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Una strada a due corsie - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:28

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Una strada a due corsie

La calorosa accoglienza riservata al presidente Yamamoto e al suo gruppo per la loro terza visita rafforza le reciproche intenzioni: aumentare gli scambi culturali e trasformare la diffidenza in fiducia. «Per fare questo – dice Shin’ichi – sia la Cina che il Giappone devono coltivare lo stesso impegno nel promuovere l’amicizia»

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La calorosa accoglienza riservata al presidente Yamamoto e al suo gruppo per la loro terza visita rafforza le reciproche intenzioni: aumentare gli scambi culturali e trasformare la diffidenza in fiducia. «Per fare questo – dice Shin’ichi – sia la Cina che il Giappone devono coltivare lo stesso impegno nel promuovere l’amicizia»

Dopo il brindisi Shin’ichi [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.] si alzò per parlare. Prima comunicò tutta la sua felicità per essere riuscito a compiere il terzo viaggio in Cina a meno di un anno dalla prima visita. Dopo aver espresso profonda gratitudine per la bella accoglienza che aveva ricevuto ogni volta, Shin’ichi si disse determinato nel rafforzare sempre di più il ponte dorato di amicizia e pace che univa il Giappone alla Cina.
Poi raccontò che le relazioni accademiche bilaterali avevano compiuto un passo ulteriore quella primavera, grazie all’ammissione all’Università Soka di un gruppo di studenti cinesi che si sarebbero assunti la responsabilità del futuro del loro paese.
Osservò Shin’ichi: «Ho incontrato gli studenti. Giovani meravigliosi che, ne sono certo, avranno un ruolo importante nel futuro della Cina. Sento che loro sono la speranza per il futuro. Mi sento pieno di gioia quando penso ai forti legami di amicizia che si formeranno tra questi studenti cinesi e gli studenti giapponesi nel periodo in cui vivranno e studieranno insieme. Sono determinato a fare del mio meglio per essere all’altezza della fiducia e dell’amicizia che la vostra nazione ha riposto nell’Università Soka».
Tutti i presenti applaudirono con calore a quella promessa di amicizia. Shin’ichi ringraziò con un inchino e riprese a parlare: «Dobbiamo perseverare nell’impegnarci ad aprire questa strada, per il bene del futuro e dei giovani: i nostri sforzi porteranno in futuro a risultati meravigliosi. È una gioia profonda per me dedicare la vita a far sì che crescano giovani capaci di accettare la missione di sviluppare l’amicizia tra Giappone e Cina.
«Durante questo mio viaggio visiterò l’Università Wuhan e l’Università Fudan a Shanghai. In entrambi gli atenei spero di dare inizio a un programma di scambio didattico e culturale simile a quello di cui già godiamo con l’Università di Pechino. Sono determinato a riversare tutta la mia energia nell’assicurare la prosperità e la pace ai nostri due paesi e allo sviluppo dei giovani che prenderanno il nostro posto».
Nel classico storico cinese I fondamenti di governo nell’epoca Chen-kuan si trova questo passo: «La chiave per creare una nazione pacifica è trovare persone dotate di talento». Per creare un mondo pacifico, Shin’ichi aveva deciso di fare dell’educazione il fine ultimo della sua esistenza, e ora stava compiendo con serietà i primi passi per aprire un ampio flusso di scambi didattici.
Finiti i discorsi di apertura, gli ospiti del ricevimento iniziarono a parlare fra loro.
Shin’ichi era seduto allo stesso tavolo di Zhao Puchu (1907-2000), vice presidente dell’Associazione Buddista Cinese, con cui iniziò a parlare del Sutra del Loto. Durante la prima visita di Shin’ichi a Pechino, Zhao Puchu lo aveva accompagnato a visitare il Palazzo d’Estate, il giardino e il complesso principesco alla periferia di Pechino dimora dell’imperatrice Dowager Cixi (1835-1908) della dinastia Qing. In quell’occasione i due avevano già parlato del Sutra del Loto. Ora, al ricevimento, sembrarono riprendere quella conversazione esattamente dal punto in cui l’avevano lasciata. Discutevano della frase d’apertura del secondo capitolo “Espedienti” del Sutra del Loto, che Shin’ichi declamò in giapponese come niji seson, e l’interprete cinese tradusse a Zhao, pronunciandola in cinese: ershi shizun. Allora, Zhao citò immediatamente le parole successive in cinese, cong sanmei. Evidentemente Zhao riconosceva il profondo significato del sutra e ne aveva memorizzate alcune parti. Shin’ichi e Zhao parlarono anche delle distinzioni tra gli insegnamenti fondamentali e teorici nel sutra, del significato dei capitoli secondo e sedicesimo “Durata della vita del Tathagata” e della teoria dei dieci mondi.
