In piedi,
tra le rovine di Roma,
sento la certezza
che la Terra della mistica Legge
non perirà mai»
(NRU, 5, 108)
Nell’ottobre del 1961, durante la mia prima visita in Italia, scrissi questa poesia davanti al Foro Romano.
L’Arco di Trionfo si ergeva nella luce lunare, rammentandomi la crescita e la caduta di quel grande impero. Lì i miei pensieri viaggiarono verso il futuro, pensando al giorno in cui i pionieri di kosen-rufu, come emersi dalla terra, avrebbero iniziato a lottare per la realizzazione del loro nobile scopo.
Da allora sono trascorsi venti anni. Lo scorso maggio (1981, ndr.) ho nuovamente visitato l’Italia. Questa volta Firenze, la città dei fiori variopinti. Settecento membri hanno partecipato a un festival culturale a Villa Viviani, in un giardino coperto da una vegetazione lussureggiante.
Per la maggior parte giovani, nella culla del Rinascimento, questi bodhisattva hanno promesso di dare il via al secondo Rinascimento, il Rinascimento della vita.
Mitsuhiro Kaneda, direttore generale della Soka Gakkai Italiana, è un responsabile pieno di vigore. Lo incontrai la prima volta nel giardino del Centro di Parigi, nel maggio 1972, durante la stagione delle fresche e verdi foglie.
Si avvicinò dicendomi: «Sono Kaneda, vengo dall’Italia».
Lo salutai con una calda stretta di mano. Giovane snello e sincero, nel suo abito blu scuro e dietro gli occhiali sembrava un professore di liceo. Gli proposi di cenare insieme quella sera di primavera, ma per via del suo lavoro fu costretto a ripartire per Roma con il primo treno. Mentre lo vedevo andarsene, fui impressionato dalla giovanile energia di un uomo che cerca di fare shakubuku in un paese straniero.
Il signor Kaneda è originario dell’isola di Awaji che fa parte dell’arcipelago giapponese.
Dopo aver studiato all’Istituto di Tecnologia di Chiba si trasferì a Tokyo, in una piccola locanda nel quartiere di Bunkyo, dove iniziò a lavorare come apprendista cuoco. Entrò a far parte della Soka Gakkai nel marzo del 1965. Desiderando apprendere la cucina italiana, lasciò il Giappone con un biglietto di sola andata. Insieme a un suo caro amico, arrivò alla stazione di Roma Termini a settembre del 1969. Era determinato a diventare un cittadino del Bel paese.
Il signor Kaneda non sapeva neanche una parola di italiano. Doveva iniziare da zero. L’unica cosa che possedeva era un saldo spirito, sviluppato attraverso le sue attività di giovane responsabile della Soka Gakkai.
Dopo grandi sforzi alla ricerca di un lavoro, iniziò a fare il cuoco in un ristorante giapponese vicino Piazza di Spagna. Un giorno ricevette un pacco con vari numeri del Seikyo Shimbun, il giornale della Soka Gakkai, da uno studente di Tokyo. Pensando alle spese di spedizione in Italia, Kaneda gli chiese con gentilezza di smettere, ma lo studente continuò a mandargli i giornali. Con lacrime di gratitudine Kaneda giurò a se stesso di non tradire mai la cortesia di quello studente e di lavorare per kosen-rufu in Italia.
Nell’ottobre del 1970 tornò in Giappone per recarsi al Taiseki-ji. Allora fu nominato responsabile del primo capitolo italiano. Aveva trent’anni e sposò una ragazza giapponese, Kimiko. Insieme si avviarono sulla strada di kosen-rufu.
Kimiko faceva del suo meglio per risparmiare il denaro per permettere al marito di fare più attività possibile. La nuova coppia non aveva mobili; lei usava scatole di legno al posto di armadi e comodini. Per risparmiare i soldi necessari ai viaggi del marito, cucinava spaghetti quasi a ogni pasto. Mitsuhiro, che nei giorni feriali lavorava dal mattino fino a notte inoltrata, la domenica era solito compiere lunghi viaggi fino a Milano e Torino per visitare i membri. Il sabato notte, col treno, lasciava Roma per tornare poi il lunedì mattina a lavorare al ristorante.
Mai si è lamentato di queste circostanze.
