunque cosa accada, mantieni sempre la tua fede come devoto del Sutra del Loto e rimani mio discepolo per il resto della tua vita. Se hai la stessa mente di Nichiren, devi essere un Bodhisattva della Terra» (Il vero aspetto di tutti i fenomeni, RSND, 1, 341). Quindi finalmente avevo una risposta. Non sapevo cosa avrei fatto da grande, ma sapevo chi ero: un Bodhisattva della Terra!
Nel Sutra del Loto questa è la descrizione che ne viene data: «Con salda forza di volontà e concentrazione / ricercano la saggezza con costanza e diligenza, / espongono varie dottrine meravigliose / e le loro menti sono libere dalla paura. / […] Hanno abilmente appreso la Via del bodhisattva / e come il fiore di loto nell’acqua non sono contaminati dalle questioni mondane. / […] Abili nel rispondere a difficili domande, / le loro menti non conoscono la paura. / Hanno coltivato con assiduità la perseveranza, / sono fieri di dignità e virtù» (SDL, 15, 304).
Avevo capito il mio “compito”, ma avevo qualche difficoltà nel metterlo in pratica
Durante una gita scolastica in quarta superiore ero in camera con due amiche. La mattina mi alzavo prima e, piano piano, recitavo Daimoku e Gongyo. Una delle due era Silvia, la mia migliore amica che, pur sapendo della mia fede, tutte le volte si arrabbiava perché il mio “brusio” la disturbava; l’altra, Laura, ne era affascinata. Le spiegai qualcosa, ma tutto rimase in quella stanza d’albergo in Francia. Dopo quattro anni, ci siamo ritrovate ad attraversare insieme le strisce pedonali davanti all’università e, senza troppi preamboli, mi domandò: «Ma sei sempre buddista? Mi ricordo ancora quello che mi avevi detto in gita sul Buddismo, la tua preghiera…». Quella volta ho capito la veridicità delle parole di sensei quando dice: «Parlando agli altri della Legge mistica piantiamo nella loro vita il seme della felicità, poniamo una causa che attiva la natura di Budda dentro di loro» (BS, 176, 69). Io ero più consapevole e lei anche. Quel semino che avevo piantato, era silenziosamente germogliato e, nel giro di qualche mese, Laura ha ricevuto il Gohonzon. Silvia invece ha visitato il Centro culturale di Firenze, ha recitato Daimoku molte volte con me e ogni mattina legge le guide del presidente Ikeda.
Negli ultimi mesi, ispirata dalla campagna giovani 2016 basata sul dialogo, e dalla necessità di allenare l’inglese e il francese a costo zero, ho deciso di impegnarmi in dei “tandem linguistici”: almeno una volta a settimana dialogo con una ragazza o un ragazzo stranieri e con ognuno condivido la filosofia buddista. Il messaggio di pace di sensei ha toccato il cuore di Arina di Mosca, di Olivier di Parigi, e della mia collega di master Stella, di Atene, che a breve riceverà il Gohonzon. Con Seema poi, la mia amica olandese, lo scambio continua a distanza.
Grazie a queste esperienze, dove ogni volta con coraggio mi metto in gioco non solo per la difficoltà di parlare di Buddismo in inglese o francese, ma anche perché spesso affrontiamo tematiche delicate come la morte o la guerra, ho scoperto un’altra fantastica caratteristica del Bodhisattva della Terra: la sua lingua è universale!
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