«Per quanto avverse possano essere le circostanze, il luogo dove ci troviamo in questo momento è il luogo dove compiere la nostra rivoluzione umana, dove trasformare il nostro karma. È la palestra della nostra pratica buddista; è il palcoscenico dove manifestare le prove concrete della nostra felicità. Vi prego di vincere nel luogo dove vi trovate adesso, in questo preciso istante»
Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto
[39] Shin’ichi aveva costantemente realizzato ogni idea, ogni progetto affidatogli dal suo maestro Toda. Aveva conseguito l’obiettivo di tre milioni di famiglie aderenti al Buddismo del Daishonin, aveva realizzato l’intero percorso educativo Soka dalla scuola materna ed elementare fino all’università e ai corsi post-universitari, e gettato le fondamenta di kosen-rufu mondiale. Egli parlava con orgoglio di tutte quelle realtà.
«Un giovane sconosciuto, senza una particolare posizione sociale, senza fama né ricchezze, è riuscito a condurre un’esistenza pienamente appagata, senza alcun rimpianto, grazie al suo maestro di vita. Questo è ciò che sento nel profondo del cuore. E sono riuscito ad arrivare dove sono ora grazie al sostegno dei membri di tutto il paese; desidero quindi cogliere questa occasione per esprimere a tutti voi la mia più profonda gratitudine».
A quel punto Shin’ichi fece un forte appello ai presenti: «Ora tocca a voi! A partire da oggi, mirando ai prossimi trent’anni, prego ognuno di voi di formulare la promessa di realizzare kosen-rufu e di vivere compiendo ogni possibile sforzo a tal fine».
La trasmissione che avviene dal maestro al discepolo, nel momento in cui il discepolo promette di realizzare la visione del maestro facendone la propria missione, consente di aprire la strada della “realizzazione del grande desiderio di kosen-rufu attraverso la propagazione compassionevole della Legge”. In altri termini, senza l’eterna lotta che vede uniti in un legame indissolubile il maestro e il discepolo non potrà esserci kosen-rufu. A tale scopo, Shin’ichi descrisse quale doveva essere il modo di vivere più significativo.
«Ogni volta bisogna passare all’azione con costanza e tenacia. Se si vive unicamente cercando di ottenere rapidi guadagni, non si potrà assaporare la vittoria nella vita e non si realizzerà un vero progresso di kosen-rufu. L’importante è forgiare e migliorare se stessi con fermezza e serietà, e gettare nella società solide e profonde radici di fiducia. Nel lungo termine la nostra diventerà un’epoca in cui si ricercheranno la costanza e l’onestà. Senza delle solide basi, qualsiasi cosa sarà troppo fragile per resistere alle trasformazioni dell’epoca e finirà per crollare. La vita umana, come kosen-rufu, è una lotta in cui viene messa alla prova la capacità di resistenza; per cui alla fine vincerà chi continuerà a mantenere una fede ininterrotta, con costanza e assiduità, come l’acqua che scorre. Continuando a lottare e impegnandosi con serietà nelle attività, si potrà inaugurare una nuova epoca di kosen-rufu. Vi prego inoltre di incidere nel vostro cuore che proprio nel periodo della gioventù si possono edificare le basi della fede per vincere nella vita, le basi filosofiche di una persona e vi auguro di vivere fino in fondo per adempiere il grande voto di kosen-rufu».
[…]
[41] Shin’ichi aveva ricevuto gli inviti per le riunioni generali della Divisione donne da tutti i settori del capitolo Atsuta e avrebbe voluto parteciparvi, ma si tenevano il 12, il 17 e il 20 giugno, date in cui doveva partecipare ad altre attività. La sera del 10 ne parlò con Mineko, la quale disse: «La sera dell’11 potrei andare io a ringraziare per questi inviti e il 17 potrei spostare altri impegni e partecipare alla riunione generale delle donne». Shin’ichi e Mineko erano “un’anima e un corpo”, legati da una profonda amicizia e condividevano lo stesso scopo per cui stavano lottando: kosen-rufu. Il giorno seguente, l’11 giugno, Mineko si recò presso l’abitazione della responsabile del settore Morai per incoraggiare i membri. Aveva annunciato il suo arrivo e trovò ad attenderla una decina di donne. Iniziò così una riunione informale insieme a Mineko.
«Il presidente Yamamoto avrebbe voluto partecipare alle vostre riunioni generali ma non può a causa di altri impegni, così oggi sono venuta io a porgervi un saluto».
Mineko chiese il nome a ognuna. Dopo essersi presentata, una di loro disse con voce commossa: «Mi rendo conto che fino a oggi ho potuto continuare a praticare grazie agli incoraggiamenti ricevuti dai compagni di fede che mi sono stati vicino».
Mineko annuì con un cenno del capo e disse: «Nessuno è in grado di continuare a praticare isolato dagli altri e non si può realizzare kosen-rufu da soli. Anche il presidente Yamamoto dice spesso: “Sono potuto arrivare dove sono ora grazie al sostegno di tutti i membri”. Se le relazioni tra genitori e figli possono dirsi “verticali”, quelle tra membri sono “relazioni orizzontali”. Rafforzando e avendo cura di questi legami, verticali e orizzontali, si realizza la propria felicità e il proprio sviluppo. Abbiate quindi cura dei vostri genitori, dei figli e dei familiari; e trattate con grande premura i vostri compagni di fede. Credo che coltivando queste relazioni personali si possa realmente costruire la propria felicità e conseguire kosen-rufu».
