In occasione del Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, la città di Ravenna ha invitato il presidente Ikeda a intervenire con un suo messaggio
Congratulazioni vivissime per il “Dantedì”, la giornata nazionale che celebra il sommo poeta Dante Alighieri.
Questo evento, presenziato dal sindaco di Ravenna Michele De Pascale, al quale partecipano i ravennati e tutti coloro che condividono un legame con Dante, vuole rendere omaggio alla sua vita, trascorsa fino in fondo con il fervido desiderio di liberare le persone dalla sofferenza e condurle alla felicità.
Sono convinto che il significato di questa giornata sia ancora più profondo per il periodo storico che stiamo vivendo, caratterizzato da una situazione globale sempre più incerta.
Non c’è esistenza umana separata dalla terra.
Qui a Ravenna il grande poeta in esilio fu accolto calorosamente e, insieme a lui, la città è conosciuta in tutto il mondo per la sua gloria immortale come luogo storico dove Dante completò la Divina Commedia, il più grande tesoro dell’umanità.
In passato ho avuto l’onore di ricevere dalla città di Ravenna uno dei suoi più alti riconoscimenti: il “Mosaico per la pace”. Ammirando le due colombe che vi sono raffigurate, percepisco il meraviglioso e nobile spirito di pace e fraternità custodito dai cittadini di Ravenna, antica città d’arte che tanto amo.
Oggi, miei stimati amici e amiche, invio questo messaggio col desiderio di unire le nostre preghiere per eliminare la sofferenza e costruire la pace sul nostro pianeta.
Cinquant’anni fa, nel corso dei miei dialoghi con il celebre storico britannico Arnold J. Toynbee (1889-1975), gli domandai quale fosse il suo autore preferito. Egli rispose senza alcuna esitazione: «Dante».
«Perché?», gli chiesi. Toynbee spiegò: «Dante fu doppiamente sfortunato: prima perse la donna amata e poi fu ingiustamente esiliato da Firenze, la sua adorata città natale.
Tuttavia, se non avesse sperimentato queste sventure, la Divina Commedia non sarebbe mai venuta alla luce. Scrivendo questo capolavoro, Dante trasformò le sue sventure nella fortuna di milioni di persone in tutto il mondo. Per questo lo tengo in così grande considerazione».
Queste sono le parole di un grande studioso che non dimenticherò mai.
Ho incontrato Dante per la prima volta nella mia giovinezza. Nella società devastata subito dopo la Seconda guerra mondiale, studiavo e dialogavo con i miei amici alla ricerca di un nutrimento spirituale per colmare il vuoto che sentivamo nel cuore. I libri erano il mio più grande tesoro. Era un periodo in cui vagavo attraverso “la selva oscura della vita”, alla disperata ricerca della “corretta via”, come scrive Dante nell’apertura della Divina Commedia.
La mia anima fu profondamente colpita dal viaggio condiviso di maestro e discepolo uniti nella ricerca della giustizia e della verità. Dante scelse Virgilio come maestro, e anch’io avevo scelto come maestro di vita Josei Toda, un educatore con salde convinzioni umanistiche.
Toda si oppose al governo militarista giapponese durante la Seconda guerra mondiale e non si arrese mai, nonostante due anni di dura prigionia. Dedicò tutta la vita, fino alla fine dei suoi giorni, al movimento della “rivoluzione umana” portato avanti dalle persone comuni, animato dal desiderio di realizzare il “rinascimento spirituale dell’essere umano”.
Dante, impugnando le parole come armi, intraprese una tenace battaglia per la giustizia, contro i grandi mali del mondo che cercano di screditare i giusti e di trascinare la società nel caos e nel conflitto.
Egli non si curava di aspetti mondani quali la reputazione, il rango o la fama: cercava invece di osservare con profondo acume la vera natura di tutte le cose dalla prospettiva dell’eternità della vita, che va al di là del ciclo di nascita e morte.
Al tempo stesso, nonostante le oppressioni subite dal proprio paese e l’esilio dalla sua città natale, riuscì a stabilire nel cuore una vasta condizione vitale che gli permise di affermare che la sua casa era il mondo intero. Dichiarò infatti: «Non posso forse guardare il sole e le stelle ovunque io mi trovi? Non posso contemplare la dolce verità sotto ogni cielo […]?».
Dante, che trionfò sul suo destino crudele, affermò con forza che anche il destino dell’umanità può essere cambiato: «ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, / ma fa come natura face in foco, / se mille volte violenza il torza» (Paradiso, IV, 76-78).
Questa convinzione di Dante è in profonda sintonia con il nostro movimento per la pace, la cultura e l’educazione che si è sviluppato in Italia e in 192 paesi e territori del mondo.
“La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità”.
Lo spirito di Dante di giustizia e fraternità, tuttora vivo, qui, nella terra di Ravenna, settecento anni dopo la sua morte, offre ancora un’infinita luce di speranza all’umanità che sta affrontando grandi sfide.
Noi tutti, ora più che mai, dovremmo imparare dalla poesia e dalla vita di Dante per realizzare con grande determinazione un mondo di pace e felicità.
E ai giovani di tutto il mondo, che raccoglieranno la sfida di illuminare il ventunesimo secolo, desidero affidare la stessa corona d’alloro di “vincitore della vita” che cinge il capo di Dante.
Infine, vorrei concludere questo mio messaggio con alcuni versi della Divina Commedia che citai in chiusura della mia Lectio magistralis presso l’Università di Bologna, alma mater di Dante, il 1 giugno del 1994:
«“Non aver téma”, disse il mio segnore;
“fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogni vigore!”»
(Purgatorio, IX, 46-48)
Vi ringrazio per la gentile attenzione.
Daisaku Ikeda,
presidente della SGI,
25 marzo 2022