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Una cura per il mondo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:31

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Una cura per il mondo

Antonella Cheli, Cecina

Mi sono resa conto che solo quando ho cominciato a pensare a kosen-rufu e a una soluzione utile a tutto il mondo, la risposta è stata immediata

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Mi sono resa conto che solo quando ho cominciato a pensare a kosen-rufu e a una soluzione utile a tutto il mondo, la risposta è stata immediata

Nel 1988 un’amica mi parlò di Buddismo. Allora ero una trentenne, sposata, con due figli: Luca e Anna, di sei e quattro anni e vivevo nella disperazione perché mio figlio zoppicava da oltre un anno per una malattia ignota. Non poterlo aiutare mi procurava una sofferenza enorme, mi sentivo impazzire. Nel frattempo sottoposi mia figlia a una serie di verifiche per accertarmi che fosse sana e da queste risultò che tutto andava bene.
Il primo contatto con la pratica buddista l’ho avuto quando fui invitata a una recitazione di Daimoku e dopo un’ora vissi un’esperienza insolita: pur non sapendo niente del Buddismo mi sentii, nonostante i miei problemi, piena di leggerezza, di energia e con la voglia di risolvere i miei guai. Grazie alla preghiera, fin da subito, nacque in me la speranza di trovare risposte sulla reale diagnosi di mio figlio; così con questa energia acquisita cercai medici ovunque, in Italia e all’estero. Risposte non ce n’erano, così sperimentai delle alternative che potessero dar sollievo a Luca: alimentazione naturale, fisioterapia, massaggi, nuoto, equitazione.
Avevo iniziato subito a praticare con impegno, regolarità e fiducia, ma con grandi sacrifici perché oltre ad avere una famiglia da accudire, lavoravo. Riuscivo comunque a recitare sempre più di un’ora di Daimoku e ogni momento era buono per farlo. Mi abbonai alle riviste dell’Istituto e assorbivo come una spugna tutto ciò che leggevo.
Dopo sei mesi mi colpì una sofferenza inaspettata: mio padre, che era stato un grande punto di riferimento per me, si tolse la vita. Il mondo mi crollò addosso e dentro di me esplose una rabbia immensa, tanto che smisi di praticare.
Furono due mesi cupi, i più brutti della mia vita, ma sia Il Nuovo Rinascimento sia Buddismo e società “bussavano” alle porte della mia solitudine spronandomi a leggere i discorsi del presidente Ikeda, un sostegno inestimabile che mi incoraggiava continuamente a non mollare. Ripresi così a praticare.
Mio figlio Luca era ancora in attesa di diagnosi e nel frattempo anche Anna, la sorellina, cominciò a manifestare gli stessi sintomi. Questa volta però non mi disperai, ma vidi in questo nuovo doloroso evento la possibilità di poter conoscere la vera natura della malattia. Sentii il bisogno di chiedere un consiglio nella fede per mettere meglio a fuoco il mio atteggiamento nella preghiera in relazione alla malattia dei miei figli. Venni incoraggiata a recitare esclusivamente per cambiare il mio karma, sottolineando che la malattia era dei miei figli e non la mia, mia era la sofferenza che questa malattia provocava. Inoltre fui incoraggiata a continuare ad agire concretamente cercando medici, a fare una pratica corretta per me e per gli altri ricordandomi che la mia esperienza sarebbe servita per kosen-rufu. Mi lasciò perplessa, ma con fiducia cercai di capire con il Daimoku tutto quello che mi aveva detto, anche perché sentivo che le sue parole avevano toccato le corde più profonde di me. Emerse il forte desiderio che i miei figli cominciassero a praticare affinché potessero cambiare il loro karma e gradualmente iniziarono a interessarsi alla pratica sperimentando qualche beneficio.
Mi facevo forza con la frase di Gosho: «Anche se può accadere che uno miri alla terra e manchi il bersaglio, che qualcuno riesca a legare i cieli, che le maree cessino di fluire e rifluire o che il sole sorga a ovest, non accadrà mai che la preghiera di un praticante del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (Sulle preghiere, RSND, 1, 306). Cominciai ad approfondire il significato di “devoto”, mi resi conto che mi mancava la “pratica per gli altri” e mi sforzai di approfondire questo punto. Conquistavo la mia fede gradino per gradino. Mi affidarono alcune responsabilità, dalla segreteria che mi portava spesso al Centro culturale di Firenze, alla responsabilità di gruppo, fino al territorio. Cercavo di agire sempre con il cuore, andavo spesso a incoraggiare i membri con gioia, instaurando legami profondi ovunque.
Praticavo da sette anni quando un giorno mia suocera mi fece leggere un trafiletto sul Corriere della Sera dove la Telethon, appena nata, riferiva del suo impegno nella ricerca sulle malattie rare e sconosciute. Era proprio ciò che cercavo. Dopo svariate peripezie, ma tanta determinazione, riuscii a prendere un appuntamento con un ricercatore e partimmo tutti per Milano: i miei figli e il padre, che aveva iniziato a praticare. Questa volta doveva essere risolutiva. Arrivammo con un pacco enorme di analisi che diagnosticavano ai bambini una malformazione fisica senza rimedio né cause. Dissi sinceramente al medico che per me c’era qualcosa che non quadrava. Mi ascoltò attentamente e fece l’esame del DNA. Dopo quindici giorni ci dette il risultato: i ragazzi avevano una malattia degenerativa rarissima causata dalla mancanza di un enzima, chiamata sindrome di Morquio tipo A, che interessa lo scheletro e tutti gli organi interni compromettendo la crescita. Aggiunse che i sintomi molto alleggeriti avevano impedito ai medici precedenti di identificare la malattia. Ci disse anche che non c’erano cure. Nonostante la dura sentenza recitai Daimoku con un sentimento di gratitudine per quei “sintomi alleggeriti”. Avevo compreso che l’alleggerimento della retribuzione karmica era vero, e quella conferma mi aveva dato maggior fiducia nel Gosho Sulle preghiere: anch’io avrei ottenuto la mia risposta! Con fiducia, tutti insieme, abbiamo continuato con forza a praticare senza arrenderci.
Nonostante la rarità della malattia è iniziata la ricerca, l’enzima è stato sintetizzato in laboratorio ed è iniziato un lungo periodo di sperimentazione che ha portato alla produzione del farmaco salvavita. Oggi i miei figli vanno ogni settimana all’ospedale Meyer di Firenze per sottoporsi a queste cure.
Questa esperienza mi ha fatto riflettere molto sulla mia fede: da quando mi sono accorta che Luca zoppicava a quando ho trovato il ricercatore di Telethon sono passati anni. Mi sono resa conto che solo quando ho cominciato a pregare seguendo il consiglio datomi, cioè pensando a kosen-rufu e a una soluzione utile a tutto il mondo, la risposta è stata immediata.
Nella vita le difficoltà non vengono mai sole, ho avuto infatti problemi di salute personali, di lavoro, di relazioni, il divorzio… Li ho affrontati e superati con il sostegno dei compagni di fede, con il Daimoku, lo studio, dedicandomi agli altri e alle attività nella Soka Gakkai. Al di là dei risultati, il grande beneficio interiore è quello di aver trasformato una parte del mio carattere che mi faceva arrendere di fronte agli ostacoli.
Anna e Luca hanno accettato di mettere la loro vita al servizio degli altri, prendendosi cura della Divisione giovani; si sono laureati in psicologia, vincendo entrambi una borsa di studio. Fin da subito hanno cominciato a lavorare nel campo dell’istruzione come educatori. Desidero ringraziare sensei dal profondo del cuore per tutti gli incoraggiamenti che mi ha dato e continua a darmi. Voglio rinnovare il mio voto per kosen-rufu portando avanti gli obiettivi dei miei maestri senza rinnegare l’insegnamento buddista che mi ha permesso di comprendere e affrontare con dignità difficoltà insormontabili.