[42] Una delle signore che si erano riunite a casa della responsabile del settore Morai fu presentata a Mineko dalla vice-responsabile. «Questa signora ha perso il marito e ha cinque figli».
«È una realtà durissima! Abita lontano?» chiese Mineko, e lei rispose: «Da casa mia per venire qui bisogna fare il giro di una montagna, a piedi sono circa cinquanta minuti. Prendendo la scorciatoia in mezzo al bosco si impiega mezz’ora, ma ho paura di attraversarlo da sola. Oggi infatti sono venuta con mia figlia che è membro della Divisione giovani donne».
Mineko le disse con uno splendido sorriso: «Lei partecipa alle attività della Gakkai percorrendo sempre lunghe distanze a piedi; per la sua forza di volontà nella fede potrebbe essere paragonata a Nichimyo Shonin e a sua figlia Oto Gozen, che arrivarono fino a Sado per incontrare il Daishonin».
A quelle parole la signora spalancò gli occhi: «Chi, io?», e tutte scoppiarono a ridere.
Mineko spiegò, sempre sorridendo: «Tutti gli sforzi e le fatiche che affrontiamo praticando fioriranno sicuramente sotto forma di grandi benefici. Non arrendetevi mai, in qualsiasi situazione.
I bambini vivranno magnificamente vedendo l’esempio delle madri che si impegnano con coraggio». Poi si rivolse a una donna che teneva in braccio un neonato: «Un bimbo così piccolo non potrà lasciarlo solo neanche per un istante. Quanti mesi ha?». «Sì, è vero. Ha quattro mesi».
«Crescere i bambini è molto impegnativo e faticoso, ma diventano subito grandi. Facendo tesoro di ogni istante della loro crescita, vi prego di occuparvi dell’educazione dei vostri figli affinché diventino meravigliosi successori che si impegneranno per kosen-rufu. Attraverso l’educazione dei bambini si può imparare molto da loro. Le madri, dedicandosi alla crescita dei loro figli, possono a loro volta crescere molto dal punto di vista umano. In tal senso, i bambini sono anche dei “maestri”». A quel punto una signora si lasciò sfuggire un commento: «E così anche mio figlio è un maestro!». E scoppiò un’altra risata generale.
Mineko si rivolse alla responsabile di settore: «In questo settore siete tutte molto allegre! Un’allegria quasi travolgente! Ciò dimostra che le persone vanno d’accordo e sono unite tra loro».
[…]
[44] Dopo aver partecipato a diversi eventi a Sapporo, alle quattro del pomeriggio del 13 giugno Shin’ichi raggiunse in aereo la città di Kushiro per dare guida ai membri che abitavano nella regione orientale dello Hokkaido. Erano passati undici anni dall’ultima volta che aveva visitato quella zona. Shin’ichi si recava ora per la prima volta al Training center dello Hokkaido a Betsukai e attendeva con gioia il momento in cui avrebbe incontrato i pionieri di kosen-rufu di quella regione. Dal finestrino dell’aereo notò un vasto mare di nuvole. All’aeroporto di Kushiro accadeva spesso di non poter atterrare a causa della nebbia.
Shin’ichi disse al vice presidente e responsabile generale dello Hokkaido, Kaoru Tahara, che lo accompagnava: «È nuvoloso, pensa che ce la faremo?». «Nessun problema!».
Sentendo quella voce piena di convinzione, Shin’ichi pensò: «Sicuramente tutti i membri della regione orientale dello Hokkaido stanno recitando Daimoku con grande impegno ed energia affinché l’aereo atterri senza incidenti. Ecco perché Tahara è così sicuro che atterreremo».
Quando l’aereo si avvicinò a destinazione sorvolando Kushiro, improvvisamente si aprì uno squarcio tra le nuvole, proprio come se si aprisse una strada e apparve la città di Kushiro. Fu come assistere a un grandioso spettacolo della natura. «Questo è veramente un momento storico!». «Sì!» rispose con orgoglio Tahara.
Alle quattro e quarantacinque atterrarono a Kushiro. Dall’aeroporto al Training center c’erano circa centoquaranta chilometri da percorrere in automobile. Shin’ichi aveva determinato di incontrare anche qui il maggior numero possibile di membri, di incoraggiarli con tutto il cuore e di costruire nel profondo della loro vita delle incrollabili fondamenta nella fede.
Appena entrati nella città di Kushiro, notò alcune persone che agitavano la mano verso l’auto. Immaginando che fossero membri, Shin’ichi chiese di fermarsi e aprì il finestrino. «Grazie dei vostri sforzi. Mi stavate aspettando, vero?». Offrì due scatole di dolci che aveva preparato per incoraggiare i compagni di fede. L’auto ripartì. Mentre Shin’ichi continuava a salutare agitando la mano, sussurrò: «Come vorrei avere più tempo. Con tutti questi preziosi figli del Budda vorrei poter conversare più a lungo, vorrei incoraggiarli di più». Dedicare la propria vita interamente a kosen-rufu, ai compagni di fede: questa era la sua determinazione.
[45] L’automobile che conduceva Shin’ichi riprese velocità. Egli chiese a Kaoru Tahara, che l’accompagnava: «Mi dica se lungo la strada ci sono abitazioni di membri che ritiene debba visitare, perché non so quando potrò tornare di nuovo in questa regione». La prima casa dove Tahara lo accompagnò fu quella di Seinosuke e Yasu Ishizawa, nella città di Kushiro. La coppia gestiva un negozio di soprammobili e altri articoli da regalo.