Nell’estate del 1972, pochi mesi prima dello speciale pellegrinaggio per l’inaugurazione dello Sho-Hondo, incontrò un ostacolo. Al suo ristorante iniziò un lungo sciopero e rimasero solo tre cuochi, incluso il signor Kaneda che era il vice direttore. Agosto era il periodo più difficile: ogni giorno mangiavano al ristorante circa trecento turisti. E ogni giorno i tre cuochi lavoravano fino a essere completamente esausti.
Subito dopo questo mese così difficile, Kaneda si ammalò per il sovraffaticamento. Provava forti fitte al torace e alla schiena. Per quaranta giorni il suo letto si bagnava completamente di sudore. Pesava meno di cinquanta chili. Il giorno della partenza per il Giappone si avvicinava. Ventiquattro partecipanti stavano pregando per la sua guarigione.
Cinque giorni prima, con un profondo senso di responsabilità e pregando sinceramente, Kaneda si alzò decidendo di non rimanere più bloccato a letto a causa della malattia.
Ai membri tenne segreto di essere ancora malato e partecipò così a quello storico pellegrinaggio, confidando nella protezione delle divinità buddiste.
La fede di un uomo è messa alla prova dalle avversità.
Le lamentele rovinano le convinzioni di una persona, e un atteggiamento negativo rovina il suo carattere. Credere significa non lasciare che niente distrugga la propria fede; non vuol dire sfuggire o evitare le difficoltà.
L’esame radiologico rivelò che Kaneda stava soffrendo di nevralgia intercostale. Sapendo ciò, pregai ogni giorno per la sua pronta guarigione.
Sei mesi più tardi, nel maggio 1973, lo incontrai di nuovo al Centro di Parigi. Fu per me un sollievo vederlo pieno di salute. Mi porse una lettera con tre poesie che esprimevano i suoi pensieri, i suoi sentimenti, così come la sua determinazione per kosen-rufu. Vi era inclusa anche la sua risoluzione: «Dedicherò me stesso alla propagazione del Buddismo. Giuro al Gohonzon di diventare una pietra miliare per kosen-rufu in Italia».
Lessi queste parole che esprimevano la sua sincera convinzione. Gli sforzi sinceri di un responsabile cambieranno qualsiasi situazione, anche la peggiore, per il meglio.
In Italia, l’entusiasmo per lo shakubuku crebbe incessantemente e i membri iniziarono a impegnarsi con spirito alto.
Ottanta membri si riunirono nel novembre del 1976 a Poppiano, nei dintorni di Firenze, dedicandosi vigorosamente alla propagazione del Buddismo del Daishonin. Due anni dopo il capitolo diventò un hombu.
Il responsabile di questa nuova organizzazione fu il signor Kaneda, il vice il signor Tadayasu Kanzaki e la responsabile donne, la signora Amalia Miglionico.
Furono nominati anche i responsabili dei giovani uomini e delle giovani donne.
Così celebrarono il ventesimo anniversario della propagazione del Buddismo in Italia. Il signor Kaneda era allora un uomo economicamente indipendente, che dirigeva una propria compagnia di commercio di tonno, molto promettente.
Una sera, a Firenze, dopo una riunione per commemorare questo anniversario, stavo tornando verso il mio hotel con il signor Kaneda. Attraversando un viale delineato da alberi, arrivammo al fiume Arno.
Il sole stava tramontando dietro la collina. Ponte Vecchio, il ponte a due piani che vive fin dai tempi di Dante, brillava di uno speciale splendore.
«Avremo bel tempo domani, signor Kaneda». Dissi ciò a un uomo taciturno che sorrise, un sorriso insolito per lui. La sua mente sembrava occupata dagli eventi del giorno seguente. Guardai il suo profilo, lucente nel sole del tramonto.
Dato che ti alzi
per kosen-rufu d’Italia,
il tuo nome vivrà per sempre
e le divinità buddiste ti loderanno.
Gli scrissi questa poesia per commemorare il ventesimo anniversario dell’Italia.
Lo scorso dicembre (1981, ndr.), la Soka Gakkai Italiana è stata legalmente riconosciuta e il signor Kaneda è stato nominato direttore generale.
Una grandissima percentuale della popolazione italiana è cattolica.
Kosen-rufu è ancora lontano, ma i membri non dovrebbero esserne scoraggiati.
«Roma non fu costruita in un giorno», dice il proverbio.
Spero che i membri italiani saranno amici l’uno dell’altro e saranno uniti, avanzando passo dopo passo verso kosen-rufu nel ventunesimo secolo.
(tratto da Il Nuovo Rinascimento, giugno 1982)
