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Una determinazione ritrovata - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:26

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    Una determinazione ritrovata

    Al corso di Fiuggi i membri abruzzesi hanno ricevuto la solidarietà di tutti i partecipanti. Nove voci per testimoniare come, nonostante la tragedia del 6 aprile, ognuno di loro stia risorgendo e prendendo nuove decisioni

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    Al corso di Fiuggi i membri abruzzesi hanno ricevuto la solidarietà di tutti i partecipanti. Nove voci per testimoniare come, nonostante la tragedia del 6 aprile, ognuno di loro stia risorgendo e prendendo nuove decisioni

    La notte del terremoto

    Vivo a L’Aquila da quattordici anni, anche se la mia origine è pugliese. Quella domenica avevo recitato molto Daimoku. La notte del terremoto sono riuscita a reagire, mi sono vestita in fretta e sono scappata, mi sembrava un bombardamento. Mi sono precipitata in strada e ho cercato di capire cosa stesse accadendo. Ho iniziato a recitare tanto e ho continuato anche dopo aver trovato rifugio in macchina. La mattina dopo ho visto tutto distrutto, in casa l’unica cosa che era rimasta intatta era il mobile dove è custodito il Gohonzon. Con il tempo ho realizzato che ero stata davvero protetta. Dopo pochi giorni ho trovato sistemazione presso un residence. Non sono mai stata sola, ho sempre trovato praticanti che mi hanno sostenuta. Anche questo corso mi ha aiutato molto a capire quanto sono fortunata.
    Rosa P.

    La mia missione tra la gente

    Pratico da otto anni. La notte del terremoto ho sentito la prima scossa intorno alle 23, mentre stavamo andando a una festa e la macchina ha sbandato. La scossa dell’una non l’ho quasi sentita; ma mia figlia continuava a rigirarsi nel letto; è stata una grande fortuna poiché non dormivamo profondamente. Quando è arrivata la scossa delle 3,32 non riuscivamo nemmeno a muoverci. Poi siamo riusciti ad andare a L’Aquila e mio marito ha iniziato immediatamente ad aiutare a estrarre persone dalle macerie mentre io tremavo dalla paura. La mattina successiva, dato che sono medico, mi sono subito attivata poiché le persone del paese stavano tutte male. Ho lavorato notte e giorno per un mese intero. Non avevo nemmeno il tempo di recitare ma sentivo tanta forza e il desiderio di aiutare quella gente che soffriva così tanto. Le persone che incontravo mi chiedevano: «Come fai a stare così? Sei sempre sorridente!», anche se spesso quando mi veniva a trovare Vera, una mia compagna di fede, mi sfogavo e piangevo; ma era una gioia sentire di essere vive e insieme.
    Tra me e le persone del campo era nato un rapporto davvero prezioso. Le colleghe si meravigliavano di come fossi riuscita a creare forti legami, nonostante la differenza di razza e di cultura. Questo accadeva perché io mi sentivo una di loro: io e loro eravamo la stessa cosa… Ero riuscita a trasmettere questo. Adesso mi hanno chiamato per fare la guardia medica in un altro campo. Sto lavorando moltissimo.
    Eugenie T.

    Il legame con la città

    Per me, quella del terremoto, è stata un’esperienza importantissima che mi ha consentito di focalizzare diversi punti. Ho capito innanzitutto di avere avuto una forte protezione: a partire dalla casa, dai luoghi di lavoro, tutto ciò che mi stava attorno è stato protetto. La prima preoccupazione sono stati i miei figli che sono molto giovani: ho capito che dovevo allontanarli immediatamente da L’Aquila. Quelle poche volte in cui sono riuscita a recitare Daimoku avevo obiettivi chiari: volevo trovare una sistemazione migliore che mi aiutasse a riallacciare i contatti con gli altri praticanti. Soprattutto, cercavo una situazione di normalità per i miei figli, che si sono sentiti privati di tutto in un solo attimo. Ci siamo trasferiti in un luogo dove abbiamo potuto ricominciare una attività costante, forse più intensa di prima e riacquistare la serenità. Non mi sono mai sentita smarrita soprattutto quando ho compreso che non avevo perso niente perché comunque c’ero io e tutto poteva ricominciare. E poi ho scoperto un forte legame con la mia famiglia e con la città; io non sono aquilana, ma ci abito da circa trent’anni e ho deciso, insieme ai miei, che non saremmo mai andati via da questa città, per nessun motivo. Io sono dentista e lavoravo presso lo studio di una mia collega, ma il mio vero obiettivo era di lavorare con tante persone. Quando ho perso lo studio, davanti al Gohonzon mi sono trovata a dire: «Non ho più niente. Mi è rimasto solo il desiderio di poter lavorare, ma questo è ciò che conta». Si è concretizzata una cosa davvero straordinaria: l’associazione dentisti italiani ha messo a disposizione gratuitamente una struttura in cui lavorare insieme ad altri colleghi e mi è stato chiesto se volevo farne parte. È fantastico realizzare i nostri desideri così come sono, vincendo su quei limiti che noi stessi ci poniamo.
    Monica M.