[…]
Nel settembre del 1966 Seinosuke, allora responsabile del capitolo Kushiro Nord, aveva avuto un’emorragia cerebrale; la parte destra del corpo era rimasta paralizzata e non riusciva più a parlare distintamente. Il loro secondogenito Hiroya, dopo il liceo fu costretto ad abbandonare l’idea di continuare gli studi per mandare avanti il negozio. Il medico aveva detto alla moglie: «Consideri già tanto se riuscirà ad andare in bagno da solo». Ma Seinosuke pensò: «Io sono un membro della Gakkai, non ho nessuna intenzione di arrendermi».
Pregò quindi con impegno e si dedicò con tutte le forze alla fisioterapia. Pian piano cominciò a riprendersi e un po’ per volta a camminare. Quando i coniugi seppero della visita di Shin’ichi a Kushiro, accorsero al Centro culturale per incontrarlo.
In quell’occasione Shin’ichi disse loro con forte convinzione: «Il Gohonzon ci assicura che nessuna preghiera rimarrà senza risposta. Lei guarirà sicuramente. La prossima volta che verrò a Kushiro, mi racconti come avrà ritrovato la salute. Decida di vivere a lungo!».
La determinazione di una persona attiva quella di un’altra persona. Attraverso questa “risonanza” che avviene nel profondo della vita degli esseri umani, le guide personali riescono a “risvegliare” la fede degli interlocutori.
[46] Dopo aver ricevuto guida da Shin’ichi al Centro culturale di Kushiro, Seinosuke e Yasu Ishizawa rinnovarono la loro determinazione. Rievocarono tutto quel che era successo da quando erano entrati a far parte della Soka Gakkai, nel 1958. Avevano iniziato a praticare con il solo desiderio che Hiroya, il loro secondogenito, potesse guarire da una cardiopatia. Poco tempo dopo, il loro desiderio fu incredibilmente esaudito. In seguito, un anno e cinque mesi dopo aver aderito alla Gakkai, la loro casa e il loro pastificio furono rasi al suolo da un incendio. Scapparono solo con i vestiti che avevano addosso, ma anche quella volta riuscirono a risollevarsi e a riprendere le loro attività. Grandi o piccole che fossero, dovettero affrontare numerose prove; ma non dubitarono mai del potere del Gohonzon e determinarono di dedicare la loro vita a kosen-rufu. Impegnandosi nella recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e nella diffusione del Buddismo del Daishonin, superarono ogni prova “trasformando il veleno in medicina”.
«Anche questa volta, non c’è ragione per non rimettersi in salute. Quando sensei tornerà a Kushiro, accogliamolo pieni di salute e di vitalità!». Con questa convinzione i coniugi si impegnarono nella pratica decidendo di mostrare la realizzazione del loro obiettivo a Shin’ichi, quando lo avrebbero rincontrato. Mentre Yasu accompagnava in una stanza Shin’ichi e le persone che erano con lui, gli raccontò tutta felice che gli affari andavano bene al negozio di oggetti da regalo, che il secondogenito si era sposato ed erano nati due nipoti. Dopo un po’ tornò sua nuora che era uscita con una nipote e poi il marito Seinosuke con l’altro nipote che teneva per mano, camminando di buon passo. Appena Seinosuke vide Shin’ichi disse: «Sensei!», e si sedette in ginocchio inchinando la testa. Poi raddrizzò la schiena e cominciò a spiegare: «Ho avuto un’emorragia cerebrale…» e si interruppe: gli occhi si riempirono di lacrime e i singhiozzi gli impedirono di parlare. Al posto del marito che piangendo non riusciva più a pronunciare una parola, Yasu disse: «Ora, come può vedere, ha incredibilmente riacquistato la salute, come se non avesse quasi avuto un’emorragia cerebrale». Shin’ichi gli diede una forte stretta di mano.
«Fantastico, sono davvero felice per lei. Chi continua a impegnarsi con serietà, alla fine vince. Così ci insegna il Buddismo. Vivendo fino in fondo e partecipando attivamente al movimento della Soka Gakkai che ha la missione di conseguire kosen-rufu, si può percorrere la via corretta della fede. Per questo ha potuto sconfiggere la sua malattia».
[47] Shin’ichi lodò i coniugi Ishizawa per la vittoria realizzata grazie alla loro fede. La gioia più grande per lui era ascoltare dai compagni le esperienze dei benefici. Dopo quella conversazione, egli si recò nei negozi vicini alla loro casa per salutare le persone che vi lavoravano. Ai membri della famiglia Ishizawa che lo accompagnarono alla partenza disse: «Grazie per oggi. La mia vita si è arricchita di un altro bellissimo ricordo. Non vi dimenticherò mai. Restate sempre in buona salute!». Il giorno seguente scrisse una poesia per Yasu:
Desidero lodare
una madre di Kushiro
vegliando sulla sua storia.
