A ventisei anni una collega mi parlò della pratica buddista, che avevo già incontrato a dodici e poi a sedici anni, e questa volta iniziai subito con un’ora di Daimoku, Gongyo, studio e shakubuku, per offrire anche agli altri il mezzo per diventare felici. Da allora ho accompagnato a ricevere il Gohonzon diciannove persone e questa è per me una fonte di gioia illimitata.
All’inizio, il primo beneficio inaspettato fu che mia madre, con la quale avevo un pessimo rapporto, convinse mio padre a comprarmi la casa dove tuttora vivo.
Mia madre era alcolista, depressa, perennemente sotto psicofarmaci e io già da piccola soffrivo di attacchi di panico ed ero spesso triste e cupa.
Tuttavia, quando leggevo la frase del Gosho: «L’inferno esiste nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (RSND, 1, 1008), pensavo che riguardasse gli altri, ma non me. Rimuovevo, tale era la sofferenza che mi causava il rapporto con lei.
Un giorno venne a trovarmi senza preavviso e mi disse: “Mi spiace non essere stata la madre che avresti voluto”. E io che conoscevo la sua sofferenza profonda, di non avere mai conosciuto suo padre, la portai davanti al Gohonzon e recitammo insieme Nam-myoho-renge-kyo.
Continuò a recitare Daimoku per sei mesi prima di morire di un arresto cardiaco causato dall’ingestione di sonniferi. Sembrerebbe un epilogo triste, ma in realtà avevamo completamente sciolto il nodo che stritolava la nostra relazione. In quei mesi fummo amiche e complici in un allegro rapporto madre figlia, quello che avrei sempre voluto!
A giugno del ’94, partecipando all’organizzazione del Festival mondiale dei giovani per la Pace, a Milano, ebbi la fortuna di incontrare il presidente Ikeda. Sorprendentemente quell’incontro risvegliò in me un dolore simile a quello che mi aveva sempre procurato la relazione con mia madre: mi sentii abbandonata.
Non mi spiegavo come Sensei potesse toccare un punto così profondo della mia vita. Da lì nacque in me il desiderio di approfondire questa relazione e durante l’estate recitai molto Daimoku leggendo il Diario giovanile…
Fu un percorso di grande crescita e trasformazione delle mie insicurezze.
In quel periodo avevo un obiettivo di lavoro: cambiare programma (sono regista tv) e occuparmi non più di attualità, ma di cultura.
Un giorno di agosto, entrando al nostro Centro culturale, sentii la voce del presidente Ikeda da un video di una riunione di centro: mi risuonò così familiare e provai una gioia così profonda che in quel momento lo riconobbi come il mio maestro e da allora ogni volta che affronto una difficoltà cerco nelle sue parole la mia guida.
A settembre riuscii a realizzare il mio obiettivo di lavorare per i canali satellitari RAI che non devono rendere conto degli indici di ascolto e sperimentano nuovi linguaggi e format di musica, cinema, letteratura: i temi che amavo!
Dopo qualche anno alzai l’asticella e realizzai un programma tutto mio che mi permise di viaggiare per sette anni per il mondo insieme a una giornalista amica, con totale libertà di scelta di luoghi e temi. La mia pratica avanzava e io accettavo tutte le responsabilità che mi venivano offerte cercando sempre di dare il massimo, con la bussola del Gosho e degli scritti del maestro Ikeda.
Ma la vita accade, e un giorno il mio compagno di avventure e grande amore, Alberto, morì all’improvviso per un attacco di cuore. In cinque minuti non c’era più. L’ultima sofferenza che avrei voluto vivere nella vita, accadeva proprio a me. Per lo shock mi si perforò la retina. Grazie a un consiglio nella fede decisi di utilizzare questo grande dolore per diventare un pilastro di kosen-rufu e insegnare la Legge mistica a più persone possibile.
