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Un'intervista sui terremoti - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:58

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Un’intervista sui terremoti

A seguito del terremoto dello scorso agosto che ha interessato alcune regioni del Centro Italia, abbiamo intervistato Guido Giordano, membro della SGI e ricercatore di vulcanologia presso l’Università di Roma Tre

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A seguito del terremoto dello scorso agosto che ha interessato alcune regioni del Centro Italia, abbiamo intervistato Guido Giordano, membro della SGI e ricercatore di vulcanologia presso l’Università di Roma Tre

Siamo ancora molto toccati dagli effetti dell’ultimo terremoto che ha colpito l’Italia centrale. L’animo umano tende a illudersi che vita e ambiente siano statici e quando si verificano eventi come questo ogni certezza svanisce…
La terra è viva, questo fa parte della natura. Il punto è che noi dobbiamo cercare di conoscerla, ascoltarla e imparare a conviverci, godendo dei suoi benefici e disturbandola il meno possibile. Un disastro naturale non è una fatalità e non va vissuto passivamente. È importante essere consapevoli del rapporto che ci lega alla natura e coltivarlo.

In che modo?
Rispettandola, costruendo case antisismiche, conoscendo le caratteristiche del proprio territorio positive e negative. Il Buddismo cerca di guardare le cose in modo “rotondo”, a trecentosessanta gradi. Noi vediamo positivamente le risorse e ci illudiamo di poter controllare i rischi, eppure le due cose sono connesse. Amatrice, l’Irpinia, il Friuli, Catanzaro sono luoghi ricchi di acqua, foreste, agricoltura proprio perché sono zone sismiche: quando la terra si solleva si formano le montagne, sulle montagne piove di più e maggiore è la pioggia più si formano sorgenti. Da sempre le comunità umane si insediano in luoghi che sanno essere anche pericolosi, perché la bellezza del paesaggio e le sue risorse superano di gran lunga i rischi.
Esistono due modi di rapportarsi con un territorio: uno basato su consuetudine e cultura – abito in un luogo sismico, perciò costruisco abitazioni e strutture idonee -; uno basato sull’arroganza – abito in un luogo sismico, ma cerco di dominare la natura -. Da questo nascono i problemi: basti pensare che in Italia norme antisismiche legate a una mappatura della pericolosità del territorio esistono solo da poco più di dieci anni e la protezione civile è nata solo dopo il terremoto dell’Irpinia (1980). Dobbiamo sviluppare la consapevolezza che i rischi esistono e che abbiamo bisogno di pensare in modo preventivo e di dotarci di strumenti per affrontarli.

Nel trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese (Rissho ankoku ron) Nichiren Daishonin spiega che la religione può far emergere la saggezza necessaria per creare un rapporto di valore con l’ambiente e non solo come reazione in seguito alle tragedie…
Nichiren esplicita in questo scritto come una società sana debba fondarsi sul profondo rispetto per la dignità della vita, e il presidente Ikeda ogni anno attualizza questo messaggio attraverso le sue proposte di pace indirizzate all’ONU, indicando i fondamenti spirituali, culturali, politici e giuridici su cui basarsi per sviluppare se stessi e rispettare la dignità di ogni individuo e dell’ambiente. In quella del 2012, ad esempio, Ikeda ha scritto di come si dovrebbe comportare una comunità esposta a calamità naturali, quando si perde tutto e ci si sente soli. Anche in quella del 2016 ne parla e negli ultimi anni ha sottolineato particolarmente il concetto di resilienza. Invito tutti a leggere queste proposte di pace.
La situazione che viviamo attualmente è espressione di ciò che siamo: purtroppo la tendenza a delegare è molto forte e in un certo senso comoda. Dobbiamo trovare la strada spirituale, culturale e pratica che faccia emergere il desiderio di partecipare alla vita della comunità, sostenendo un movimento popolare attivo. Noi buddisti dobbiamo essere i primi ad assumerci tale responsabilità, ognuno secondo le proprie caratteristiche.

