Quando il presidente Ikeda tornò in Italia nell’81, incontrò soprattutto giovani e studenti. Ne nacque un’esperienza indimenticabile che portò allo sviluppo di kosen-rufu nel nostro paese. Nelle pagine che seguono presentiamo le testimonianze di alcuni pionieri che di quell’incontro hanno fatto un caposaldo della loro esistenza
Quando il presidente Ikeda venne in Italia nel 1981, c’erano circa trecento persone che avevano iniziato a praticare il Buddismo, perlopiù giovani, musicisti e studenti.
Sensei li incoraggiò uno a uno, dialogando con loro sulle basi della fede e sul significato della vita, e lasciò molte guide che sono una preziosa fonte di ispirazione ancora oggi, come “Miriamo a vent’anni di pratica” (vedi pagine successive). Si può dire che quella sua sesta visita segnò il vero inizio dello sviluppo di kosen-rufu nel nostro paese.
Come raccontano queste pagine, la vita di quei giovani fu profondamente segnata dall’incontro con il maestro. Probabilmente allora non erano consapevoli dell’importanza storica di ciò che stavano vivendo, ma grazie a quel legame che si radicò nei loro cuori, una potente ondata di diffusione del Buddismo ebbe impulso in tutta la penisola.
«Oggi, 30 maggio 1981, è diventato un giorno memorabile nel quale abbiamo rinnovato una reciproca promessa – disse sensei -. Siamo consapevoli che questo giorno sarà sicuramente ricordato come un evento storico da qui a cinquant’anni» (Ai miei cari amici italiani, IBISG, pag. 8).
Mentre dialogava con quei giovani, il suo sguardo era rivolto al futuro.
Come un padre amorevole che ha veramente a cuore la crescita e il benessere dei figli, spiegò loro con chiarezza le fondamenta della fede e della pratica, affinché potessero sperimentare i benefici del Gohonzon e costruire un’esistenza felice, passo dopo passo, con serietà e allegria.
Raccomandò di mettere Gongyo e Daimoku alla base di tutto, perché questo è l’unico modo per manifestare la Buddità; e di portare avanti una fede come l’acqua di un fiume che scorre ininterrotto, perché solo una pratica costante per tutta la vita porta all’Illuminazione.
Gli esseri umani si stancano, disse, e ciò può accadere anche nella pratica buddista. Ma poiché la fede è la fonte della forza vitale, non bisogna mai lasciarsi sconfiggere in questo campo. In tali momenti è importante sforzarsi di recitare di più e stare in contatto con i membri più anziani nella fede. Ogni cosa che facciamo per kosen-rufu ritorna a noi sotto forma di fortuna e benefici, perciò non bisogna mai abbandonare la fede. Disse anche che chi si assume una responsabilità in questa organizzazione potrà accumulare una fortuna pari solo alla sua sincerità.
In quei giorni parlò molto di “fede e vita quotidiana”, esortando gli studenti ad applicarsi duramente per diventare persone stimate e responsabili, capaci di svolgere un ruolo attivo in ogni campo, e incoraggiò i più adulti a impegnarsi fino in fondo nel lavoro, per poter contribuire al bene della comunità.
«La terra si illumina quando sorge il sole», disse. «Il Buddismo che abbiamo abbracciato è come il sole. Così, se sviluppiamo un’esistenza splendente nelle nostre famiglie e nella società, a poco a poco le persone intorno a noi si convinceranno della grandezza della fede. Ogni membro che ha una fede profonda è come il sole. Quando tutti questi piccoli soli brilleranno con forza in ogni società, in ogni paese, kosen-rufu progredirà costantemente e apparirà il faro della pace mondiale» (Ibidem, 7).
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Un legame senza fine
di Titina Matera
Non dimenticherò mai l’atmosfera che si respirava a Roma nei giorni precedenti l’arrivo del presidente Ikeda. Ricordo che, uniti e determinati a fare ognuno del proprio meglio, recitammo tanto Daimoku e stringemmo tra noi legami gioiosi e molto profondi. Il nostro stato vitale era altissimo.
Io partecipai al Garden party a Firenze come cantante e ballerina insieme ai membri della Campania. Così, quando venne il gran giorno, in costume caratteristico, ballavo e cantavo felice di fronte al presidente Ikeda e a sua moglie Kaneko. Tuttavia fino a quel momento per me sensei non era ancora il maestro. Voglio dire che ancora non avevo realizzato con lui un vero e proprio legame di maestro e discepolo. In un attimo, però, quel giorno, questo legame si è rivelato, ed è stato fortissimo, profondo e mistico.