    Con l’aiuto di tanti, con il Daimoku di tutti

    All’inizio ho provato un forte smarrimento insieme alla paura e al dolore di dover abbandonare la mia casa, ma nonostante questo, posso dire che mi sono sentita molto protetta. Il pensiero che mi viene adesso è legato al futuro della mia città, alla rinascita e alla ricostruzione. A fine giugno sono stata a Trets, il Centro culturale europeo, ed è stato meraviglioso incontrarsi con i membri sardi che ci hanno accolto con una sensibilità unica. Loro si incontrano ogni lunedì e recitano Daimoku per noi membri dell’Abruzzo. Proprio durante quel corso ho cominciato a pensare alla rinascita, alla ricostruzione. Appena rientrati in Italia abbiamo appreso che l’Istituto Buddista Italiano era orientato a installare un prefabbricato in città per avere un luogo dove poter recitare Daimoku in più persone, ovviando a tutte le difficoltà di praticare isolati nelle tende e io mi sono attivata insieme ad altri compagni di fede. Nel frattempo l’attività è ripartita, diverse case sono agibili e stanno ospitando le attività istituzionali e abbiamo anche appreso che potremo usufruire gratutitamente di una struttura in grado di accogliere tantissime persone. Sono certa che con l’aiuto di tutti possiamo fare molto e che le cose andranno per il verso giusto. Sono sicura che ci sarà una grande rinascita: da questa tragedia L’Aquila trarrà qualcosa di importante.
    Marilena C.

    Ovunque io vada

    Mi sono trasferita a L’Aquila nel 1981 insieme a mio figlio Mauro e pratico dal 1984. Con la pratica ho superato molte cose, acquistando sicurezza nella vita. Ho affrontato tante difficoltà: le più grandi le ho risolte perché anche mio figlio ha praticato per molti mesi. Era una bella persona. Dico era perché ora non c’è più. Un anno e mezzo fa è morto in un incidente e in quel momento ho creduto che la vita fosse finita lì.
    Sei anni fa ho incontrato il mio attuale compagno, un grande sostegno per me; entrambi pratichiamo. Lui vive a Popoli e io mi sono sempre divisa tra la mia città e la sua, ma ho sempre voluto tornare a L’Aquila; c’era il mio Gohonzon e tutti i membri con cui sono cresciuta.
    Sento di avere una grande relazione con questa città, con le persone che ci vivono e con quelle che, quella notte, se ne sono andate. Io, che ho sempre viaggiato per lavoro, la sera del 6 aprile ero a L’Aquila, avevo preso alcune medicine ed ero rimasta a casa con la febbre alta. Mi sono svegliata alla prima scossa forte, non sapevo cosa fare. La mia vicina di casa mi ha detto: «Bisogna uscire subito!». Per me è stata come la voce della salvezza.
    Lidia C.

    Il senso della vita

    Pratico da diciotto anni. Quella sera dormivo con la mia compagna in una casa al settimo piano. In un attimo ci siamo resi conto di cosa fosse l’impermanenza di tutte le cose, di una casa, di una città. L’Aquila era distrutta! Ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di andarcene. Un po’ mi sono sentito vigliacco, ma poi ho scelto di seguire l’istinto e andare via. Ci siamo trovati a Roseto assistiti in un residence. Superato il trauma e il senso di colpa della fuga, ho cercato di riprendere il senso della vita. La mia compagna ha ricominciato a lavorare e io, che avevo una serie di impegni, ho deciso di rispettarli tutti: un romanzo autobiografico e una conferenza da tenere all’Accademia di Belle Arti di Bari. E ancora, come istruttore di fuoristrada dovevo sostenere un esame di avanzamento. Ho fatto l’esame e ho preso 40/40. Sulla costa ho trovato un gruppo dove si è instaurata un’intesa bellissima.
    Manfredo N.