Cosa possiamo fare concretamente?
Essere cittadini attivi permette di cambiare le cose e il Buddismo insegna che noi possiamo agire anziché subire. È importante conoscere se le nostre case sono antisismiche e se ci sono interventi strutturali che devono essere fatti per metterle in sicurezza. Come interagire con la natura dovrebbe diventare una materia scolastica, un bagaglio culturale come il corso antincendio o il massaggio cardiaco.
Quando parliamo dei danni al pianeta, dobbiamo capire che i primi a subirli, se non ce ne prendiamo cura, siamo noi. Può sembrare una cosa lontana finché non siamo coinvolti personalmente, ma il problema ci è molto più vicino di quanto pensiamo. Basta pensare allo smog, all’aria che respiriamo. Siamo come soldatini d’argilla rispetto alla Terra: preziosissimi e tanto fragili. Invece a livello sociale c’è superficialità e arroganza nel modo in cui utilizziamo ciò che la natura ci offre. Il Buddismo spiega che non c’è limite al miglioramento personale, ma c’è un limite alle azioni che possiamo compiere, dettato dal rispetto nei confronti dell’altro e della natura. Il dialogo tra il presidente Ikeda e Aurelio Peccei, cofondatore del Club di Roma, dà una prospettiva di questo argomento estremamente interessante (Campanello d’allarme per il XXI secolo, esperia, 2014). Tsunesaburo Makiguchi scriveva ne La geografia della vita umana che il rapporto con la natura è il più importante per un individuo e questo può essere utilitaristico o empatico. Il primo vede la natura come un oggetto da sfruttare; il secondo la cala in un rapporto dialogico in cui consumatori, cittadini ed educatori si domandano cosa comprare, come riciclare, cosa trasmettere. Questo punto di vista ci aiuta a vincere il senso di impotenza o passività che spesso ci assale di fronte ai temi che riguardano l’ambiente.

In che modo la pratica buddista aiuta a trasformare il rapporto con l’ambiente?
Come dicevo, ci si può sentire oppressi rispetto alla dimensione di un problema su scala globale (quanti soldi servono per mettere in sicurezza tutti i paesi? Come possiamo smaltire i rifiuti?). Nel momento in cui tante piccole isole, ognuno di noi, imparano a mettersi in rete, la forza del cambiamento è potente. I tre presidenti fondatori della Soka Gakkai, o figure come Mandela, Maathai, Gandhi hanno dimostrato che il cambiamento è orizzontale, non verticale, parte dalle persone comuni ed è l’unico veramente efficace e auspicabile. Dobbiamo attivare la rete di interdipendenza che ci unisce, mostrare l’esempio, oliare gli ingranaggi e crederci noi per primi. Noi praticanti del Buddismo della Soka Gakkai abbiamo un grande strumento, una bella possibilità e responsabilità.

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Dalla Proposta di pace 2012

«Cosa possiamo fare per contenere le tragedie che derivano sia dai disastri naturali sia dal complesso dei problemi mondiali? È chiaro che, se vogliamo impedire che le dimensioni della sofferenza aumentino ancora di più, se vogliamo che la parola “infelicità” non sia più impiegata per descrivere il mondo, dobbiamo sviluppare nuovi progetti e nuove risposte concrete.
[…] I disastri e le crisi portano alla luce le linee di faglia nella società che altrimenti rimarrebbero nascoste, rivelando la particolare vulnerabilità degli anziani, delle donne, dei bambini, delle persone con disabilità e di quelle emarginate dalle disparità economiche. […] Come esseri umani condividiamo quest’unico pianeta che alla fine tramanderemo ai nostri figli. Alla base di tutte le nostre azioni ci deve essere l’indispensabile e piena consapevolezza della totalità delle dimensioni dell’interconnessione della vita. […] Il Buddismo insegna che, indipendentemente dalle nostre circostanze individuali, possiamo sempre riscoprire in noi la capacità di aiutare gli altri, e ci assicura che chi ha sofferto di più ha diritto a una maggiore felicità».
(BS, 152, 11)

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