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Con energia e naturalezza

Una profonda gratitudine verso la famiglia, i compagni di fede e il presidente Ikeda. E l’incrollabile certezza, di due giovani, di poter vivere al cento per cento

Luca: Mi sono avvicinato al Buddismo con naturalezza e con un’estrema libertà, da sempre ho percepito nei miei genitori una forza e un approccio ai problemi straordinari che mi hanno permesso di non sentirmi mai in difetto rispetto agli altri e alla vita. All’età di quattordici anni ho iniziato a praticare, avevo tanti scopi: la salute, la scuola e poi il lavoro, i sentimenti… Grazie a una pratica seria e intensa e alle attività nella Divisione giovani, ho realizzato tutti i miei sogni. Oggi ho trentaquattro anni e la voglia di sognare e di affrontare nuove sfide non è cambiata.

Anna: Non ho mai vissuto i miei problemi di salute con tristezza o rassegnazione. Ogni giorno mi sforzo di non avere rimpianti, sfidandomi quotidianamente con le mie difficoltà per realizzare la mia vita e i miei sogni. Pratico il Buddismo e vivo con forza e gioia grazie all’esempio di mia mamma che da sempre mi ha spronata a non mollare e ad andare fino in fondo. Desidero con tutto il cuore poter incoraggiare con la mia esperienza tutte le persone che incontro offrendo ogni giorno una prova concreta dell’energia e della validità del Buddismo.

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