Un giorno davanti al Gohonzon riconobbi le mie debolezze di madre, i sensi di colpa e il fatto di considerare mio figlio come la causa della mia sofferenza. Non riuscivo ad accettarlo così com’era. Ero io che gli impedivo di crescere, ero io che dovevo cambiare!
Iniziai a praticare nel ’96, all’epoca in tutta la provincia di Belluno c’era solo un gruppo. Avevo trent’anni e un figlio di undici, dal cui padre mi ero separata quando lui aveva cinque anni.
Nel ’97 ricevetti il Gohonzon e accettai la responsabilità di gruppo. Non era facile in una provincia montana dove c’erano pochi membri sparsi su un territorio molto vasto.
Fin dalla prima elementare mio figlio andava male a scuola. Non faceva nessuno sforzo per portare a termine qualcosa, era disattento e aveva un ricco repertorio di bugie per giustificare quelli che io non mancavo mai di sottolineare come suoi difetti.
Ero frustrata, arrabbiata e mi sentivo inadeguata, visto che il padre era poco presente. Mi sfogavo su mio figlio sgridandolo ogni giorno, senza rendermi conto che così lo rendevo ancora più insicuro.
Mi sforzavo di sostenere i miei compagni di fede nonostante le grandi distanze, e continuavo a pregare perché lui diventasse il figlio che desideravo.
Quando mi accorsi che qualcosa di più serio stava accadendo, andai davanti al Gohonzon e pregai determinando di vedere con chiarezza. La sera, quando tornò a casa, osservai il suo comportamento e non ebbi dubbi. Gli parlai, lui negò ogni cosa, ma io lo misi in guardia avvertendolo che si sarebbe cacciato nei guai. Era spavaldo e arrogante in casa, ma fuori era ingenuo e succube del “branco” per essere accettato.
Il giorno dopo era il suo quindicesimo compleanno: la sera la polizia, dopo averlo inseguito, perquisì la casa e trovò ciò che cercava. Fu il primo anello di una catena di perquisizioni che durò fino all’alba e portò a galla una rete di spaccio di minorenni. La pratica di mio figlio finì al tribunale dei minori di Venezia. Ero fuori di me. Dopo tre giorni c’era lo zadankai: nonostante tutto raccolsi tutte le mie energie e riuscii a provare una profonda gioia.
Nel frattempo a Belluno eravamo diventati due gruppi.
Le auto della polizia facevano la ronda sotto casa mia ogni giorno, perciò avvertii i responsabili che non potevo più offrire la casa per l’attività, per proteggere la Soka Gakkai e i compagni di fede. Intanto mio figlio continuava imperterrito a camminare sull’orlo del precipizio. Decisi di ricevere guida. «Devi assumerti la responsabilità della situazione al 100%. Recita Daimoku per essere una madre giusta e perché lui sia felice, trovi la sua strada, ottenga la Buddità. Determina di risolvere tutto durante la sua adolescenza, perché dopo sarà più difficile trasformare». Continuai a fare Daimoku e attività aggrappandomi al Gosho e alle guide di sensei, domandandomi incessantemente cosa significasse essere una “madre giusta”.
«Più forte è la fede, maggiore è la protezione degli dèi»
Accettai la responsabilità di settore donne a Belluno. Era un settore stanco. Decisi di ripartire dal Daimoku affinché tutta la zona si risvegliasse e arrivassero persone nuove.
Mio figlio intanto si scatenava a più non posso. Scoprii che aveva cambiato compagnia, ora frequentava i ragazzi più a rischio della città. Il suo rendimento scolastico peggiorò e il suo ritmo di vita divenne sempre più border-line. I miei familiari non perdevano occasione per sottolineare quanto fossi incapace come madre, ma soprattutto consideravano lui una causa persa, un ragazzo destinato al fallimento. Sentivo la responsabilità di dare una grande prova concreta a tutta la famiglia, e al tempo stesso ero angosciata di non riuscirci. Alternavo momenti di grande sfiducia e di profonda determinazione. Non potevo permettermi di mollare, dovevo proteggere mio figlio, che nel frattempo era irrefrenabile, fisicamente aggressivo e verbalmente violento. Recitavo Daimoku per essere una madre giusta… ma cosa mai voleva dire?
Nel 2003 rischiò la bocciatura per la seconda volta, se non il ritiro definitivo dalla scuola. Andava in giro tutte le notti e tornava a casa… lasciamo perdere come!
Io non dormivo più e iniziavo ad avere problemi sul lavoro. Impossibile raccontare tutti gli episodi dolorosi di quegli anni. Di giorno lavoravo e la sera lui usciva, a malapena ci si incrociava sulla soglia. Ogni volta che usciva io andavo a fare una visita a casa, a recitare Daimoku con qualcuno, come una goccia che scava la roccia. Per tre anni.
Le risposte alle mie preghiere furono incredibili: non solo proteggendo mio figlio e impedendogli cadute ben peggiori, ma anche mettendomi puntualmente in condizione di sapere a che punto stava la sua vita. Lui non capiva, era convinto che avessi assunto un investigatore privato!
