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Un futuro di pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:28

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Un futuro di pace

Stefania Carboni, Senigallia (AN)

Con la pratica e l’attività per gli altri ho potuto reagire al senso di impotenza e non subire la frustrazione che si prova nel vivere in quest’epoca di violenza e di guerra

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Con la pratica e l’attività per gli altri ho potuto reagire al senso di impotenza e non subire la frustrazione che si prova nel vivere in quest’epoca di violenza e di guerra

Ho iniziato a praticare nel 1985 e, fra alti e bassi, Daimoku e sforzi, ho visto fiorire la Soka Gakkai nella mia regione e formato una famiglia armoniosa. Mi sono inventata un lavoro: educatrice animatrice interculturale nelle scuole primarie del comune di Fano e dopo diciotto anni di contratti di collaborazione coordinata continuativa, all’età di cinquant’anni, ho vinto un concorso e firmato un contratto a tempo indeterminato. Poi c’è stato un periodo in cui ero sempre di corsa tra lavoro e famiglia; non riuscivo più a fare shakubuku e mi capitava di fare Gongyo per abitudine.
Nel 2012 sono andata in crisi: su internet seguivo un giornalista inviato di guerra che postava drammatiche foto di bambini siriani di fronte alle quali provavo un profondo dolore e una frustrazione acuta. I normali canali d’informazione non ne parlavano e questo silenzio provocava in me una grande rabbia. Guardavo quelle foto con le lacrime agli occhi e mi chiedevo come togliermi di dosso quel dolore e il senso d’impotenza.
Avevo due possibilità: soffocare quella sofferenza o fare qualcosa. Ho ricominciato a praticare con una nuova determinazione dicendo a me stessa: so che non posso fermare una guerra, ma voglio fare qualcosa. Mi tornavano in mente le parole del Gosho: «Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità di tutti i quadranti del paese» (RSND, 1, 25). Nella Proposta di pace 2012 Daisaku Ikeda parla di un modo di vivere caratterizzato da un’intima risonanza con il dolore degli altri e dell’impegno instancabile per alleviarlo. Questo dolore è mio, mi son detta, e ho pregato per illuminare quel buio. Come sempre il Daimoku e lo studio del Buddismo hanno prodotto un cambiamento e così ho deciso: attraverso il mio lavoro nelle scuole, avrei sensibilizzato bambini, maestre, genitori e collaboratori per un progetto… speciale! Avrei risposto al dolore con un’ondata di gioia e sensibilizzato all’ingiustizia della guerra più persone possibili!
Nel giugno 2013 mi sono messa all’opera, recitavo Daimoku per avere l’idea giusta, poi per avere il consenso della direttrice, dell’assessore, dei presidi delle scuole e, cosa fondamentale, le adesioni delle classi. A ottobre tredici classi con circa trecentocinquanta alunni e le loro famiglie avevano aderito al progetto di fare per Natale un mercatino di solidarietà. Ho continuato a recitare tanto Daimoku per avere l’energia di seguire i laboratori di ceramica e pittura di tutte le classi e per organizzare in piazza l’intera manifestazione aperta alla città in cui sarebbero state coinvolte centinaia di persone! Tutto doveva andare bene! Nel frattempo contattai il fotoreporter che aveva ispirato il mio cambiamento, il quale acconsentì con gioia a venire a Fano per incontrare i bambini nelle diverse scuole e tenere una conferenza cittadina. Il mercatino di Natale fu un vero successo: in poche ore raccogliemmo una quantità importante di fondi.
In quel periodo avevo parlato a diverse persone del Buddismo e nel 2014 due amiche hanno ricevuto il Gohonzon. Volevo che l’ondata di solidarietà proseguisse, ma le cose non erano né scontate né facili. Le parole di Ikeda mi aiutarono a non arrendermi: «Niente può fermare una persona che recita Daimoku» e «Il maestro crede nella tua vittoria!». Così, nonostante gli ostacoli, il progetto ha continuato il suo percorso e nel giro di tre anni altre scuole ci hanno seguito, ai mercatini di Natale si sono aggiunte tre aste di quadri dei bambini. Nel 2015 il progetto è stato sostenuto dal sindaco, si sono anche inserite associazioni cittadine che si occupano dell’infanzia, e nel teatro di Fano è stata allestita una mostra fotografica. Le manifestazioni si moltiplicavano come un’onda.
In questi anni, grazie ai fondi raccolti, abbiamo sostenuto i bambini siriani costruendo un parco giochi in un orfanotrofio al confine con la Turchia che ospita settanta bimbi, e abbiamo sostenuto i maestri di una scuola nel campo profughi di Atma che ospita trecento bambini. Lo scopo è di organizzare un doppio turno di lezioni per altri duecento bambini, per far sì che cinquecento di loro ogni giorno, per cinque ore, possano evitare le tende del campo e avere un’istruzione.
Circa mille bambini delle diverse scuole di Fano hanno avuto l’occasione di divertirsi creando valore: hanno incontrato e ascoltato l’esperienza del fotoreporter che con le sue fotografie ha dato “voce” a chi la guerra non la vuole, e hanno commentato le sue immagini. È iniziato anche uno scambio di disegni tra i bambini dell’orfanotrofio siriano e quelli di Fano.
Con la pratica e l’attività per gli altri ho potuto reagire al senso di impotenza e non subire la frustrazione che si prova nel vivere in quest’epoca di violenza e di guerra; ho potuto alzare lo stato vitale e creare valore con il mio lavoro insieme ai bambini che con gioia hanno avuto occasione di fare qualcosa per altri bambini. Vedere la loro sensibilità sbocciare mi ha resa felice.
A luglio del 2016 una insegnante ha ricevuto il Gohonzon e a settembre l’amministrazione comunale ha dato un no definitivo a continuare il progetto, ma la rete di contatti stabiliti mi ha permesso, pur restando dietro le quinte come volontaria, di coinvolgere le scuole e il sindaco del comune accanto, e il progetto sta andando avanti.
Posso affermare con certezza che l’esperienza fatta nell’attività buddista è stata fondamentale nell’organizzare tutto questo. Per me il lavoro e l’attività non sono separate e voglio proseguire senza arrendermi mai. Comprendo sempre di più il valore dei giovani, che sono Bodhisattva della Terra, e ho capito perché sensei ci spinge a sostenerli: sono il nostro futuro, un futuro di pace.

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