Dopo lo spettacolo, mentre mi stavo riposando sul prato, a un certo punto ho sentito alle mie spalle uno sguardo posarsi su di me. Mi sono girata, e lì ho incontrato lo sguardo del mio maestro. Faceva cenno di sì, sereno e sorridente, ma allo stesso tempo incoraggiante e determinato. E quasi si inchinava. Per cui, a mia volta gli ho sorriso e mi sono inchinata. È stato un attimo, ma tutto è cambiato nella mia vita, o meglio tutto è riemerso, come dalle profondità della terra emergono i bodhisattva guidati da Pratiche Superiori. «Non è dovuto alla relazione karmica formata nel passato se ora sei diventato discepolo di Nichiren? Certamente i Budda Shakyamuni e Molti Tesori lo sanno. Le parole del sutra “le persone che avevano udito la Legge dimorano in varie terre del Budda, rinascendo di continuo insieme ai loro maestri” non possono essere false» (L’eredità della Legge fondamentale della vita, RSND, 1, 190).
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Maestro di vita
di Giancarlo Maurino
Incontrare il presidente Ikeda nell’81 è stato l’inizio di un percorso che continua ancora oggi e continuerà in eterno. Ricordo che a Firenze si tenne la prima riunione dei responsabili italiani. In attesa del suo arrivo eravamo tutti emozionati, colmi di aspettative e anche un po’ nervosi, e un membro dello staff ci riferì: «Sensei dice di stare a vostro agio, rilassati»… Ma come faceva a sapere della nostra agitazione? Durante la riunione rimasi molto colpito quando disse: «Questo giorno sarà sicuramente ricordato come un evento storico tra cinquant’anni». In quel momento non riuscivo a percepire il significato delle sue parole, ma adesso, a distanza di trentaquattro anni, il loro senso mi appare sempre più chiaro.
Ricordo anche che durante una cena all’hotel Michelangelo, a un certo punto si rivolse a noi dicendo: «Studiate più che potete, perché voi siete le colonne del vostro paese!». Una volta tornato a casa, affrontai il problema della mancanza di lavoro recitando Daimoku come non avevo mai fatto, in termini di determinazione e quantità. Il risultato è stato talmente sorprendente, oltre ogni mia immaginazione, da risvegliare in me una rinnovata passione nello shakubuku e nell’incoraggiare ogni persona.
Sensei sarebbe tornato in Italia nel 1992, e in quegli undici anni la crescita dell’organizzazione è stata esponenziale. Ricordo che la sera prima che arrivasse a Firenze ero ospite a casa di un amico e prima di addormentarmi mi venne spontaneo questo pensiero: «Domani viene nostro padre a trovarci dopo undici anni per vedere come stiamo»… Il giorno dopo, al Centro di Firenze, un piccolo comitato di benvenuto aspettava l’arrivo dell’auto del presidente Ikeda il quale, appena sceso, disse: «Non vi preoccupate di niente, è arrivato vostro padre! Anche se non avete fatto Gongyo, ci penso io!». Sono rimasto di stucco e mi sono domandato come potesse affermare di essere il padre di tutti noi, ma poi mi sono detto che questa era esattamente la manifestazione del suo cuore, della sua reale capacità di avere cura di ogni singola persona.
Oggi come allora, il significato di questa relazione per me sta nell’impegno continuo che cerco di mantenere leggendo e studiando le sue guide e impegnandomi a essere coerente nella vita quotidiana.
Avere un maestro di vita come lui è una fortuna incalcolabile. Di fronte a qualsiasi avversità o sofferenza possiamo trovare nei suoi scritti le parole adatte alla nostra situazione. Così il coraggio si rafforza e la nostra decisione di lottare fino in fondo diventa incrollabile. Tutto dipende naturalmente dalla nostra fede e da quanto profondamente decidiamo che sia il nostro maestro. Oggi ci sono molti giovani e giovanissimi che hanno un rapporto meraviglioso e sincero con lui. Mi sembra che riescano in poco tempo a stabilire una forte fede e sono una fonte di grande incoraggiamento per tutti noi.
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Senza alcuna paura
di Barbara Patrone
Il 1981, per me, fu un anno davvero speciale. Fu l’anno in cui incontrai per la prima volta il Presidente Ikeda, l’anno in cui andai per la prima volta in Giappone e l’anno in cui mi sposai. Avevo ventitré anni. praticavo da circa due anni e in occasione della visita di sensei a Firenze ebbi la fortuna di fare attività come byakuren. Ero tanto emozionata quanto inconsapevole.
In Liguria eravamo pochi membri, molto hippy e disorganizzati, ma pieni di voglia di cambiare noi stessi e il mondo. Partii quindi con una valigia piena di abiti bianchi – la divisa byakuren – tanto Daimoku alle spalle e molto entusiasmo.