Poco dopo le sei del pomeriggio, Shin’ichi e le persone che erano con lui partirono dalla casa della famiglia Ishizawa e si diressero in macchina verso un Centro culturale messo a disposizione da alcuni membri nel quartiere di Nishishunbetsu, a Betsukai, a circa settanta chilometri di distanza. […] Presso il Centro culturale di Betsukai, Shin’ichi tenne una riunione con i membri del posto; il tema era lo sviluppo di Betsukai. […]
[48] […] Shin’ichi ribadì ciò che considerava importante per il progresso di kosen-rufu in quella vasta area. «È fondamentale che qui, più che in qualsiasi altro luogo, voi membri della Gakkai andiate d’accordo e siate uniti. Anche se delle persone nella vostra comunità dovessero criticare o calunniare la Gakkai non comprendendo la natura del nostro movimento, non dovrete per nessuna ragione serbare rancore verso di loro. Conquistate la comprensione della gente sulla Soka Gakkai “avvolgendo” con compassione le persone intorno a voi, approfondendo con tenacia le relazioni umane e mostrando le vostre azioni sincere. In ciò consiste la pratica buddista».
È impossibile aprire nuove strade per realizzare kosen-rufu senza il coraggio e la perseveranza di sfidare “le raffiche di vento che si scatenano sulle pianure”.
«Se non vi arrendete mai, in qualsiasi circostanza, se contribuite alle vostre comunità mostrando la prova concreta della fede, potrete senz’altro espandere ampiamente il movimento di kosen-rufu». Con queste parole di incoraggiamento, Shin’ichi partì dal Centro culturale di Nishishunbetsu, e giunse al Training center dello Hokkaido a Odaito, nella città di Betsukai, dopo le otto e mezza di sera.
«Siamo arrivati finalmente! Prima di tutto andiamo a incontrare lo staff del Training center». Egli si avvolse il collo con una sciarpa, si coprì per proteggersi dal freddo e fece un giro all’interno dell’edificio. Erano rimasti alcune donne per preparare la riunione del giorno successivo, che prevedeva la recitazione di Gongyo. «Grazie di cuore per il vostro impegno. Oggi tornate a casa presto e riposatevi, ci vedremo anche domani». Shin’ichi pensò: «Sono tutte persone preziosissime che si sono sforzate al massimo e hanno costruito le fondamenta di kosen-rufu, resistendo alle difficili condizioni ambientali di quest’isola del nord». Il suo cuore era pervaso da un sentimento di gratitudine che si trasformò in una forte, ardente emozione.
[49] […] Un responsabile dei giovani dello Hokkaido che accompagnava Shin’ichi durante la visita, iniziò a descrivergli quanto fosse terribile il freddo nella zona di Betsukai: «In inverno, quando le temperature scendono a 30 gradi sotto zero, capita a volte di vedere i cigni bianchi, migrati fin qui, dimenarsi perché non riescono a spiccare il volo, con le zampe intrappolate nelle gelide acque dei fiumi». Poi il giovane presentò a Shin’ichi un giovane dello staff. «Sensei, le presento Katsuji Sugayama, responsabile dei giovani uomini del Centro di Nemuro. Egli si è dedicato anima e corpo anche all’allestimento di questo Centro».
«Grazie – disse Shin’ichi -. Ti conosco molto bene. Sei uno dei pionieri che hanno aperto la strada di kosen-rufu a Betsukai. Tre, quattro anni fa la tua esperienza è stata pubblicata sul giornale Seikyo. L’ho letta anch’io. Un’esperienza davvero meravigliosa». Katsuji non credeva alle sue orecchie. Non appena seppe che sensei era a conoscenza della sua storia sentì nel cuore una grande emozione.
L’incoraggiamento parte dal conoscere la persona che abbiamo di fronte. […]
[50] Il motivo che aveva spinto Katsuji Sugayama a iniziare a praticare (quando aveva diciassette anni, n.d.r.) era il desiderio di riuscire finalmente a liberarsi da quella lotta continua per la sopravvivenza. Non nutriva alcuna speranza per il futuro, ma coltivava il forte desiderio di riuscire a vincere quel senso di inferiorità che provava per il suo carattere introverso e per il fatto di non essere bravo a parlare. Un giovane più anziano nella fede lo aveva incoraggiato con ferma convinzione: «Se inizierai a praticare e ti impegnerai nell’attività della Soka Gakkai, il tuo stato vitale si rafforzerà sicuramente e riuscirai a diventare una persona di valore straordinaria che non si troverà mai in imbarazzo, in qualunque frangente. Con la pratica buddista riusciamo tutti a diventare persone del genere. Questa è la rivoluzione umana. Il futuro del Giappone, anzi il futuro del mondo intero, è sulle spalle di noi giovani. La tua missione è quella di assumerlo sulle tue spalle e aiutare questo paese e il mondo intero proprio da qui, da Betsukai».
Egli rimase affascinato da queste parole, pronunciate con una tale forza e convinzione. Sentì come se il suo mondo si fosse aperto a nuovi, vasti orizzonti.
Le parole che provengono dal profondo del cuore, piene di convinzione e passione, sono in grado di risvegliare lo spirito dei giovani. Katsuji iniziò a impegnarsi nelle attività della Soka Gakkai.
In quegli anni a Betsukai vi erano solamente quattro giovani uomini. […] Per loro recarsi a Kushiro costituiva un problema sia a livello economico che di tempo e l’attività si limitava al fatto di tenere contatti occasionali tra loro. A settembre del 1960 giunse da un membro più anziano della Divisione giovani una cartolina che annunciava che si sarebbe tenuta una riunione dei giovani uomini a Kushiro. Tutti pensarono che sarebbe stato impossibile prendervi parte perché nessuno di loro aveva i soldi per acquistare il biglietto del treno.