Mentre incoraggiavo chiunque incontrassi sentivo emergere una serenità che non sembrava umana… stavo sperimentando la “gioia nella vita e gioia nella morte” di cui parla il Buddismo. Ne uscii più forte che mai. Desideravo che le figlie di Alberto iniziassero a praticare e di lì a un anno Chiara, la maggiore, iniziò a recitare Daimoku e oggi è una responsabile giovani donne e Studenti, un sole meraviglioso di cui vado fiera!
Nel frattempo mio padre si ammalò di Alzheimer e poi di cancro. Papà era un uomo vivace: scappava, si perdeva e combinava piccoli guai. Ogni mio turno dell’attività Corallo era dedicato alla sua protezione.
Gestivo tutto come se si trattasse di me stessa, prendendo le decisioni davanti al Gohonzon, anche contro il parere dei medici che lo davano per spacciato. Praticavo perché avesse la migliore qualità di vita possibile e quando lo chiamavo e gli chiedevo: “Papi, come stai?”, lui mi rispondeva: “Ciao mio paradiso, io sono felice!” e io gongolavo perché sentivo il potere del Daimoku che arriva dritto alla vita.
Se ne è andato cinque anni dopo, senza accorgersene, con un’influenza.
La compassione di un genitore è immensa e grazie al fatto di averlo sostenuto nel suo percorso di malattia ho potuto liberarmi io stessa dalla mia ipocondria congenita.
Intanto nel lavoro portavo avanti da due anni un programma ideato da me, ma per la terza edizione mi chiesero qualcosa che non mi corrispondeva. In ambasce, la sera prima della riunione col direttore, durante Gongyo determinai di dedicare il nuovo programma a Sensei, a kosen-rufu. Il giorno seguente mi chiesero di adattare una mia idea agli obiettivi dell’Agenda 2030. Così feci shakubuku a tutti i direttori e vice direttori, e una di loro ha praticato.
Il 28 febbraio dello scorso anno mio fratello all’improvviso morì di infarto. Credevo di andarmene anch’io per il dolore. In un istante tutta la mia infanzia volò via con lui. Quella sera, nella disperazione di aver perso l’ultimo membro della mia famiglia, rammentai un brano del volume 30 de La nuova rivoluzione umana dove Sensei racconta la morte di suo figlio. In quel momento Sensei si trovava fuori Tokyo per attività e per prima cosa andò a recitare Gongyo per la sua felicità eterna.
Feci la stessa cosa e davanti al Gohonzon tutto cambiò: nessuno strappo, nessun abisso. Nei giorni successivi recitando ore di Daimoku per la sua felicità eterna sentii che presto sarebbe tornato a compiere la sua missione di Bodhisattva della Terra.
Il 2022 è stato un anno difficile. Ho avuto tre incidenti di cui due potevano essere mortali, e invece sono qui. Ho subito due operazioni agli occhi: prima la retina, poi le cataratte, ma non ho mai indietreggiato, sempre pensando: tanta oscurità, altrettanta Buddità. Piena di gratitudine ho rilanciato parlando del Buddismo a chiunque e ovunque, senza aspettare il momento ottimale, semplicemente credendo che ogni essere umano ha il diritto di diventare felice.
Alcuni di loro hanno recitato Daimoku o partecipato alle riunioni, altri no, ma comunque tutti hanno dentro il seme del Loto che prima o poi sboccerà!
In questo Anno dei giovani e del trionfo l’unico obiettivo su cui mi voglio concentrare è realizzare un nuovo giovane in ogni gruppo, con la certezza che anche la mia vita si esprimerà al massimo in ogni aspetto.
Sensei scrive:
«Ho utilizzato in ogni lotta la strategia del Sutra del Loto proprio come ci aveva insegnato Toda. È una strategia infinitamente superiore a qualunque altra. Non possiamo diventare eredi della strategia del Sutra del Loto se non lottiamo con tutte le nostre forze. Si tratta dell’eredità di kosen-rufu che possiamo ereditare solo combattendo con lo stesso impegno solenne dei nostri maestri nella fede» (D. Ikeda, Maestro e discepolo, 95)
Voglio combattere accanto al maestro fino al mio ultimo respiro!
