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Terre d'incontro - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:29

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    Terre d’incontro

    In FRIULI VENEZIA GIULIA il Buddismo di Nichiren arriva nei primi anni Ottanta proprio grazie alla presenza militare. La comunità buddista si radica e si sviluppa così trasformando le caratteristiche della regione – caserme, confini e gente di passaggio – nelle basi di un movimento per la pace

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    In FRIULI VENEZIA GIULIA il Buddismo di Nichiren arriva nei primi anni Ottanta proprio grazie alla presenza militare. La comunità buddista si radica e si sviluppa così trasformando le caratteristiche della regione – caserme, confini e gente di passaggio – nelle basi di un movimento per la pace

    Il Friuli Venezia Giulia, una delle più piccole regioni d’Italia, confina con l’Austria e con la Slovenia. Il nome della regione registra la convivenza di due diverse realtà storiche e culturali: il Friuli e la Venezia Giulia, che comprende tutta l’area triestina e parte di quella goriziana.
    La presenza dei confini e la tutela della propria identità sono due elementi dominanti nella storia e nella cultura di questa regione. Per questo la posizione che Daisaku Ikeda ha espresso a Guam, in relazione al tema della cittadinanza, è per noi un’indicazione particolarmente preziosa: «Shin’ichi aveva da molto tempo liberato il suo cuore da qualunque confine. Per lui la vera patria non era più la piccola isola del Giappone nell’Asia orientale, ma l’intero globo» (NR, 411, 17).
    La storia di kosen-rufu in Friuli Venezia Giulia ha inizio nei primi anni Ottanta. Come in molte altre regioni d’Italia, dopo il viaggio di Daisaku Ikeda nel nostro paese nel 1981, hanno fatto la loro comparsa numerosi Bodhisattva della Terra.
    Le radici del nostro movimento rispecchiano le caratteristiche peculiari della regione: caserme e gente di passaggio. Ad Aviano, base militare USAF, Kimiko Dowches organizzava le prime riunioni cercando di spiegare ai friulani le basi della fede senza parlare una sola parola di italiano. Le barriere linguistiche erano superate dal comune piacere della buona cucina, dato che Kimiko, cuoca di professione, oltre ai princìpi fondamentali offriva agli ospiti il suo talento culinario.
    Nel 1982 a Vajont, il paese in provincia di Pordenone ricostruito per ospitare le vittime della tragedia della diga omonima, arriva un altro Gohonzon. Lo porta Sandy Tyler, che accompagna il marito trasferito presso la base USAF di Aviano. In seguito a Maniago si forma il primo gruppo friulano, di cui è responsabile Isabella Pasciolla, una giovane donna di Firenze trasferitasi lì per lavoro.
    Il 1984 è un anno importante per la comunità buddista friulana. A Pordenone ricevono il Gohonzon Pierluigi Dalla Villa e Daniele Aquino. Intanto Caterina Mignani inizia a praticare il Buddismo a Udine, seguita poi da Nellì Micelli, Paolo Giraldi e Alessandra Panico. A Trieste, dove da un anno praticava solitaria Marina Vascotto, approda invece Alessandra Ceccarelli. Ad Alessandra e Marina si uniscono Pippo Esposito e Luisa Rizzo, dando vita al primo gruppo triestino.
    I primi praticanti recitavano Daimoku per realizzare ogni desiderio e per risolvere qualsiasi problema e questa assoluta mancanza di ogni strategia diversa da quella del Sutra del Loto è stata la chiave per il radicamento del Buddismo di Nichiren nelle loro vite e in Friuli Venezia Giulia.
    All’inizio degli anni Novanta, oltre alla crescita dei tre nuclei originari, la comunità buddista si estende a Gorizia e nella bassa pianura friulana. Anche qui il Buddismo di Nichiren arriva grazie a una coppia toscana “di passaggio”, i Rochi, e si propaga poi fra i giovani del luogo. Il popolamento sparso, che è una caratteristica della regione, trova una perfetta corrispondenza nella presenza di membri in tante località isolate, tanto che è sorto il detto: «Paese che vai, uno zadankai».
    Attualmente in regione sono presenti trecento praticanti, ma la fase pionieristica dell’attività buddista è ancora una realtà per molti membri, che raggiungono i luoghi di riunione percorrendo lunghe distanze. È il caso, ad esempio, di Giovanna Mollica, che per dieci anni è stata l’unico membro di Tarvisio e che ha avuto come sola occasione d’incontro lo zadankai di Gemona, frequentato oggi anche dai praticanti austriaci residenti a Villach, oltre che dai membri provenienti dalle valli alpine.
    Il movimento migratorio dei bodhisattva in questa terra di confine è sempre stato intenso e il continuo scambio con le altre regioni ha contribuito in modo determinante allo sviluppo del movimento di kosen-rufu in Friuli Venezia Giulia. Inizialmente il flusso era legato alla massiccia presenza di insediamenti militari, giustificati dalla necessità di difendere l’Italia da un eventuale attacco dei paesi aderenti al Patto di Varsavia. Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’apertura delle frontiere con la Slovenia e la fine della leva obbligatoria, le aree militari sono state lentamente abbandonate dall’esercito italiano. Con l’apertura dei confini e la smilitarizzazione della regione, si è aperto un terreno fertile per l’affermazione di una cultura di pace e di dialogo.
    Seguendo l’esempio del nostro maestro, è necessario ora abbattere i confini del cuore per non sentirsi più una periferia italiana, ma un crocevia europeo. In questa direzione va ricordato il primo incontro Alpe-Adria del 1993 fra praticanti italiani, sloveni, croati e austriaci.
    Il nostro desiderio è trasformare questa terra di confine in un luogo d’incontro, in quell’oasi per il cuore umano che il nostro maestro ha descritto nel messaggio augurale per il 2009.