Nella cartolina si leggeva che la Soka Gakkai stava compiendo uno straordinario sviluppo sotto la guida del terzo presidente Shin’ichi Yamamoto, e veniva riportato questo messaggio: «Se, lasciandosi vincere dalle circostanze avverse, non si partecipa mai alle riunioni, non è possibile crescere. La priorità quindi deve essere quella di partecipare vincendo le avversità e la propria debolezza. Decidiamo, allora! Mettiamo in pratica le nostre determinazioni! Cresciamo come persone di valore che possano guidare il movimento di kosen-rufu a Betsukai!». La frase «lasciandosi vincere dalle circostanze avverse» si incise profondamente nel suo cuore. Nel frattempo il giorno della riunione si avvicinava, ma Katsuji non aveva ancora preso in cuor suo la decisione di partecipare.
[51] Il giorno prima della riunione giovani a Kushiro, egli era ancora indeciso se partecipare. Occorrevano più di tre ore di treno per arrivare a Kushiro. In quel momento Katsuji non aveva in tasca nemmeno uno yen. Ogni tanto puntando lo sguardo verso il cielo sospirava: «È facile dire “vieni”, ma come potrei andare in queste condizioni?». Continuava a tirar fuori dalla tasca la cartolina della riunione per rileggerla, e ogni volta si rafforzava in lui l’idea che fosse il caso di partecipare. La sera, tornato a casa, si distese per riposarsi un po’.
Immaginava uno dopo l’altro i volti dei membri più anziani di Kushiro, come se ciascuno lo incoraggiasse dicendo: «Ti aspetto!». «Credo in te!». «Alzati!». Si alzò di soprassalto e disse: «Posso andare in bicicletta! Non devo lasciarmi vincere dalle circostanze avverse. Voglio incontrarli e ascoltare le parole del presidente Yamamoto».
Questo sentimento affiorò chiaramente nel suo cuore. «Se esco adesso sono ancora in tempo». Montò in sella e si mise a pedalare con gran foga, come se volesse scacciare ogni esitazione.
Una strada brulla, non asfaltata, si snodava lungo tutto il percorso. Si aggrappava con forza al manubrio per evitare di cadere ogniqualvolta le ruote si imbattevano nelle radici degli alberi. Nei dintorni non si scorgevano luci di centri abitati, né di singole case.
La luna e le stelle erano avvolte da una fitta coltre di nebbia. Katsuji continuò a pedalare con tutte le forze affidandosi solo al fanale della bicicletta. Man mano che correva, il respiro si faceva sempre più affannoso. Ma lui non si scoraggiava e continuava a ripetere tra sé: «Ci sono compagni che hanno fiducia in me e mi stanno aspettando! Non mi lascerò sconfiggere!». Quel pensiero riuscì a infondere nuova forza alla sua pedalata. Dalla fronte sgorgava il sudore.
Il fatto che qualcuno creda in noi ci infonde coraggio, ci riempie di energia. La Soka Gakkai è un mondo di perfetta armonia fra esseri umani, dove la fiducia è l’elemento che unisce le persone una all’altra, dove ciascuno è capace di stimolare e far crescere l’altro. Katsuji continuò a pedalare per quattro, cinque ore. All’improvviso fu colpito sul viso da una sferzata gelida. Alzò lo sguardo verso un cielo nero come la pece: era la pioggia.
[52] Pioveva sempre più fitto. Lungo il cammino notò qualcosa che formava un grande cumulo sul ciglio della strada. Era una montagna di fieno. Katsuji fermò la bicicletta e si riparò sotto il fieno. Dopo un po’ smise di piovere ed egli riprese a pedalare. Aveva la gola secca e si mise a mangiare dell’uva di montagna che cresceva sul ciglio della strada. L’alba iniziava a fare capolino. Nella foschia mattutina si poteva scorgere la città di Kushiro.
La vista della città rassicurò Katsuji, che pensò tra sé: «Ancora un po’ e potrò incontrare tutti i miei compagni». D’un tratto, però, sentì venir meno le forze e fu assalito dalla stanchezza. Fermò la bicicletta e si sdraiò sull’erba per distendere la schiena. Si addormentò subito.
Lo svegliò la luce abbagliante del sole del mattino. Aveva dormito all’incirca per due, tre ore, ma ciò gli aveva permesso di togliersi di dosso la stanchezza. Riprese a pedalare con vigore.
Erano le otto del mattino quando finalmente entrò in città. Aveva pedalato per tutta la notte, coprendo una distanza che certamente superava i cento chilometri. Il viso di Katsuji era coperto di sudore e polvere, ma il cuore era leggero. Fu l’ingresso trionfale in città di un “re della ricerca della via” che era riuscito a vincere sulla propria debolezza.
Tutti i partecipanti accolsero con un grande applauso e grida di gioia “l’eroe di Betsukai”. Dall’atteggiamento di Katsuji compresero quale sia lo spirito di un giovane uomo della Soka Gakkai. Videro nel suo esempio cosa significa coltivare nel cuore lo spirito combattivo del sole fiammeggiante che si leva al mattino sulla pianura dello Hokkaido. Una profonda commozione riempì i cuori di quei giovani. Durante la riunione Katsuji fu nominato vice responsabile di nucleo giovani uomini, che a quei tempi era una figura di primo piano, un leader in prima linea nella Divisione giovani uomini. Quella sera stessa si rimise in viaggio in bicicletta per tornare a Betsukai. Il suo corpo era leggero e aveva tanta forza nelle gambe. Aveva il viso rosso per l’emozione provata e per la ferma determinazione che nutriva nel cuore. Nella terra di Betsukai un giovane si era alzato risolutamente in piedi, risvegliatosi alla sua missione dall’infinito passato.
