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Tutti i nodi vengono al pettine - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:51

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Tutti i nodi vengono al pettine

Paola Attanasio, Napoli

Anche con il mio nuovo compagno non avevo cambiato il modo di percepire il rapporto: stavo riproponendo il solito schema. I nodi irrisolti stavano tornando, ma questa volta avevo il Gohonzon

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Anche con il mio nuovo compagno non avevo cambiato il modo di percepire il rapporto: stavo riproponendo il solito schema. I nodi irrisolti stavano tornando, ma questa volta avevo il Gohonzon

Quando mio fratello, buddista da anni, mi ha parlato della pratica ero in un periodo difficile. Sposata e con un lavoro, non ero felice. Litigavo con mio marito e soffrivo perché, nonostante mi fossi sottoposta a diverse inseminazioni artificiali, non ero riuscita a diventare mamma. Una mattina mi sono svegliata con in mente Nam-myoho-renge-kyo, che riecheggiava insieme a tutte le parole incoraggianti di mio fratello, e tanta voglia di cambiare. Era il 2003 e iniziai a praticare. Ogni Daimoku rendeva tutto più chiaro. Attribuivo a mio marito la responsabilità di una vita noiosa, ma in realtà ero io ad avere l’inconscia convinzione che essere moglie significasse vivere in funzione di “lui”, e così, senza accorgermene, offendevo la mia vita non rispettandomi e non coltivando i miei sogni. Riproponevo uno schema già vissuto con mio padre che mi aveva imposto tante cose, di lasciare la scuola, di lavorare dove lavorava lui per controllarmi. Non ero riuscita a replicare al suo volere per non deluderlo e non contrastarlo. Pensavo che esprimere affetto significasse assecondare e non avevo mai creduto di meritarmi di più. Capii che mi ero sposata per “scappare” da quel senso di oppressione a cui ero stata incapace di dare risposta. Per spezzare questo circolo di sofferenza, risultato di un matrimonio su presupposti sbagliati, decidemmo di separarci. Dopo sei mesi, nel giugno 2004, con tanta gratitudine, ho ricevuto il Gohonzon nella casa dove vivevo da sola a Frattamaggiore. Pregavo per la mia felicità assoluta, leggevo gli incoraggiamenti del presidente Ikeda, facevo molta attività di protezione come byakuren, prima nelle grandi riunioni a Napoli, poi nel Centro culturale di Salerno. Ogni attività ha rappresentato un passo avanti nella mia vita. Ho iniziato a recitare Daimoku per trovare un lavoro che mi piacesse.
Dopo un mese è arrivata una risposta inaspettata: ho incontrato Stefano, un uomo stupendo. È stato amore a prima vista. Aveva tutte le caratteristiche che avevo sempre desiderato, ma all’inizio non mi sentivo alla sua altezza. Esprimere questo disagio al Gohonzon mi ha permesso di avanzare nella mia rivoluzione umana.
Dopo sei mesi abbiamo iniziato a convivere nel quartiere di Pianura e, grazie al suo incoraggiamento e sostegno economico, ho iniziato nuove esperienze lavorative. Nonostante tutto andasse apparentemente bene, nel lavoro, nell’attività buddista, non ero mai contenta di me. Continuavo a non vedere il mio valore e così, più desideravo costruire una famiglia con Stefano, più lui mi sembrava interessato ad altro. Adesso capisco che anche con il mio nuovo compagno non avevo cambiato il modo di percepire il rapporto: stavo riproponendo il solito schema. I nodi irrisolti stavano tornando, ma questa volta avevo il Gohonzon e l’incoraggiamento del mio maestro.
Intanto mi avevano proposto la responsabilità di un gruppo a Bagnoli, città vicina a quella in cui abito, e avevo accettato con gioia. È stata davvero l’occasione per imparare a “prendermi la responsabilità della felicità di ogni singola persona” del mio gruppo, sostenendola nei momenti difficili e sentendo ogni loro vittoria come la mia. Il mio punto dolente allora è venuto fuori con chiarezza: l’impossibilità di avere figli in maniera naturale era una sofferenza reale e profonda che non avevo mai voluto davvero affrontare. Questo disagio è esploso nel momento in cui, nonostante mi fossi sottoposta per due volte all’inseminazione artificiale, non riuscii a restare incinta. Il copione si ripeteva: facevo ricadere tutte le mie frustrazioni e il mio senso di inadeguatezza sul mio compagno accusandolo di non rendermi felice, nonostante lui cercasse di farlo in ogni modo.
