«La tua voce parte da te e arriva al cuore di chi ti ascolta». Grazie all’incontro col Buddismo Giulia, cantante lirica, sente con chiarezza una forza che niente e nessuno poteva distruggere. Ciò le ha permesso di spiccare il volo verso la vita che aveva sempre sognato
Quando hai iniziato a interessarti alla musica lirica?
Ho iniziato a studiare canto a diciassette anni. La passione per la musica mi è stata trasmessa fin da piccola da mio padre, che mi faceva ascoltare i dischi di opera e di musica classica.
È stata una scelta particolare per una ragazza così giovane. Parlaci del tuo percorso artistico.
Ero affascinata da questo mondo bellissimo che è l’opera. Dopo solo un anno ho vinto il mio primo concorso di canto ottenendo una borsa di studio e il debutto in alcuni concerti. Tre anni dopo ho fatto un’audizione per accedere nel coro del Teatro Comunale di Firenze per il Maggio Fiorentino e sono entrata come corista aggiunta. Avevo tanta passione, ma solo quella non bastava. Nel 1983, per fortuna, ho incontrato il Buddismo e due anni dopo mi sono diplomata al Conservatorio. Ho iniziato a fare audizioni in Italia e all’estero sia come corista che come solista e ho vinto le audizioni all’Arena di Verona e all’Opera di Monte Carlo, iniziando a lavorare come artista del coro. Negli anni successivi ho lavorato come solista in Francia, nel Regno Unito, in Sudafrica, in Olanda facendo concerti e debuttando in molti ruoli e ho avuto la possibilità di far parte di enti lirici prestigiosi e di cantare con molti artisti di fama internazionale. Tra le esperienze che ricordo con maggiore soddisfazione ci sono la Carmen di Bizet e la Traviata di Verdi a Tokyo e Nagoya con l’Opera di Monte Carlo, e l’Aida di Verdi nel tempio di Luxor in Egitto con l’Arena di Verona.
Poi nel 1996 ho incontrato il mio attuale marito e ho deciso di concentrarmi sulla famiglia continuando la mia attività lavorativa come artista del coro e non più come solista. La musica per me è vitale, non riesco a farne a meno, accompagna la mia vita. Amo tutta la musica in tutte le sue espressioni e i generi, quando è bella e comunica all’ascoltatore emozioni profonde.
Cosa è accaduto quando la pratica buddista è entrata nella tua vita?
Sono passati esattamente trentadue anni da quando ho iniziato a praticare, perciò posso dire che il Buddismo mi accompagna e mi sostiene dagli inizi della mia carriera. In quel periodo avevo tantissimi problemi, familiari, economici, esistenziali, di relazione, ero una ragazza giovane che si dibatteva in un mondo pieno di difficoltà e ingiustizie, e ciò mi rendeva triste, impotente e in balia degli eventi. Ricordo ancora la prima volta che sono andata a una riunione e quanto mi colpì il suono del Daimoku: la sua vibrazione mi riempì il cuore e il solo ascoltarlo mi dette gioia. In quell’occasione mi fu spiegato che con la pratica potevo cambiare il mio stato vitale, diventare felice e far sì che anche gli altri potessero trasformare la loro esistenza. Avere il mezzo per trasformare la sofferenza del mondo… Incredibile! È da quel momento che la pratica buddista è entrata nella mia vita, e non ne è più uscita, cambiandola completamente, come dice il Daishonin: «Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti circonderà e ti proteggerà, signora Nichinyo, dovunque tu vada» (RSND, 1, 738).
Il primo grande beneficio è stato quello di sentirmi felice di vivere, dotata di una forza interiore che niente e nessuno poteva distruggere; ho compreso che ognuno di noi è un tesoro prezioso e che, superando i miei limiti e i miei problemi, potevo essere d’esempio per le altre persone. Più recitavo e più nasceva in me il desiderio di approfondire i miei studi sul canto. Nei due anni successivi mi sono messa molti obiettivi: diplomarmi al Conservatorio, risolvere i miei problemi e riuscire a sostenere economicamente la mia famiglia. Con tanto Daimoku e tanta voglia di diventare una donna forte e coraggiosa, gradino dopo gradino, ho realizzato tutti i miei obiettivi.
Cosa provi quando canti?
Il canto è legato alla psiche dell’essere umano, è il prolungamento della parola, è un qualcosa che ha a che fare con la parte più profonda di noi. Chi ha il desiderio di cantare ha profondamente voglia di comunicare con gli altri. Questo l’ho capito più avanti nello studio, all’inizio avevo tanta passione, voglia d’imparare la tecnica, di conoscere tutto sulla voce e di questo mondo fantastico che è il melodramma. Cantare è come liberarsi da catene invisibili. Ti senti tutt’uno con la musica e il personaggio che stai interpretando. La tua voce parte da te e arriva al cuore di chi ti ascolta, come Nam-myoho-renge-kyo. All’inizio sei preso solamente dall’emozione di esibirti e di non sbagliare, ma il Daimoku e la pratica mi hanno permesso di superare questi limiti e di liberarmi dalle paure.
Inoltre, ho avuto la fortuna d’incontrare dei maestri meravigliosi che mi hanno insegnato con dedizione e amore e da circa dieci anni anch’io mi dedico anche all’insegnamento, cercando di trasmettere ai giovani, che sono ambasciatori del futuro, la passione per la musica e il canto.