Nella nostra comunità, in famiglia, nel lavoro, è sempre così: è sempre una singola persona che si alza per prima e fa emergere attorno a sé nuovi amici, proprio come i fiori profumati di mille rami che sbocciano partendo da uno solo. È questo l’immutabile principio di kosen-rufu. Il mestiere di produttore lattiero-caseario impone molti limiti di tempo. Katsuji, recitando risolutamente «per non lasciarsi mai vincere dalla circostanze avverse» riuscì a gestire il lavoro con grande abilità e, nel contempo, a trovare il tempo da dedicare all’attività della Soka Gakkai.
[53] […] Katsuji lottava duramente contro le difficoltà economiche. Mentre lavorava sodo anche distribuendo la posta o in un’officina di lamiere, si dedicava con impegno alle attività della Soka Gakkai. Anche soli cinque, dieci minuti erano per lui veramente preziosi.
Nel 1961 venne nominato responsabile di settore dei giovani uomini. I membri della Divisione giovani uomini a Betsukai erano ormai centoventi.
Per i suoi spostamenti Katsuji era passato dalla bicicletta alla moto: non era raro che percorresse anche cento, duecento chilometri in un solo giorno. La sua decisione era di perseverare anche per giorni nel visitare qualcuno, quando desiderava fortemente la sua crescita. Nel 1964 un giovane della Divisione studenti divenne insegnante e fu assegnato a una scuola elementare di Nakashibetsu.
Le enormi distanze del luogo e le rigide condizioni ambientali avevano finito per smorzare la sua volontà di partecipare alle attività della Gakkai. Katsuji continuò a fargli visita ogni giorno percorrendo con la moto circa settanta chilometri.
Dopo una settimana in cui aveva continuato a parlare al giovane, al termine di una riunione si recò a casa sua. Katsuji bussò alla porta, ma nessuno rispose. «Visto che ormai sono qui lo aspetterò per un po’», pensò e si sedette di fronte alla porta leggendo il libro del Gosho. Era aprile. Nei dintorni c’era ancora la neve e l’aria fredda era particolarmente pungente. Il giovane insegnante in realtà stava già dormendo. Passarono diverse ore. Quando il giovane si svegliò, gettò dalla finestra uno sguardo sull’ingresso di casa. Vide la sagoma di un uomo seduto e la nuvoletta bianca del suo fiato nel gelo della notte. Lì per lì si spaventò, ma poi capì che si trattava di Katsuji Sugayama che lo stava aspettando nonostante il freddo. «Signor Sugayama!» gridò, quasi senza accorgersene.
I suoi occhi erano pieni di lacrime. I due iniziarono a parlare. Commosso dalla premura e dalla sincerità di Katsuji Sugayama, quel giovane si alzò risolutamente. La passione che arde nel cuore di una persona è in grado di sciogliere persino il cuore congelato di un amico.
[54] Nel 1965, Katsuji divenne responsabile di capitolo dei giovani uomini e il 2 settembre ricevette, presso la sede della Soka Gakkai, la bandiera del capitolo direttamente dalle mani di Shin’ichi.
Un fiero spirito combattivo infiammava il suo cuore. […] Il nome dell’organizzazione di Betsukai divenne famoso per la prima volta in tutto il Giappone in occasione della diciannovesima riunione generale dei giovani uomini che si tenne a dicembre del 1970, il cui tema era “L’apertura di una nuova frontiera”. Durante la riunione Masaru Sugitaka lesse la sua esperienza raccontando di come, sognando di divenire un produttore lattiero-caseario, si era trasferito da Tokyo in quella nuova terra di Betsukai, e di come, dopo otto anni di instancabili sforzi, fosse riuscito a conquistare finalmente la vittoria. Da giovane si era stabilito in quella nuova terra pieno di speranza, e lì si era anche sposato. A quel tempo era già membro della Soka Gakkai, ma non aveva ancora deciso di impegnarsi seriamente nella pratica buddista.
All’inizio il lavoro procedeva bene. I danni causati dal freddo però, che si protrasse per ben tre anni, provocarono penuria di mangime, a cominciare dalla mancanza di erba nei pascoli. A causa di ciò, delle dieci mucche che possedeva ne rimasero solamente cinque. Masaru in quel frangente maledì la forza crudele e spietata della natura. A ciò si aggiunse la perdita del suo primo figlio di due anni, a causa di un incidente. In quella disperazione riaffiorarono nella sua mente le parole pronunciate in passato da sua madre: «Qualsiasi cosa accada, non dimenticarti mai della pratica».
Un compagno più anziano della Gakkai, intanto, andava spesso a trovarlo a casa per incoraggiarlo nonostante il freddo pungente, percorrendo ogni giorno con la moto più di cento chilometri tra andata e ritorno. Era quel giovane che faceva l’insegnante elementare a Nakashibetsu. Masaru, colpito profondamente dalla sua sincerità e passione, decise in cuor suo di rialzarsi partendo dalla pratica buddista. Recitò assiduamente e continuò a sforzarsi e a ingegnarsi per rimettere in piedi la sua attività. Grazie a ciò il suo allevamento si estese a quarantatré ettari. Date le circostanze, i vitelli che nascevano avevano un maggior valore sul mercato. Ora disponeva di ben trenta mucche da latte. Divenuto responsabile di nucleo giovani uomini continuò a far visita a casa ai membri per incoraggiarli e dar loro guide, proprio come avevano fatto con lui i compagni di fede più anziani. Tra questi uno e poi due si alzarono, uno dopo l’altro, e alla fine, a coronamento dei suoi sforzi, riuscì a creare un nucleo tale che tutti i ventitré membri partecipavano regolarmente agli zadankai.