Sperimentai le parole di Nichiren Daishonin: «Più forte è la fede, maggiore è la protezione degli dèi» (RSND, 1, 846).
Così venni a sapere che nel suo branco era arrivata l’unica sostanza che ancora mancava all’appello: l’eroina. Ero preoccupatissima, non avevo tempo da perdere, dovevo trasformare la situazione prima che ci cadesse dentro. In seguito ho saputo che mio figlio è sempre riuscito a tenersene alla larga. Ancora una volta ho avuto la prova della protezione del Gohonzon.
Arrivai alla resa dei conti con me stessa e un giorno davanti al Gohonzon riconobbi le mie debolezze di madre, i sensi di colpa e il fatto di considerare mio figlio come la causa della mia sofferenza invece che l’effetto. Non riuscivo ad accettarlo così com’era, ma in fondo non accettavo me stessa e proiettavo tutto su di lui. Facevo l’autoritaria ma non ero autorevole, e così non mi ero conquistata il suo rispetto. Ero io che gli impedivo di crescere, ero io che dovevo cambiare!
Leggevo e rileggevo la frase di sensei: «Quando una persona possiede una forza risoluta è in grado di guidare tutta la famiglia verso la felicità». Da lì tutto cambiò. La sera stessa feci quell’azione che minacciavo da tempo ma non avevo mai avuto la forza di fare: lo chiusi fuori tutta la notte e al mattino gli feci trovare lo zaino di scuola sullo zerbino. Quando tornò a pranzo gli vidi un’espressione mai vista: avevo fatto un’azione che non si aspettava, ed era l’azione giusta in quel momento. Capii cosa significa essere “una madre giusta”. Cambiai velocemente.
Gli insegnai con il mio comportamento che ogni azione ha una conseguenza, sostituii le inutili prediche con segnali brevi ma efficaci, e soprattutto smisi di sentirlo come fonte di problemi e sofferenza e lo guardai con gratitudine per avermi insegnato a diventare una madre migliore. Iniziai ad amarlo così com’era.
Da quel momento si lasciò guidare con fiducia. Lo guidai col Daimoku, senza bisogno di tante parole. Pian piano abbandonò il suo giro e io cominciai a pregare perché fosse felice, perché riuscisse a far emergere i suoi talenti e trovasse la strada della sua realizzazione. Smise di raccontare bugie, trascorremmo le serate a parlare tra noi, mi raccontò tutto il suo malessere esistenziale, che era molto più profondo di quanto immaginassi. Era molto confuso e ci aggrappammo alle guide di sensei sul Nuovo Rinascimento e ai Dialoghi con i giovani.
Nel dicembre 2004 dovevo sostenere gli esami di Buddismo di secondo livello. La notte prima, guidando l’auto di un amico con due persone a bordo, finì contro un muro. Uscirono tutti illesi. Percepii la protezione del Gohonzon. Gli ritirarono la patente per guida in stato di ebbrezza. Nel frattempo si era conclusa l’udienza al Tribunale dei Minori con l’archiviazione del fascicolo. Decisi davanti al Gohonzon che doveva assumersi tutte le sue responsabilità. Lo misi di fronte ai costi che avrebbe dovuto affrontare, mentre lo sostenevo con il Daimoku.
Mio figlio si diplomò nel 2005, lavorò l’estate per pagare gli avvocati, le pratiche per la patente e i debiti che aveva contratto in giro, e fu orgoglioso di farlo. Restammo tutti sbigottiti quando ci comunicò di volersi iscrivere all’università. Decidemmo di dargli fiducia.
Oggi, tredici anni dopo
Mio figlio ha trentadue anni. Si è laureato in Giurisprudenza nel 2012. Poi si è iscritto alla scuola di specializzazione. Nel 2013 ha ricevuto il Gohonzon. Il suo sogno è diventare magistrato, ha già svolto a luglio le prove scritte e siamo in attesa dell’esito; nel frattempo si è abilitato alla professione di avvocato e da qualche mese lavora come giurista in un’importante azienda.
È responsabile di capitolo giovani uomini e sono fiera di come porta avanti la pratica buddista e la sua responsabilità, con grande spirito di ricerca. E così da trasgressore della Legge si è trasformato in protettore della Legge. Anche della Legge mistica! La sua fedina penale è pulita: grazie alla protezione del Gohonzon tutto il suo karma negativo con la legge si è manifestato e trasformato prima della maggiore età, così non si è macchiato di segnalazioni tali da interdirlo dai concorsi statali. Ma soprattutto, è un ragazzo felice.
Posso proprio dire di aver trasformato il mio karma insieme a lui!
Mentre tutto questo accadeva, Belluno è cresciuta fino a diventare lo splendido capitolo Dolomiti!
Nel mio cuore provo infinita gratitudine per sensei e per la Soka Gakkai, e per ripagare il mio debito di gratitudine ho deciso di dedicarmi con maggior impegno allo shakubuku, soprattutto ai giovani, in modo che sempre più persone possano sperimentare l’immenso potere di questo Buddismo.