Il ricordo più forte che ho è di una riunione a casa di un compagno di fede, in cui sensei spiegò il significato di Gongyo e delle preghiere silenziose. Mi colpì molto il suo atteggiamento informale: non perdeva occasione per farci divertire. Come byakuren avremmo dovuto restare fuori dalla sala, ma lui uscì in giardino e ci invitò a partecipare alla riunione. Alla fine disse: «Io non ho più paura di niente e di nessuno». Rimasi letteralmente folgorata da quelle parole e decisi di incidere questa determinazione nel cuore fino alla fine dei miei giorni.
Nel 1980 mio padre era morto improvvisamente lasciando un grande vuoto affettivo nella mia vita, e davanti a sensei, quel giorno, sentii di nuovo il calore di una famiglia, che non sarei più stata sola o senza una guida.
Dopo la visita di sensei l’attività in tutta Italia prese il volo e la Liguria vide una crescita prodigiosa, sia numerica che qualitativa. La maggior parte dei partecipanti apparteneva alla Divisione giovani, molti dei quali non avevano ancora chiaro che direzione dare alla loro vita, ma sensei non si scoraggiò davanti a quell’”armata Brancaleone” e ci comunicò tutta la sua fiducia, affidandoci la missione di kosen- rufu in Italia.
Ancora oggi, quando mi sento stanca o demotivata, ricordo la forza delle sue parole e penso che non tradirò mai le sue aspettative.
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Guerrieri di pace
di Niccolò Ugolini
Ho iniziato a praticare il Buddismo a diciannove anni e la mia storia è stata segnata profondamente dagli incontri con questo maestro straordinario, che mi ha insegnato ad amare la mia vita, quella dei miei familiari e delle persone intorno a me, e mi ha permesso di comprendere la missione in questa esistenza. Durante i cinque giorni della sua visita a Firenze ho avuto la meravigliosa opportunità di stargli vicino costantemente, perché guidavo l’auto che precedeva la sua negli spostamenti cittadini. I miei genitori parteciparono al Garden party a Villa Viviani, e in quell’occasione mio padre ricevette direttamente dalle sue mani il libro dei dialoghi con Toynbee (cfr. pag. 9) con una dedica in cui sensei gli esprimeva la sua riconoscenza, augurandogli una vita lunga e felice. Quell’incoraggiamento risvegliò anche in me una profonda gratitudine nei confronti di mio padre, e la decisione di impegnarmi ancora di più per la sua felicità. In seguito a tutto questo sei membri della mia famiglia ricevettero il Gohonzon.
Durante quei cinque giorni ci incoraggiò incessantemente. Ricordo un breve incontro a Villa Cora, quando ci regalò un juzu dicendoci che vedeva in noi i “guerrieri della pace del futuro”. Non potrò mai dimenticare il brivido che mi attraversò la schiena e la commozione che toccò il mio cuore. Quei giorni sono il più bel ricordo della mia gioventù.
In seguito a quella visita in Italia ci fu una forte crescita. Il luogo in cui facevo attività nel giro di due anni passò da 180 a 750 presenze alle riunioni mentre, a partire dal 1986, ogni fine settimana, volontari da ogni parte d’Italia partecipavano alla ristrutturazione del nuovo Centro culturale italiano, a Firenze.
Sensei è tornato in Italia nel 1992. Di nuovo ho avuto la fortuna di accompagnare i suoi spostamenti, e di nuovo mi ha profondamente incoraggiato. Prima della sua partenza per Milano, dal vagone del treno alla pensilina dove mi trovavo, i nostri occhi si sono incontrati e dal finestrino con le dita mi ha fatto segno di vittoria, e io ho risposto «Sì!». Quando il treno è partito non ho capito più niente e mi sono chiesto se si fosse rivolto proprio a me. La risposta è arrivata un anno dopo, mentre accompagnavo mio padre in un nuovo “viaggio della speranza” per una malattia incurabile: mi trovavo nello stesso posto, alla stazione, e mi sono commosso. Mio padre mi ha detto: «Le nostre vite sono profondamente unite da questa lotta insieme e non potranno mai separarsi. Anche se dovessi morire sarò sempre vicino al tuo cuore». Un anno dopo è morto nel sonno serenamente, nel suo letto. Ci siamo lasciati la sera prima con un ricordo dolcissimo, e il suo regalo per il mio compleanno tra le mani.
Che dire? Devo tutto al presidente Ikeda. Le sue parole sono state sempre esatte e precise per la nostra crescita. Ci ha insegnato il valore di una gioventù dedicata agli altri, lo sforzo incessante, la ricerca di una felicità profonda, il valore insostituibile della solidarietà e della vera amicizia contro le trame di ogni potere, come nel romanzo La città eterna, di cui ci raccontò in quei giorni. Grazie sensei.
