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Sulle preghiere - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:59

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Sulle preghiere

Marinella Giangreco

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Perfino un devoto del sutra che sia incapace, che manchi di saggezza, che abbia un corpo impuro o che non osservi i precetti, sarà sicuramente protetto finché recita Nam-myoho-renge-kyo. Non gettar via l’oro solo perché la borsa che lo contiene è sporca; se gli alberi di eranda fossero detestati per il loro lezzo, non ci sarebbe legno di sandalo. Chi evita lo stagno in fondo alla valle perché è melmoso non può cogliere i fiori di loto. Se [coloro che promisero di proteggerli] respingessero i praticanti del Sutra del Loto, tradirebbero la promessa fatta.

tratto da Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 9, pag. 183

In questo brano…

Nichiren Daishonin scrisse questo Gosho nel 1272, mentre si trovava in esilio sull’isola di Sado. È indirizzato a Sairen-bo, un prete della scuola Tendai anch’esso in esilio sulla stessa isola per ragioni a noi ignote. Sairen-bo si convertì al Buddismo di Nichiren Daishonin all’epoca del dibattito di Tsukahara e, una volta perdonato dall’esilio, mantenne la sua fede fino alla morte, avvenuta nel 1308. Di lui sappiamo che era un uomo molto colto e di salute cagionevole. A Sairen-bo, Nichiren indirizzerà alcune delle lettere più importanti, quali L’eredità della Legge fondamentale della vita, Il vero aspetto di tutti i fenomeni, L’entità della Legge mistica e L’Illuminazione delle piante.
In questo Gosho il Daishonin afferma, più volte e senza mezzi termini, che le preghiere del devoto del Sutra del Loto otterranno immancabilmente una risposta. Per noi credenti è particolarmente significativa la frase di questo Gosho che recita: «Può accadere che uno miri alla terra e manchi il bersaglio, che qualcuno riesca a legare i cieli, che le maree cessino di fluire e rifluire o che il sole sorga a ovest, ma non accadrà mai che la preghiera di un devoto del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (SND, 9, 182-183). Ognuno di noi è stato incoraggiato più volte da questa frase a perseverare nella fede, anche se l’ambiente non rispondeva alle nostre aspettative: immediatamente continuando a praticare il Buddismo di Nichiren con un forte ichinen, abbiamo sperimentato con la nostra vita che il Budda non mente. Un elemento che attiva l’infinito potere della preghiera di Nam-myoho-renge-kyo è la gratitudine. Il Sutra del Loto e Nam-myoho-renge-kyo permettono a ciascuno di ottenere l’Illuminazione, che ne sia consapevole o meno. E anche i fenomeni naturali dell’universo partecipano della gioia di questa Legge, manifestando il mondo di Buddità in risposta allo stato vitale illuminato degli esseri senzienti. È quindi naturale, scrive Nichiren, che l’universo intero si adoperi per proteggere le persone che praticano e insegnano la Legge di Nam-myoho-renge-kyo. Basandosi su questa certezza, il Daishonin sprona tutti noi a non lasciarci sviare dalle circostanze avverse, e a mantenere una fede risoluta fino all’ottenimento della risposta che sentiremo migliore per la nostra vita.

Sono sempre io

Uno dei concetti più affascinanti dal punto di vista teorico e, allo stesso tempo, più difficile da realizzare concretamente, è quello di sokushin jobutsu: il conseguimento della Buddità nella forma presente. Un concetto assolutamente rivoluzionario, introdotto dal Sutra del Loto, difficile da accettare perfino per la cultura orientale che pure ha sempre basato la sua filosofia sulla non dualità inerente alla vita di tutti gli esseri, figuriamoci per noi occidentali che siamo cresciuti con l’idea della separazione degli opposti: bene-male, felicità-sofferenza e così via. Nel Gosho Inferno e Buddità, si legge: «Né la pura terra né l’inferno esistono al di fuori di noi: entrambi esistono nei nostri cuori. Chi si risveglia a questa verità è chiamato Budda, chi vive nell’illusione è chiamato comune mortale. Il Sutra del Loto ci risveglia a questa verità e, per chi abbraccia il Sutra del Loto, l’inferno diventa la terra illuminata» (SND, 5, 196).
L’inferno diventa la terra illuminata. Questo mi fa riflettere. Non dice che a un certo punto, continuando a praticare, improvvisamente si materializza una terra illuminata in noi e intorno a noi come per magia o come premio alla nostra costante devozione. Dice che l’inferno si trasforma. Ma qualsiasi cosa, per potersi trasformare, ha bisogno di esistere nella sua materia grezza. Le difficoltà, le tendenze negative sono il punto di partenza. Inoltre il brano spiega molto semplicemente che l’unica differenza fra il Budda e il comune mortale è la consapevolezza che l’essenza vitale pura e libera da qualunque condizionamento è sempre presente in ogni aspetto della nostra esistenza. Il fatto di non riuscire a vedere questa realtà ci rende comuni mortali: perché nel momento in cui posso riconoscere l’inestimabile valore intrinseco alla mia vita, per quanto oscurata, sbagliata, “sporca” possa apparire in superficie, io manifesto la Buddità così come sono. Cambia la prospettiva, cambia l’atteggiamento e l’intenzione, ma io sono sempre io, con tutti i miei difetti che possono manifestarsi ancora, in qualunque momento.
Su questo punto mi sono “scornata” a lungo. Non riuscivo ad accettare l’idea di dover sempre fare i conti coi miei lati negativi, speravo ingenuamente di poterli semplicemente eclissare e così, continuando a rincorrere un’immagine idealizzata di me e degli altri, mi stavo dimenticando di vivere la vita vera.
Lo scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942), scrisse: «L’uomo senza qualità è fatto di qualità senza l’uomo». Noi tutti viviamo in una società che rincorre il successo, la vittoria. Siamo educati a non mostrare debolezze e incertezze, a nutrire solo il lato positivo e luminoso della nostra personalità. Ma tutto ciò non è reale: è assolutamente falso.
Il Daishonin ci incoraggia a non buttar via l’oro solo perché la borsa che lo contiene è sporca. La nostra vita è infinitamente ricca e degna di valore, e recitare Nam-myoho-renge-kyo ci permette di verificarlo, di sviluppare questa consapevolezza. Tutto ciò è indipendente dalle circostanze contingenti, dalla nostra negatività, dagli errori. Ogni cambiamento è possibile solo quando si è pienamente coscienti del limite, quando ci permettiamo di riconoscerlo in noi stessi e negli altri senza giudizio, senza condanna, semplicemente come una parte di sé, come una manifestazione della vita.
Invece tendiamo a vergognarci quando ci rendiamo conto di manifestare qualcosa di diverso dall’ideale verso cui tendiamo e, cosa ancor più grave, condanniamo spietatamente gli altri quando scorgiamo in loro questa discrepanza. Credo sia questa la grande illusione. Mi dà un grande senso di fiducia sapere che non esiste nulla di assolutamente negativo o positivo: alla luce della pratica buddista tutto diventa combustibile, carburante per il motore della vita.

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