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    Il mio paese è dove sono felice
    Nel 1998, un incontro fra i praticanti delle regioni che confinano con il Friuli fu per Vittorio la conferma decisiva che Lubiana era la sua casa. Oggi è il responsabile giovani uomini della Slovenia
    di Vittorio P.

    Ho iniziato a praticare a Rimini nel febbraio 1987, a ventidue anni. Allora studiavo all’università ed ero nel bel mezzo di enormi problemi esistenziali che mi avevano portato anche a meditare il suicidio. Per le festività di Capodanno accompagnai, come già in altre occasioni, un gruppo di turisti in Jugoslavia. In quel viaggio accadde qualcosa di particolare che mi è rimasto impresso: entrando in Jugoslavia provai la forte sensazione di tornare finalmente a casa. Da quel momento cominciai a interessarmi più attivamente a quel paese e decisi di scrivere la tesi sul sistema amministrativo jugoslavo. Dovetti superare numerosi ostacoli, fra i quali il parere negativo della mia relatrice che sosteneva che non ce l’avrei fatta, ma tutto ciò fu solo un’occasione per sperimentare il potere e la protezione del Gohonzon. Così nel luglio 1990 mi laureai, ottenendo il massimo punteggio per la mia tesi.
    Cresceva in me il desiderio di andare a vivere in Slovenia, in particolare a Lubiana, di cui mi ero letteralmente innamorato. Tuttavia, razionalmente, mi sembrava un progetto così assurdo che non osavo neppure esprimerlo davanti al Gohonzon. Così attesi fino al 1998, quando finalmente decisi di provare a recitare Daimoku senza farmi troppe domande. Un mese dopo un mio responsabile mi chiamò per comunicarmi che al nostro primo corso autunnale in Romagna avrebbero partecipato un membro sloveno e una croata. Io ebbi il compito di contattare la responsabile slovena per i preparativi. Quando le espressi il mio desiderio di vivere là e di contribuire a kosen-rufu in quel paese, lei mi rispose che mi avrebbe invitato al loro primo corso.
    Così nel dicembre ’98 partecipai al mio primo incontro tra membri sloveni, italiani, austriaci e ungheresi a Lubiana. Da quel momento recitai Daimoku con più convinzione per trovare il modo di contribuire a kosen-rufu in Slovenia e nell’ex Jugoslavia e per realizzare il mio sogno di vivere lì. Andai più volte a trovare i membri sloveni fino a quando, nell’agosto 2000, decisi di lasciare lavoro, casa e tutto il resto e di trasferirmi là. Decisi di partire dopo il 16 marzo, per concludere con una vittoria la mia attività con i giovani italiani, e così fu.
    In Slovenia non avevo un posto dove stare, né un lavoro. Il primo problema da affrontare era trovare una casa. Dapprima cercai un appartamento confidando sull’aiuto dei membri locali. Che non arrivò. Allora mi affidai completamente alla pratica buddista e da solo, con le mie dieci parole di sloveno, trovai in un giorno cinque appartamenti tra cui quello in cui poi andai a vivere. Poco dopo, seguendo un consiglio del presidente Ikeda dato negli anni Sessanta alle donne giapponesi in America, alle quali consigliava di imparare la lingua, ottenere la cittadinanza e la patente per poter contribuire a kosen-rufu all’estero, andai a iscrivermi a un corso di sloveno e lì ricevetti un’offerta superiore a ogni mia aspettativa: lavorare come insegnante di italiano, che era quello che sognavo di fare, anche se i miei studi erano stati di tutt’altro tipo. Adesso vivo in Slovenia da otto anni e ho, nonostante l’età, la responsabilità nazionale dei giovani uomini. Insegno in un liceo, dove mi è stato anche chiesto di presentare il Buddismo in un corso, ho incontrato la mia compagna di vita e di fede che ho sposato il 3 maggio scorso e sento felicità e gratitudine perché posso vivere ogni giorno i miei sogni. Il mio desiderio adesso è incoraggiare più persone possibile ad avere sogni e a credere di poterli realizzare.