Shin’ichi spiegò: «Il Sutra del Loto può essere considerato come un insieme di princìpi che chiariscono la natura della vita umana. Il mio maestro Josei Toda, che fu arrestato e imprigionato per il suo credo dalle autorità militari giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, determinò di leggere il sutra con tutto se stesso. Mentre era in prigione recitò continuamente Daimoku, che deriva dal titolo del sutra, e lesse il sutra in profondità. Questi sforzi lo portarono a comprendere che il Budda è la vita stessa. Sulla base di questa intuizione egli fu in grado di far rivivere il Buddismo come filosofia di vita contemporanea e universale. Il fatto che la Soka Gakkai riuscì a svilupparsi in ciò che è oggi si può attribuire direttamente al risveglio che il mio maestro sperimentò in prigione».
Ascoltando con attenzione le osservazioni di Shin’ichi, Zhao Puchu rispose: «Credo che una ragione fondamentale di crescita della Soka Gakkai sia stato il fatto che lei, come discepolo di Toda, è riuscito a sviluppare il Buddismo in una forma ancora più accessibile alla gente di oggi. Rimango spesso colpito dalle nuove prospettive sul Buddismo che intravedo ascoltando la sua visione di questa filosofia. Davvero, il Buddismo non è semplicemente pura interpretazione di testi sacri. Se non si rendono attuali i suoi insegnamenti, non può essere una filosofia di vita per la gente di oggi».
«Sì, – rispose Shin’ichi – questo tipo di trasformazione è fondamentale. È mio profondo desiderio dirigere l’attenzione del mondo sull’essenza del Sutra del Loto, un insegnamento che ha ricevuto proprio nel suo paese una sistematizzazione importantissima».
«Spero che lo faccia», commentò Zhao Puchu, guardandolo fisso.
Il dialogo è come il fluire di un’onda. Proprio come il suo movimento continuo, alla fine, cambia forma alle rocce, così un dialogo sincero e sentito riesce a trasformare la diffidenza in fiducia. Il viaggio di Shin’ichi Yamamoto in Cina aveva proprio lo scopo di alimentare il dialogo.
La mattina del giorno dopo, il 15 aprile, Shin’ichi ebbe un amichevole scambio di idee con il vicepresidente Zhang Xiangshan e altri rappresentanti dell’Associazione per l’amicizia cino-giapponese presso l’Hotel Pechino. Sempre con l’attenzione rivolta al cercare nuove strade per costruire pace e amicizia durature tra Giappone e Cina, ebbero un efficace confronto di opinioni su vari argomenti: la questione degli scambi bilaterali, le relazioni della Cina con l’Unione Sovietica, le preoccupazioni vitali per l’Asia e il mondo.
Shin’ichi sottolineò che la Cina avrebbe fatto bene a sviluppare un percorso di pace e amicizia sia con l’Unione Sovietica che con gli Stati Uniti. Anche i cinesi lo misero a conoscenza con franchezza del loro punto di vista su varie situazioni nazionali e internazionali e affermarono la propria intenzione di cercare la pace, per quanto difficile questo potesse essere.
«Il punto cruciale – aggiunse Shin’ichi con enfasi anche maggiore – è come fare in modo di evitare la guerra. Bisogna concentrarsi sull’obiettivo della pace senza confondere il mezzo con il fine. In altre parole, piuttosto che pensare in termini astratti, quali passi concreti può compiere la Cina per realizzare questo obiettivo?».
Finché le discussioni rimangono a livello di analisi e critica, o sfociano in conclusioni astratte, non ci sarà alcun vero progresso nella soluzione dei problemi. La cosa importante è ciò che si può fare subito, a partire da oggi. Questo era, nella mente di Shin’ichi, un credo personale sempre presente. Il tempo vola con straordinaria rapidità. Come scrisse il Petrarca (1304-74): «Mirate come ‘l tempo vola, et sì come la vita fugge».
