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Una musica che ispira - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:58

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Una musica che ispira

Matteo Floris, dj e compositore di musica elettronica/tecno-dance. Compone nello studio di produzione musicale avviato nel 2002 a Cagliari insieme al fratello, esibendosi nell’ambito di festival internazionali o eventi del medesimo panorama musicale

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Matteo Floris, dj e compositore di musica elettronica/tecno-dance. Compone nello studio di produzione musicale avviato nel 2002 a Cagliari insieme al fratello, esibendosi nell’ambito di festival internazionali o eventi del medesimo panorama musicale

La musica è sempre stata la tua passione?

Sì. Già prima di praticare il Buddismo avevo trovato nella musica un modo per superare il senso di sconfitta legato al calcio. Fin da piccolo ho praticato questo sport a livello agonistico e avevo grandi aspettative in merito. Tuttavia, a causa di una displasia agli arti, che mi portava a infortunarmi spesso le ginocchia costringendomi a lunghi periodi di immobilità forzata, ho dovuto mettere da parte questo sogno. Dedicarmi alla musica e allo studio di registrazione insieme a mio fratello è stata una sorta di sfida con me stesso, un modo per mettermi alla prova e superare la delusione. I primi anni sono stati durissimi: anche se con l’avvento dell’era digitale è stato più facile far sentire i miei demo in Europa, ci sono arrivati moltissimi no, vivevamo sempre in condizione di emarginazione territoriale e in una economica altrettanto difficile. Non avevamo introiti, ma mio fratello decise di destinare allo studio la somma che gli avevano dato come buonuscita dal precedente posto di lavoro e questo ci permise almeno di non contrarre debiti. A livello interiore, però, al di là del fatto che con questo lavoro non mi infortunavo più, il risultato non era poi tanto cambiato rispetto a quando giocavo a calcio: fondamentalmente aspettavo sempre un riscontro dagli altri e misuravo in questo modo il mio valore.

Nel 2005 l’incontro col Buddismo. Cosa è cambiato? Ha influito sul tuo modo di comporre musica?

Prima di tutto ho iniziato a fare attività nel gruppo: questo mi ha consentito di costruire una solida identità, cioè quello di cui avevo bisogno. Mi accorsi di questo mio cambiamento proprio quando fui costretto a sottopormi a un’operazione alla spalla. Prima di praticare soffrivo di brutte crisi di panico che si manifestavano ogni volta che si ripresentavano gli effetti della displasia: in quei momenti mi sentivo così perso e sopraffatto dagli eventi da non trovare più nessun motivo per essere felice. Invece, in quella situazione scoprii una nuova forza e che non avevo più paura. Dopo questa esperienza ho deciso di ricevere il Gohonzon e ho iniziato a fare anche attività come soka-han: da allora ho cominciato a percepire gli effetti della pratica e dell’attività, non solo a livello personale, ma anche sul mio lavoro.
Prendermi cura della felicità degli altri con l’attività mi ha permesso di aprire la mia vita in modo sorprendente. Da una parte era nata la determinazione che qualsiasi cosa fosse successa io sarei andato avanti, a prescindere dai no, da qualsiasi risposta dell’ambiente esterno, e dall’altra ho iniziato a considerare il mio lavoro come una missione. Incidere dischi per me vuol dire che il Buddismo funziona, quindi prego con una fortissima determinazione affinché le persone vengano ispirate dalla mia storia a lottare per realizzare un desiderio. Fondamentalmente sono passato da una fase egocentrica a una in cui la mia musica può essere d’ispirazione per gli altri.
All’inizio ero fortemente arrogante e superficiale. La mia musica era quella, punto, e agli altri dovevo andare bene così. Se le case discografiche non mi accettavano erano loro a sbagliare, non io. Però intanto, nonostante questo non andavo avanti. Con il Daimoku e tanto studio ho cominciato a vedere le cose da un’altra angolazione: ho capito che i no che ricevevo erano dovuti al fatto che da parte mia non c’era la voglia di migliorare, di cambiare. Io pensavo che le case discografiche non capissero la mia musica, mentre non coglievo il fatto che questa fosse per me un’occasione per progredire. Grazie ad alcune parole di Josei Toda che avevo letto, capii quanto fosse importante che il mio atteggiamento nell’attività e nel lavoro fosse coerente. Quindi, compreso questo, ho iniziato a lavorare tantissimo con lo stesso sforzo e impegno con cui facevo attività. Inoltre ho iniziato ad ascoltare i consigli delle persone con cui lavoravo, soprattutto di mio fratello, a smettere di imporre il mio stile musicale e a percepire i segnali che vengono dall’ambiente.

Quali segnali?

