Nello scorso aprile Yusei Sugahara, un ex prete della Nichiren Shoshu, ha visitato il nostro paese. A Milano, Alessandria, Firenze, Roma e Sassari ha tenuto alcune riunioni raccontando l’esperienza vissuta all’interno della Nichiren Shoshu
Perché parlare ancora della Nichiren Shoshu? Sono passati più di vent’anni da quando Nikken, patriarca della Nichiren Shoshu, ha inviato alla Soka Gakkai un ordine di scioglimento. Da allora il movimento laico di kosen-rufu ha continuato a fare progressi sviluppando ancor più compiutamente la propria identità e integrandosi con le diverse culture, usi e costumi in ogni parte del mondo.
Oggi, probabilmente, la maggior parte di coloro che hanno vissuto come membri della Soka Gakkai gli anni a cavallo fra gli ’80 e i ’90 del secolo scorso raramente rammenta la Nichiren Shoshu e sembrano passati secoli da quando, una o due volte all’anno, venivano i preti dal Giappone per tenere la cerimonia nella quale si consegnavano i Gohonzon. Chi, invece, si è unito alla SGI in tempi recenti, probabilmente non si è mai neppure posto il problema e, se anche ne ha sentito parlare, magari lo ha considerato poco interessante e lontano da sé.
Quindi, perché parlare ancora della Nichiren Shoshu? Perché questa storia non parla semplicemente dei rapporti fra un ordine religioso e un’organizzazione laica. Parla della vita, del suo funzionamento, dell’oscurità fondamentale e della natura di Budda.
Nello scorso aprile, un ex prete della Nichiren Shoshu che insieme ad altri se ne è dissociato ed è entrato a far parte dell’Associazione dei giovani preti per la riforma della Nichiren Shoshu, Yusei Sugahara, ha visitato il nostro paese e ha tenuto alcune riunioni raccontando la sua esperienza di prete della Nichiren Shoshu. Nato in una famiglia aderente alla Soka Gakkai, desiderava entrare a far parte del clero, convinto che diventare prete significasse letteralmente “dare la propria vita” per kosen-rufu. È facile immaginare quanto possa essere rimasto deluso nel constatare che essere prete significava recitare meno Daimoku dei membri della Soka Gakkai, studiare meno il Gosho, fare meno shakubuku, supportati dalla convinzione che il solo fatto di far parte del clero ponesse i preti al di sopra dei laici: una visione obsoleta di una “fede dipendente”, in contrasto con l’umanesimo buddista, un atteggiamento che fatalmente conduce all’arroganza e a un ingiustificato autoritarismo.
Ma la domanda di partenza – Perché parlare ancora della Nichiren Shoshu? – non ha ancora una risposta, anzi, sottintende un’altra domanda: in che modo questo ha a che fare con la “mia” pratica?
Il Buddismo riconduce sempre tutto al sé, alle scelte che ciascuno compie nella sua vita, alla propria rivoluzione umana. Di fronte a un patriarca che impone la propria autorità deve esserci un individuo, prete o laico, che questa autorità va ricercando. Sono due facce della stessa medaglia, l’una genera l’altra, senza l’una l’altra non può esistere. È la “fede dipendente” che crea l’autorità. Non è forse l’esatto opposto dell’atteggiamento che Daisaku Ikeda ci invita a ricercare con le parole: «Siate tutti presidenti della Soka Gakkai»?
Ikeda affronta approfonditamente questo tema nel dialogo con il sociologo della religione Bryan Wilson, uscito per i tipi di Esperia nel 2005 con il titolo La religione e i valori umani – Dialogo sul ruolo sociale della religione: «L’autoritarismo non è solo imposto dall’alto, ma anche sostenuto e forse persino generato dal basso grazie a ciò che lei definisce “il bisogno di chiare certezze e la richiesta di pronunciamenti autoritativi”. […] Dobbiamo insegnare ai membri delle organizzazioni religiose ad avere uno sguardo critico, a comprendere che asservirsi di buon grado alla volontà altrui non porta al proprio bene. Dobbiamo costantemente stare in guardia per impedire che i gruppi religiosi cadano nell’autoritarismo al quale sono, come lei suggerisce, più inclini di altri tipi di organizzazione» (op. cit., pag. 180).
Una fede passiva, che tende a delegare, è una contraddizione in termini: nel Buddismo di Nichiren Daishonin, così come viene correttamente insegnato dalla Soka Gakkai, la fede, la pratica, lo studio non possono che essere attivi e concreti. Spetta a ogni singolo credente assumersi la responsabilità per la propria vita, per la crescita del suo ambiente circostante e, in ultima analisi, per kosen-rufu.
Ecco di cosa parla questa storia: della ricerca di un nuovo umanesimo e di una visione della religione in cui ogni singolo essere umano assuma un ruolo da protagonista. Mettere in luce le scorrettezze e le deviazioni dottrinarie della Nichiren Shoshu è fin troppo facile. Cambiare punto di vista sulla fede e accettare la visione moderna e rivoluzionaria della Soka Gakkai è decisamente più difficile, ma i risultati di un simile cambiamento si chiamano rivoluzione umana e kosen-rufu.