Shin’ichi formulò poi con chiarezza la propria determinazione e l’azione che si proponeva di intraprendere: «Da privato cittadino intendo promuovere lo scambio tra i popoli per creare un movimento per la pace mondiale. Soprattutto, da ora in poi, desidero visitare quei paesi che hanno una lunga storia di invasioni e di oppressione, e costruire innumerevoli ponti di pace e amicizia. Il genere umano deve porre fine ai cicli ripetitivi di conflitto, antagonismo e guerra. Voglio che accada questo». Due ore e mezza passarono in un lampo.
Quel pomeriggio Li Fude, membro del consiglio dell’Associazione per l’amicizia cino-giapponese, accompagnò Shin’ichi e il suo gruppo al Museo del Palazzo nella Città Proibita. Era la seconda volta che Shin’ichi lo visitava, perché era incluso nel tour del suo primo viaggio in Cina nel maggio precedente, nel 1974.
All’arrivo al museo, poco dopo le tre del pomeriggio, furono accolti da Wang Yeqiu, direttore del Dipartimento nazionale per la gestione e il recupero, e dal curatore del museo Wu Zhongchao. Per Shin’ichi e il direttore Wang Yeqiu fu una piacevole occasione di rivedersi, dato che si erano già incontrati durante la visita di Wang in Giappone l’autunno precedente.
Nel presentare il direttore del dipartimento, Li aveva spiegato che Wang occupava una posizione di responsabilità nel consiglio di stato cinese per quel che riguardava manufatti storici e opere d’arte, lasciando intendere che la carica era equivalente a quello di un ministro nel governo giapponese.
«Presidente Yamamoto – disse Wang – vorrei mostrarle alcuni oggetti che di solito non vengono esposti al pubblico».
Il direttore Wang e il curatore Wu fecero personalmente da guida a Shin’ichi e al suo gruppo durante la visita. Gli accompagnatori di Shin’ichi rimasero colpiti da quell’accoglienza.
Tra i tesori che furono loro mostrati c’erano manufatti provenienti da quella che si immagina sia la tomba del defunto principe Liu della dinastia Han (202 a.C.- 8 d.C.) e di sua moglie, riportata alla luce nel 1968 nella contea di Mancheng, nella provincia di Hebei. Uno dei discendenti del principe fu Liu Bei (161-223 d.C.), che compare come figura eroica nel poema epico cinese Il romanzo dei tre regni. Shin’ichi provò una grande emozione per l’evidente legame con quel romanzo, che aveva studiato da giovane con il suo maestro Josei Toda.
Per dar modo a Shin’ichi e ai suoi accompagnatori di osservarlo da vicino, Wang svolse il lungo rotolo del dipinto Lungo il fiume durante il festival Ch’ing-ming che ritrae scene di vita quotidiana durante la dinastia Sung Settentrionale (960-1127). Quel gesto premuroso commosse profondamente Shin’ichi.
Quando arrivò il momento del congedo, Wang donò a Shin’ichi il catalogo del museo, che conteneva molti dei reperti esposti, e Wu regalò alla moglie di Shin’ichi, Mineko, un altro volume. Shin’ichi li ringraziò con calore e chiese loro di essere così gentili da scrivere una dedica: Wang scrisse “Viva l’amicizia fra Cina e Giappone!”, e Wu “Viva l’amicizia fra Giappone e Cina”.
«Perfetto! – commentò Shin’ichi -. L’amicizia è una strada a due corsie: se vogliamo costruire un ponte solido, sia la Cina che il Giappone devono coltivare lo stesso impegno nel promuovere l’amicizia. Grazie!».
Shin’ichi Yamamoto e il suo gruppo si trasferirono dal museo all’Università di Pechino, dove arrivarono alle cinque del pomeriggio.
Forsizie, lillà e molti altri fiori gialli, bianchi e rosa erano in fiore nel campus, annunciando l’arrivo della primavera. Lo scenario ricordava un meraviglioso giardino di fiori, molto diverso dalla stagione della precedente visita di Shin’ichi nel dicembre del 1974, quando gli alberi erano spogli e il campus presentava un volto invernale piuttosto sterile.