Il futuro di kosen-rufu in ogni piccola comunità sarà brillante e luminoso solo se l’atteggiamento di dare guide personali con tutto se stessi diverrà una tradizione da tramandare.
[55] Sulla base dell’esperienza di Masaru Sugitaka che suscitò profonde emozioni alla diciannovesima riunione generale dei giovani uomini, presso la sede della Soka Gakkai fu realizzato un film dal titolo Pionieri. Dopo averlo guardato Shin’ichi disse: «Queste bellissime esperienze a Betsukai sono state sicuramente realizzate grazie ai “pionieri della pratica buddista” che hanno incoraggiato i membri e dato loro guide». Lo sguardo di Shin’ichi era rivolto a quei leader che silenziosamente, senza farsi notare, avevano continuato a sostenere i compagni di fede. Katsuji Sugayama era indubbiamente un “pioniere della pratica buddista”. Shin’ichi gli regalò un suo libro con una dedica che esprimeva tante emozioni ed elogiava lo spirito combattivo e coraggioso con cui avanzò aprendo varchi in mezzo alle traversie.
Leggendo quell’incoraggiamento Katsuji pianse per la commozione. «Sensei si preoccupa, loda e incoraggia anche uno come me! Desidero rispondere alle sue aspettative e mostrare ancora di più nella mia comunità la prova concreta della fede. Voglio realizzare un’impresa casearia redditizia affinché divenga un modello in tutta la regione».
Prese quella decisione, ma i fondi per acquistare le attrezzature necessarie erano veramente scarsi e sarebbe stata la fine se si fosse indebitato. […] Per poter sfruttare al massimo i pochi fondi che aveva decise di costruirsi la stalla, il silo e tutto ciò che gli occorreva. Cominciò il lavoro studiando da solo come ottenere il legname abbattendo gli alberi che aveva piantato suo nonno, come segare i tronchi, lavorarli e costruire edifici e impianti in legno. La gente del vicinato guardava Katsuji in modo strano. Per lui che correva in moto per incoraggiare i compagni di fede in quella pianura dove soffiava un’aria gelata, quei lavori di edilizia non comportavano alcuna fatica. Coloro che possiedono una fede autentica e continuano a forgiare la propria vita, riescono a manifestare una forza incredibile in tutti gli aspetti della vita, in ogni ambito della società. «La vita è un allenamento per diventare forti e che richiede forza»: così espresse la sua convinzione lo scrittore Inazo Nitobe, che trascorse la gioventù nella regione dello Hokkaido. Il suono del martello sul legno divenne un piacevole ritmo, un battito di speranza che risuonò nella terra di Betsukai. Grazie anche all’aiuto della famiglia, nel 1973, in soli tre anni, fu costruita una stalla di circa quattrocento metri quadrati.
[56] Dopo la stalla, Katsuji Sugayama completò la costruzione del silo e di una casa a due piani in calcestruzzo. Comprò attrezzi e macchine agricole usati che riparò lui stesso per poterli utilizzare. Preparò anche il foraggio studiandone vari tipi, e coltivò delle piante ad alto valore nutritivo. La sua impresa registrò un incredibile avanzo di bilancio e gli sguardi strani della gente divennero sguardi di ammirazione e rispetto. Katsuji continuò a bonificare il terreno fino a ottenere sessanta ettari di pascolo, e le poche mucche che aveva inizialmente divennero cinquanta da latte e venti da riproduzione. Dopo molti sforzi ottenne anche un riconoscimento per le migliorie apportate alla vigilanza igienica della produzione del latte. Al Training center dello Hokkaido, a Betsukai, Shin’ichi Yamamoto chiese a Katsuji: «Con un territorio così vasto, sarà molto difficile fare attività».
«Non ho mai calcolato le distanze percorse, ma ho utilizzato fino all’usura sei moto e cinque macchine. Tutti i responsabili di Betsukai fanno attività percorrendo distanze simili. Se l’obiettivo è incontrare i membri, per noi venti gradi sottozero non sono nulla».
Poi raccontò di responsabili che, a causa delle tempeste di neve, dopo le attività avevano trascorso la notte all’interno di grossi tubi usati per l’irrigazione agricola o che, per andare a trovare i membri nelle loro abitazioni, erano rimasti fuori casa tre giorni.
Le attività a Betsukai erano una lotta contro la potenza della natura.
Katsuji sorrise dicendo: «A me piace molto questa strofa della Canzone della rivoluzione umana: “Va avanti, sprezzante di ogni tempesta”». «State veramente mettendo in pratica queste parole», commentò Shin’ichi, e rivolgendosi ai responsabili che erano con lui, disse: «Chi ha continuato fino a oggi a portare avanti il movimento di kosen-rufu e a sostenere la Gakkai? Loro! Persone lodevoli e coraggiose, sincere e perseveranti, dalla fede pura come Katsuji Sugayama, “campioni di umanità senza nome e senza corona”, “campionesse che lottano in mezzo alla gente comune”. Alcuni affrontano la povertà altri la malattia, e circondati da ambienti ostili, difficili, a volte versando lacrime di rabbia e umiliazione o piangendo a dirotto, si sono affidati totalmente al Gohonzon e hanno preso l’iniziativa di agire insieme a me per la causa di kosen-rufu. Hanno continuato a incoraggiare i compagni di fede e a diffondere il Buddismo del Daishonin sfidando risolutamente terribili tempeste del loro karma. Queste persone sono i protagonisti di kosen-rufu, i Bodhisattva della Terra apparsi nell’Ultimo giorno della Legge, il tesoro supremo della Gakkai».