In questo mio momento di sofferenza, alla fine 2007, si aggiunse il disastro della spazzatura per le strade di Pianura che contribuì a dare un’accelerazione alla mia vita e alla mia fede. Furono giorni terribili: tanta gente – me compresa – scese in piazza per chiedere provvedimenti. Mi veniva da piangere nel vedere tutta quell’immondizia, ma ricordai che il maestro sottolineava come il nostro ambiente fosse anche il nostro specchio.
L’angoscia di quei giorni mi fece capire che dovevo e potevo fare qualcosa: guidata dalle mie responsabili chiamai tutti i membri e iniziammo a turno e ininterrottamente a recitare Daimoku. Decisi che doveva nascere un gruppo buddista proprio a Pianura. È stato bello in quel momento vedere giorno dopo giorno ripulire la città e modificare pezzo dopo pezzo la mia vita. Tuttora è una lotta, ma insieme ai membri del mio gruppo siamo decisi a trasformare noi stessi e la nostra terra, consapevoli delle difficoltà a cui andremo incontro.
Nato il gruppo, sentii che abitavo lì perché avevo una missione. Determinai di fare una grande esperienza per kosen-rufu. Capii e sentii che dovevo essere d’esempio: volevo realizzare il mio desiderio più forte, la mia famiglia per kosen-rufu. Non dovevo più accontentarmi: il Buddismo spiega che o si vince o si perde e io volevo vincere a tutti i costi, finalmente sentivo che me lo meritavo.
La mia decisione di essere felice fino in fondo scatenò l’inferno nella relazione con Stefano.
Mi affidai al Gohonzon e si crearono causa e condizione perché ci lasciassimo. Dovevo trovare la felicità dentro di me, non all’esterno; la cosa più importante era di amarmi così com’ero. Ho recitato Daimoku ogni giorno per sentire il valore della mia vita a prescindere da quello che facevo. La risposta fu che lui non volle più saperne di me: non riuscivo ad accettarlo, lo tempestavo di telefonate. A un certo punto capii. Sostituii alle lacrime e al dolore la voglia di riavere una vita mia e accettare anche la fine di questo rapporto, se questo era per la mia felicità. Recitavo come mi suggeriva sensei, con senso di gratitudine. Così andai nella nostra casa a prendere le mie cose, mentre Stefano non c’era, e vidi che stava costruendo l’armadietto per custodire il Gohonzon come, pur non praticando, mi aveva promesso. Mi commossi, recitai Daimoku e compresi che dovevo avere il coraggio di sostituire i dubbi con la certezza del nostro rapporto. Lo ricontattai con la gratitudine nel cuore per quello che stava aiutandomi a fare: avere fiducia in me e in noi.
Tornammo insieme ed è stato solo il primo passo. Ho deciso di lavorare su di me, per trasformare la causa della mia insicurezza, anche utilizzando un supporto psicologico. E così io e Stefano ci siamo sposati il 21 ottobre del 2009. A questo punto mancava solo una tessera del mosaico: diventare mamma, cosa che secondo il parere dei medici era molto difficile, se non impossibile. Proprio quando ho riconosciuto di essere io stessa a non ritenermi degna di essere madre, inaspettatamente vengo chiamata per un altro tentativo di procreazione assistita. Mi sono aggrappata soltanto al Gohonzon, decisa a seguire l’incoraggiamento del Daishonin di trasformare l’impossibile in possibile. Volevo sperimentare le parole che il Daishonin scrive nel Gosho Sulle preghiere: «Non accadrà mai che la preghiera di un praticante del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (RSND, 1, 306). Con questo unico pensiero ho affrontato questa esperienza e la risposta è arrivata: lo scorso settembre sono nati Corrado e Allegra, prova di questo percorso di cambiamento e di fede. Adesso con i miei “due gioielli” mi sento felice e rinnovo ogni giorno la mia determinazione di essere di esempio, di incoraggiare a sfidarsi e non fermarsi fino alla vittoria.

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