Importanti funzionari dell’Università di Pechino salutarono Shin’ichi e gli offrirono di fare un giro nella nuova biblioteca universitaria, che doveva aprire i battenti il primo maggio. Essi lo informarono che sarebbe stato il primo visitatore straniero del nuovo edificio e che desideravano mostrargli come sarebbero stati custoditi i libri che lui aveva donato all’università. La biblioteca si trovava su un’area di circa due ettari e mezzo e l’edificio stesso forniva undicimila metri quadrati di superficie calpestabile. Il complesso della biblioteca era costituito da due ali: una di dieci piani e una di otto, che potevano ospitare tre milioni e seicentomila libri. Sugli scaffali, una sezione conteneva parte della collezione di volumi che Shin’ichi aveva donato alla biblioteca, ognuno dotato di una targhetta di classificazione. Il direttore della biblioteca rivolto a Shin’ici affermò con orgoglio: «Consideriamo questi libri un’espressione della sua sincera benevolenza, perciò li tratteremo con grande attenzione».
«Vi ringrazio – rispose Shin’ichi -, ne sono molto felice. Sono profondamente colpito dalla sua sincerità». I presenti sentirono che quello scambio testimoniava un meraviglioso legame di amicizia grazie alla sincerità delle due parti. Quella era la terza visita di Shin’ichi all’Università di Pechino: egli fu trattato come un vecchio amico e gli fu riservato il massimo rispetto.
La fiducia si coltiva grazie a una cura costante. Le pianticelle dell’amicizia non cresceranno alte e forti se dopo il primo incontro vengono trascurate; per crescere hanno bisogno di acqua, fertilizzante e una cura paziente, così l’amicizia deve essere alimentata da una costante sincerità.
Dopo aver visitato la biblioteca, Shin’ichi e il suo seguito furono accompagnati nella sala ricevimenti Lin Hu Xuan per una cena con i più alti funzionari dell’università. La sala era circondata dagli alberi e dai fiori costeggianti il lago Weiming del campus. Più tardi Shin’ichi riuscì a incontrare i circa cento studenti e membri di facoltà del dipartimento giapponese che aveva già conosciuto nelle sue due visite precedenti. Incontrare gli altri è la via per aprire la porta dell’amicizia, e il dialogo è il mezzo per costruire ponti tra i cuori delle persone.
Shin’ichi disse agli studenti: «Sono così felice di rivedervi. Ho ricordi affettuosi di tutti voi». Mentre stringeva loro le mani, uno degli studenti gli chiese in giapponese: «Come sta?». «Il tuo giapponese è davvero migliorato – rispose Shin’ichi -. Devi aver studiato con impegno. Mi sento particolarmente bene perché ho l’occasione di rivedere tutti voi».
Come disse una volta il primo ministro Zhou Enlai: «Noi giovani non dobbiamo solo pensare all’oggi, ma anche al lontano futuro». I giovani sono il tesoro dell’umanità e i custodi del futuro, parlare con i giovani significa dialogare con il futuro.
Shin’ichi aggiunse: «Vorrei rendere più forti e saldi i nostri legami di amicizia, in modo che durino per sempre. Un vero ponte dorato di amicizia può essere costruito grazie a scambi aperti tra le generazioni più giovani del Giappone e della Cina. Aspetto con gioia la vostra visita. Prima di lasciare il Giappone ho visitato una delle scuole che ho fondato. Le studentesse mi hanno raccontato che desiderano visitare la Cina. Grazie ai giovani successori, mi sento incoraggiato e ottimista. Desidero continuare ad aprirvi la strada e dedicherò tutte le mie energie a questo scopo. Diamo inizio insieme a un nuovo futuro pieno di speranza, a un nuovo domani per Giappone e Cina!».
Shin’ichi inviò un telegramma al liceo femminile Soka. Il messaggio diceva: «Oggi sono stato all’Università di Pechino. Domani sarò ugualmente molto impegnato. Vi prego di diventare giovani forti e belle. Arrivederci mie care studentesse. Shin’ichi Yamamoto, da Pechino». Shin’ichi pensava costantemente agli studenti di tutte le scuole Soka, perché riteneva che fossero i successori a cui avrebbe potuto affidare il compito di creare la pace globale.

(17. continua)

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