Grazie alla determinazione di dedicare la mia vita a kosen-rufu, il Daimoku divenne il punto di partenza per trasformare le mie insicurezze
Ho iniziato questa meravigliosa avventura trent’anni fa. Avevo cinquantuno anni. Mi parlò del Buddismo il mio primogenito Nicola. All’epoca ero molto cattolica e provare a praticare mi sembrava tradire la mia religione, così a volte recitavo il rosario, a volte Nam-myoho-renge-kyo. Ero in totale confusione, ma decisi ugualmente di iniziare a frequentare un gruppo. Poco dopo iniziarono a praticare anche gli altri due figli, Antonio e Domenico, e io recitavo Daimoku per far piacere a loro tre. Un giorno in un giornale non buddista trovai un articolo dove lessi: «Per un cattolico esiste Dio al quale bisogna rivolgersi. Per un buddista esiste la Legge dell’universo che è dentro di noi».
Questa frase fu illuminante e pensai: «Questo è quello che cercavo!».
Dopo un anno, nel 1988, il Gohonzon entrò nella nostra casa e iniziò a praticare anche mio marito Eugenio. Da allora offriamo la casa per gli zadankai e per qualsiasi riunione dei membri del nostro quartiere. Ho un’infinita gratitudine per il presidente Ikeda, con il quale ho sempre dialogato nel mio cuore, perché mi ha insegnato a vivere una vita felice e aperta agli altri. Recitando Nam-myoho-renge-kyo ho fatto tante esperienze, ma la prima prova del potere del Gohonzon l’ho avuta con un problema alla schiena. Almeno una volta l’anno infatti, avevo improvvisamente fortissimi dolori alla schiena che mi costringevano molti giorni a letto. Una volta uno dei miei figli mi disse: «Mamma, facciamo Daimoku! È il momento di mettere alla prova la pratica». Pregai per due ore come una disperata, quasi per non deludere mio figlio, e con mia grande sorpresa, poco dopo riuscii ad alzarmi e pian piano il dolore svanì.
Ebbi una grande emozione e capii che tutto dipendeva da me. Sentivo di aver vissuto con la mia vita la frase del Gosho: «Quando c’è da soffrire, soffri; quando c’è da gioire, gioisci. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge? Rafforza il potere della tua fede più che mai» (RSND, 1, 607).
Fu in quel periodo che accettai la responsabilità di un gruppo. Cominciai a sentire il valore della mia vita che mi portò naturalmente a prendermi più cura di me e degli altri.
Dopo il matrimonio avevo lasciato il lavoro e con la nascita dei figli avevo abbandonato tante passioni, convivevo con la depressione, ero arrivata a pesare quasi un quintale e avevo un grave deficit di calcio alle ossa.
Il reumatologo non mi aveva dato nessuna cura. Non sapevo come fare. Dopo un anno, in cui recitai molto Daimoku per stare meglio, feci di nuovo la risonanza magnetica e il deficit osseo era passato dal 25% all’8%.
Ero meravigliata, felice e piena di gratitudine: da quel momento decisi di dedicare la mia vita a kosen-rufu. Per l’anno successivo misi lo scopo che il deficit osseo doveva ancora scendere. Quando feci il controllo il valore era sceso al 7% ed è sempre rimasto stabile, un risultato ottimo per la mia età! Grazie alla determinazione di dedicare la mia vita a kosen-rufu, il Daimoku divenne il mio punto di partenza per ogni cosa, anche per trasformare le mie insicurezze.
Così, nonostante gli impegni familiari riuscivo a fare tanta attività senza mai tirarmi indietro. In particolare cominciai a partecipare all’attività del gruppo Diamante – lo staff che si occupa di far risplendere i nostri Centri – nel primo Centro culturale di Roma. Mi dedicai a quest’attività con la gioia e la passione di contribuire allo straordinario movimento di kosen-rufu.
Mi sentivo molto onorata e ho portato avanti questa attività per più di quindici anni, vedendo crescere il gruppo Diamante che, da poche decine di persone, arrivò a quasi duecento, tra donne e uomini.
Così ho creato legami con tante persone che spesso mi chiedevano dei consigli e io raccontavo loro le mie esperienze di fede, e tanti mi hanno aiutata a crescere e mi hanno sostenuta nei momenti di difficoltà. Questa attività è stata l’occasione per uscire dalla mia chiusura e timidezza e mi ha permesso di far emergere capacità che non pensavo di avere.
Ora ho ottantuno anni, la nostra casa ospita ancora gli zadankai, la mia famiglia si è allargata con nuore e nipoti, io ho sempre tanta voglia di fare, soprattutto parlare del Buddismo a più persone possibili. La cosa più bella, il mio vero tesoro, è avere nel cuore il mio maestro ed essere circondata dall’affetto di tante persone.
Recentemente mio marito non è stato bene e quando era in ospedale tramite un’amica ho scritto una lettera a sensei e inviato un regalo alla signora Kaneko, per ringraziarli dei loro incoraggiamenti che mi hanno sostenuta in questi anni. Lui mi ha risposto in modo molto affettuoso e le sue parole mi hanno riempita di gioia. Ora Eugenio è a casa e sta bene.
Sono decisa a vivere fino in fondo con gratitudine verso sensei e la Soka Gakkai.