    In controtendenza

    Pratico da quindici anni. Il terremoto è stato descritto ampiamente: il disorientamento, la gravità. Superato il primo impatto e sostenuta dal Daimoku di tante persone, ho potuto superare i primi due mesi. Intorno a me c’era la distruzione e il terremoto mi poteva togliere tutto, ma ho realizzato che a me era rimasta la cosa fondamentale: la fede. E questo mi ha fatto ripartire.
    Ora vivo in una frazione dell’Aquila, dove è nato un nuovo gruppo. Lì dove prima non c’era nulla, membri provenienti da gruppi che ora non ci sono più, si riuniscono per fare attività. Io credo che il terremoto nella sua funzione distruttiva e disgregativa ci debba fare capire qualcosa, probabilmente la necessità dell’unità. È importante la riorganizzazione dell’Aquila come comunità di buddisti: allora poter recitare Daimoku insieme, avere dei luoghi dove ciò sia realizzabile può essere un elemento di coesione fondamentale.
    Filomena C.

    A contatto diretto con il maestro

    Mi trovavo a L’Aquila durante il terremoto. Subito dopo la scossa ho portato fuori di casa mia madre e il cane; mi sono recato in ospedale, dove era ricoverato mio padre malato terminale di tumore. A piedi per il centro ho visto molte scene forti, tante persone che stavano male. Ero disorientato e mi sembrava di aspettare un segnale dal presidente Ikeda che puntualmente è arrivato: un responsabile regionale mi ha telefonato per dirmi che dal Giappone stavano facendo Daimoku per noi e sensei voleva sapere tutti i particolari della situazione. L’Istituto si è attivato immediatamente fornendoci i beni materiali di prima necessità, e da subito sono venuti molti responsabili a incoraggiarci. Si sentiva la potenza del Daimoku che ci sosteneva, percepivamo che tante persone stavano recitando per noi.
    Mio padre l’8 maggio ci ha lasciati. Kaneda, direttore onorario dell’Istituto, in costante contatto con me, mi ha chiamato il giorno dopo dandomi un messaggio di sensei che mi diceva che aveva pregato per mio padre. Solo qualche tempo dopo sono riuscito a piangere per la perdita di mio padre e mi sono reso conto di quanto sia stata sconvolgente l’esperienza del terremoto.
    Ho determinato nuovamente di realizzare i miei obiettivi importanti, come la laurea. Inoltre, ho ritrovato la gioia di fare shakubuku. I miei datori di lavoro mi hanno offerto un contratto part-time e così ho sciolto anche il dubbio se restare o meno nella mia città. Ora l’attività è particolare. È difficilissimo esprimere all’esterno ciò che si prova, come si può vivere a L’Aquila. È difficile spiegare che non esiste più una città. Il fatto che a noi sia capitato questo evento negativo sarà un’occasione di cambiamento. È una lotta difficile ma la difficoltà è proporzionale all’occasione. L’importante è incoraggiarci a vicenda e recitare Daimoku.
    Stefano A.

    Nessuno è stato dimenticato

    Partecipo alle attività con gli aquilani dal 2001; con il passare del tempo abbiamo costruito dei legami forti e profondi. La cosa che non mi finisce di stupire è la forza che hanno dimostrato nella fede. È abbastanza normale “tentennare” dinanzi a degli eventi così catastrofici e chiedersi: «Perché sto praticando e sto subendo questo?». Ma nulla di tutto questo, anzi hanno avuto una reazione velocissima e positiva. La prima attività è stata quella di ricontattare tutti; un’intensa opera di ricerca organizzata da subito al fine di verificare la situazione di ciascun praticante. Ogni telefono che squillava e non rispondeva poteva essere qualsiasi cosa. Abbiamo perso due membri e questo è un dolore per tutti. Ma sono accadute anche cose positive come ad esempio il caso di persone che avevano smesso di praticare e hanno ricominciato!
    La cosa bella è che attualmente, al di là delle strutture e degli organigrammi, laddove spontaneamente tre, quattro persone stanno insieme, lì si riuniscono e decidono di fare una riunione di discussione. Questa ripresa naturale è molto bella: lo zadankai che esce dalla tecnica, dalla routine e diventa desiderio.
    Anche sul versante dello studio ci sono delle novità: per la prima volta in Abruzzo ci si riunisce in piccoli gruppi in cui si studia insieme e ogni partecipante diviene protagonista dello studio. Ci sono davvero le basi per ripartire con una forza diversa.
    Lea Di G.

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