Ho iniziato ad ascoltare la musica di coloro che uscivano con le case discografiche con cui sarei voluto uscire io e mi sono reso conto che nella mia musica mancava proprio la qualità che volevano loro. Percepire i segnali dall’ambiente e rispettare il lavoro degli altri, questo è cambiato. Prima c’era un egocentrismo smisurato, poi ho iniziato a ascoltare attentamente la musica degli altri. Non volevo più criticarli come mediocri, se erano arrivati in cima c’era un perché e io volevo coglierlo. Col cuore in ascolto cercavo ispirazione. Quella fu la più grande trasformazione! Capii che dovevo ancora crescere tanto e con questa apertura cominciai a rispettare e lodare il lavoro degli altri e ne uscì una trasformazione del mio cuore. Così, proprio nel 2009, ho cominciato i miei concerti da professionista nella mia città, Cagliari. Si trattava di serate “normali”, non con un riscontro mediatico importante. Poi ho iniziato a viaggiare: Italia, Germania, Spagna…

E ora?

Ora sono cambiate tantissime cose. Dal 2011 ho iniziato a collaborare con artisti americani, irlandesi, giapponesi e molti altri ancora. Questo mi ha permesso di cominciare a viaggiare e farmi conoscere dall’ambiente musicale internazionale. Grazie alla collaborazione con un artista greco sono riuscito a stampare dischi per la sua etichetta discografica e, tramite questo espediente, a farmi conoscere dal pubblico. Da marzo 2012, grazie alla musica, sono diventato economicamente indipendente, ma mi rendo conto che lo sono diventato soprattutto dal punto di vista professionale, perché mi sono affrancato dal giudizio degli altri: il mio cuore è solido. Il primo gennaio dello stesso anno avevo determinato di rinfrescare con nuove sonorità il mio stile e che ciò avesse un impatto di valore, che si percepisse che la mia musica derivava dalla mia lotta interiore. Dopo venticinque giorni il mio disco era primo in classifica a livello mondiale. Quel giorno davanti al Gohonzon sentii che quel posto me l’ero meritato, che era un effetto di tutte le battaglie vinte sui miei limiti.
Ora ho diversi manager che si occupano di me, delle pubbliche relazioni, delle promozioni dei dischi e io posso dedicarmi a fare solo musica. Sento che il fatto di sentirmi felice come essere umano ha avuto un forte riverbero nell’ambiente. Mi sono reso conto che qualcosa era cambiato quando un’amica che stava a Bogotà ha taggato su facebook la foto di un manifesto che pubblicizzava un mio concerto. Inoltre, ho trasformato il mio attaccamento al denaro e ho deciso che non avrei più accettato di esibirmi con il mio gruppo se le condizioni economiche non fossero state adeguate. Non volevo svendermi perché ormai sentivo che la mia vita era importante, così come tutto quello che ne faceva parte.
Comunque, al di là dei risvolti economici e di fama, quello che mi ha dato e che tutt’ora mi dà maggiore soddisfazione è il fatto che diversi artisti internazionali mi hanno scritto per ringraziarmi per averli ispirati. Questa per me è una grandissima prova concreta di come funziona il Daimoku.

Qual è il tuo obiettivo per il futuro?

Voglio essere a disposizione degli artisti emergenti perché non dimentico la sofferenza che ho provato a causa dell’emarginazione della mia terra. Ogni anno insegno a dei ragazzi come si usano determinati software. Il mio desiderio, scaturito da questa esperienza, è che i più giovani o comunque gli artisti vedano in me quello che possono fare loro. Per la fine di quest’anno io e mio fratello abbiamo l’obiettivo di aprire una nostra etichetta discografica. Si tratta di un progetto che sto ancora maturando e che penso segnerà una nuova fase sia a livello artistico che umano: dovrò, infatti, fare un ulteriore lavoro di apertura, scevro di preconcetti, verso la musica degli altri, soprattutto quella che dovremmo promuovere. Sicuramente avrò un occhio di riguardo verso i giovani, perché loro sono il futuro.

La tua è una musica tecno, quindi viene suonata nelle serate in discoteca dove spesso si fa uso di sostanze stupefacenti. Anche dagli stessi dj. Come si può creare valore in un ambiente come questo?

Prima di ogni concerto, cerco di prepararmi come se prendessi parte a un turno soka-han. Recito Daimoku affinché la mia musica sia viatico di felicità, non lo faccio attraverso effetti speciali, non incito la folla, ma lascio che sia solo la musica a ispirare e a divertire. E questo, in un ambiente dove invece tutto è a mille, attira la curiosità delle persone.
Un altro aspetto che curo è il modo in cui mi pongo nei confronti degli altri. Non molto tempo fa ho fatto un concerto a Stromboli. Siamo stati accolti con uno sfarzo e “un’allegria” che sembravano esagerati, come è tipico di questo mondo. In questa occasione una persona che non conoscevo mi ha detto: «Ascoltando la tua musica, ho percepito una solida identità artistica, tanto che ho pensato che, per scrivere una musica così forte, dovessi essere una persona stravagante, un po’ pazzoide. Invece, ora che ti vedo, mi rendo conto che sei un ragazzo semplice, mi trasmetti serenità e questo mi rende molto felice». Grazie a questa esperienza ho compreso che avere un comportamento cordiale e ispirare fiducia sono aspetti molto importanti, perché quando si va a suonare il settanta per cento è legame umano e curarlo fa sicuramente la differenza, soprattutto in un ambiente come questo.

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