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Scoprire il mio talento
di Claudia Galdenzi
Quando il presidente Ikeda venne in Italia nel 1981 non avevo tanta consapevolezza di cosa fosse la relazione maestro e discepolo, avevo diciannove anni e praticavo regolarmente da poco più di un anno.
Durante la riunione in cui lo incontrai per la prima volta, sensei trasmise a tutti noi l’importanza del principio “fede uguale vita quotidiana”.
Ci disse che il suo desiderio era che diventassimo individui felici, e di incoraggiare gli altri a fare lo stesso. In particolare chiese agli studenti di studiare duramente, in modo da non avere rimpianti nel futuro.
Uscii da quell’incontro determinata a mettere in pratica le sue parole.
Allora stavo ancora frequentando il liceo, non andavo particolarmente bene a scuola e non avevo nessun talento particolare, ma decisi di rispondere continuando a impegnarmi nello studio. È grazie al suo incoraggiamento che mi sono iscritta all’università e sono riuscita a concludere il mio corso di studi con successo.
In seguito tutto ciò mi avrebbe assicurato un lavoro che oggi mi dà grandi soddisfazioni.
Mi sento molto fortunata per avere imparato da giovane che il presidente Ikeda è qualcuno su cui posso sempre fare affidamento! Il punto non è incontrare fisicamente il maestro, ma approfondire ogni giorno questa relazione.
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Senza rimpianti
di Cristina Marsili
Ho ricevuto il Gohonzon nel 1980, all’età di diciassette anni. L’anno successivo ricevemmo la notizia che il presidente Ikeda sarebbe venuto in Italia a trovarci. Io facevo attività byakuren e fui incaricata, insieme ad altri membri, di accogliere il presidente Ikeda e sua moglie all’aeroporto di Pisa con un bellissimo mazzo di fiori. Ero emozionatissima. Quando sensei arrivò l’atmosfera si fece subito calda e gioiosa, piena della sua compassione.
Partecipai il 31 maggio a una riunione a casa di un amico. Il Gongyo e il Daimoku di sensei entrarono nelle nostre vite e nei nostri cuori, e li rischiararono. Ci spiegò l’importanza di praticare come l’acqua che scorre, assicurandoci che continuando a praticare avremmo superato qualsiasi tipo di difficoltà. Siccome per la maggior parte eravamo giovani, ci invitò a studiare duramente e a diventare persone di valore nelle rispettive professioni per contribuire alla società. Disse che la nostra sincerità nella fede e nell’attività avrebbero determinato la buona fortuna nella nostra vita.
Si rivolgeva a noi con grande fiducia, come a persone che stavano condividendo con lui il grande movimento di kosen-rufu; una considerazione e una fiducia che nessuno di noi aveva mai sentito, neanche da parte dei propri genitori. Quella fiducia si è impressa nella mia vita in modo indelebile e mi ha guidata in tutte le sfide dei miei successivi anni di pratica.
In quei giorni mi sono trovata più volte vicino a sensei, che non perdeva occasione di indirizzarci nella vita. Una volta – eravamo cinque byakuren nella sua stanza – ci fermò per dirci che non valeva la pena di tormentarci per l’amore, che la cosa più importante era trovare persone di riferimento di forte fede e svilupparci per creare una vita piena di valore. Regalò a ognuna di noi un orologio che ho custodito come un tesoro.
In quei giorni tutti noi abbiamo preso coscienza dell’importanza di vivere sempre senza rimpianti, dal momento che abbiamo avuto l’enorme fortuna di incontrare la Legge mistica. Anche se eravamo inconsapevoli, sensei ci ha presi per mano conducendoci nella direzione del suo cuore.
Sentire il maestro dentro di me mi ha portata a percepire il mio valore e a manifestarlo nella vita quotidiana, tirando fuori il coraggio di mirare a grandi obiettivi e di realizzarli. Così, in quello stesso anno mi sono iscritta alla facoltà di Giurisprudenza e ho iniziato un percorso personale e professionale che mi ha portata a lavorare con mio padre, avvocato, e a risolvere gravi conflitti all’interno della mia famiglia, fino a raggiungere risultati che non avrei mai potuto immaginare, sia in termini di condizione vitale che di prova concreta nella società.
La relazione maestro discepolo è uno scambio profondo, da vita a vita, del quale ho avuto tante prove in questi anni, come quando, nel 1999, inaspettatamente sensei mi ha inviato in dono I misteri di nascita e morte, con la sua firma autografa in prima pagina. Leggerlo tutti i giorni mi ha accompagnata in una delle più profonde esperienze sul significato dell’eternità della vita, preparandomi ad affrontare, di lì a poco, la morte di mio padre.
hanno collaborato Giovanna Carrassi, Federica Garbato, Matteo Pisani e Cristina Ropa