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    Il “Lumacuore” è un progetto di land art proposto da Laura Trevisan, membro dell’Istituto Buddista, e accolto con favore dall’amministrazione comunale del suo paese, Aviano, noto per l’insediamento militare Nato presente sul territorio da decenni. Da una frase di Gandhi «Il bene avanza a passo di lumaca», citata nel dialogo tra Daisaku Ikeda e David Krieger, è nata l’idea di una lumaca che trasporta un guscio a forma di cuore.
    Il Lumacuore, visibile dal satellite, sarà disegnato con un elemento che abbonda in questa terra, i sassi, trasportati sull’altopiano dai cittadini di Aviano per dare vita a una trasformazione creativa di un luogo fino a oggi associato all’immagine della base militare.

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    La vista del cuore
    Vera pioniera e maestra nell’abbattere le barriere e affrontare con coraggio i limiti imposti da una grave malattia che l’ha condotta da ragazza alla cecità. E nel vivere con uno sguardo volto al futuro
    di Caterina Mignani

    Sono arrivata in Friuli nel 1980 con un incarico di fisioterapista all’ospedale di Udine lasciando i miei genitori, in provincia di Bergamo, da anni completamente assorbiti dalla cura di una sorella più piccola, non autosufficiente a causa di una grave lesione cerebrale avvenuta durante il parto. Ricercavo la mia indipendenza anche per lei, ma per i miei genitori fu un dramma, perché avrebbero voluto proteggermi maggiormente, essendo io stessa affetta da una malattia ereditaria, manifestatasi all’età di cinque anni e che mi aveva condotto lentamente alla cecità in adolescenza.
    Appena diplomata, iniziai, dunque, una nuova vita senza esperienza alle spalle e con molte paure, con un senso di inadeguatezza e disagio continuo, anche se rafforzai un legame sentimentale nato alla fine della scuola, che diventò una relazione durata venticinque anni con un compagno assieme al quale ho condiviso le mie esperienze più importanti.
    Nel 1984, la sorella del mio compagno mi parlò di Buddismo. In pochi mesi iniziai a praticare costantemente, usavo i miei desideri come legna da ardere, perché sentivo che senza l’energia del Daimoku i miei sogni sarebbero rimasti tali. Inizialmente facevo attività procurandomi con difficoltà il materiale per non vedenti, che non era disponibile come oggi, e spostandomi a Pordenone e a Padova per la riunione mensile di studio. In seguito, nel 1990, si formò il primo gruppo a Udine e incominciai a offrire la casa per le varie attività insieme al mio compagno, che nel frattempo aveva iniziato a praticare. Negli anni accettai le varie responsabilità che mi vennero affidate, cercando di portare avanti kosen-rufu in questa terra così isolata, ma ricca di persone di passaggio.
    In questi anni friulani, tra le realizzazioni più importanti c’è certamente quella di essere diventata madre di Dario e Sunny, rispettivamente di venti e dieci anni. Per loro ho lottato con le normali paure e difficoltà che una nuova vita comporta, affidandomi, in più, al Gohonzon, recitando Daimoku affinché la mia malattia – potenzialmente ereditaria – non si manifestasse in loro. Confortata anche dai progressi della scienza, le mie paure vennero man mano sostituite da una grande sicurezza e gioia rispetto al mio obiettivo.
    Alla fine del 2004 mi sono separata dal mio compagno e, tra i pezzi del mio castello distrutto, ho ritrovato le paure e i problemi ancora irrisolti, che erano stati solo ricoperti dalle mie vittorie. Ho ricominciato, quindi, la vita da sola, affrontandola in modo rinnovato. Sono ripartita da me, accettando più profondamente la mia diversità, e da dove mi trovavo, recitando, ripartendo dall’attività come responsabile di gruppo, offrendo di nuovo la casa per le riunioni, aprendomi al contatto con persone nuove, con le quali ho stabilito uno scambio profondo. Vivo in un mondo dove la maggioranza della quotidianità e della comunicazione è basata sulla vista, ma riesco a supplire con tutti gli altri sensi e mi è chiaro quanto la mia vera felicità non dipenda dai miei occhi.
    Intendo continuare ad avanzare insieme ai miei compagni di fede, lottando in questa terra che mi ha accolto molti anni fa, con l’obiettivo che emergano sempre più persone di valore che si prendano per mano nella loro unicità, così come ho promesso al mio maestro, che dedica la sua vita a una costante ricerca di valore. Sto comprendendo che la mia felicità non dipende da quanto la ricerca sulle cellule staminali potrà offrire in futuro, ma da quanto il mio cuore si aprirà al mondo.

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