[57] La sera del 14 giugno Shin’ichi partecipò alla cerimonia di Gongyo per celebrare il quinto anniversario dell’inaugurazione del Training center dello Hokkaido. […] Durante la cerimonia lanciò questo appello: «Solo attraverso gesti che nascono dallo spirito compassionevole di chi ama e desidera dal profondo del cuore far crescere ogni singola persona, siamo in grado di far fiorire infinitamente i benefici della nostra fede. La cosa importante è la pratica per sé e per gli altri. Desidero affermare, senza alcuna esitazione, che il grande spirito di Nichiren Daishonin pulsa nel cuore di ciascuno di voi che avete coraggiosamente portato avanti queste azioni». […]
A un responsabile di capitolo che non godeva di buone condizioni fisiche spiegò alcune regole ferree per proteggere la salute e insegnò con cura il giusto atteggiamento nella fede: «Per prima cosa bisogna recitare Daimoku fino in fondo. Pregare per poter tornare in buona salute e riuscire a vivere fino in fondo per realizzare la propria missione, coltivando nel cuore il più nobile degli scopi: kosen-rufu. Così sicuramente riuscirete a far emergere dentro di voi una meravigliosa, immensa condizione vitale. Ogni responsabilità che si assume nella Soka Gakkai ha il compito di promuovere kosen-rufu. Adempiere fino in fondo a questa responsabilità è certamente un compito arduo; ma solo facendoci carico di queste fatiche realizzeremo benefici ancora più grandi e riusciremo a trasformare il nostro karma. Non bisogna mai prendere alla leggera una responsabilità. Consideratela invece come la strada maestra della vostra missione verso la felicità e impegnatevi a fondo nell’attività, con coraggio e passione». Shin’ichi era estremamente deciso nel pronunciare queste parole. Lì riuniti c’erano i compagni di fede che, alzatisi risolutamente nel vento gelido e innalzando il vessillo della Legge mistica, lottavano anima e corpo, con tutte le proprie forze. Era come se Shin’ichi intendesse infondere tutta la sua anima in quella guida.
[58] All’incontro partecipò anche un responsabile di nucleo che stava affrontando gravi problemi economici. Egli gestiva una fabbrica per la lavorazione del pesce che aveva subito un duro colpo per la linea di demarcazione per la pesca che Stati Uniti e Unione sovietica avevano tracciato l’anno precedente e recentemente adottato, fissandola a duecento miglia marine dai rispettivi confini.
La sua attività si era arenata ed era stato costretto a chiudere. Sbarcava il lunario raccogliendo verdure selvatiche e rivendendole dopo averle messe sotto sale.
Aveva sei figli, di cui due frequentavano l’Università Soka, mentre la più piccola era ancora in terza elementare. Egli stringeva i denti e ce la metteva tutta per far sì che anche la figlia più piccola potesse andare alle scuole Soka. Shin’ichi disse: «La ringrazio con tutto il cuore per gli sforzi infiniti che sta compiendo per mandare i suoi figli all’Università Soka; essi comprenderanno sicuramente il vostro cuore sincero. Sia certo che cresceranno come persone meravigliose. Dalla vostra famiglia, che ha sofferto così duramente, nasceranno dei grandi leader della gente. Se continuerà a recitare Daimoku per i suoi figli le vostre vite saranno sempre unite, superando ogni distanza. Per quanto riguarda la sua attività, si impegni sempre costantemente continuando a ingegnarsi e a studiare. Non sia mai indolente pensando che i problemi prima o poi si sistemeranno da soli. L’importante è conquistare passo dopo passo la credibilità e la fiducia della gente».
Tutti quei membri, seppur in situazioni terribili, si erano impegnati dedicandosi anima e corpo alla pratica buddista, ed erano riusciti a conquistare prove concrete di vittoria. La somma dei loro sforzi aveva portato alla realizzazione di un castello Soka inespugnabile. Shin’ichi desiderava a tutti i costi aiutare quella famiglia. Acquistò, in veste privata, una cassa contenente venti lattine di verdure sotto sale dicendo: «Me le mandi pure con calma, poco alla volta, quando saranno pronte. Non c’è alcuna fretta. Qualsiasi cosa accada non abbandonate mai la via della fede».
Il suo unico pensiero era: «Se anche una sola persona, se anche questa sola famiglia decide di alzarsi, il mio viaggio a Shibetsu avrà avuto un senso».
Shin’ichi continuò a incoraggiare i compagni di fede con tutto se stesso. Si recò poi in una sala da tè gestita da un membro, continuando a dialogare con le persone. D’improvviso un brivido gli percorse la schiena. Il suo corpo tremava. Quando tornò al Training center si misurò la temperatura; aveva 38 e mezzo di febbre.
[59] Il 15 giugno, il terzo giorno del soggiorno a Betsukai, la febbre di Shin’ichi finalmente scese. Poco prima dell’una si tenne la riunione dei responsabili dello Hokkaido. […]
Durante la riunione, citando le parole del Gosho: «Queste valli montuose e queste ampie pianure dove noi viviamo sono tutte, senza alcuna eccezione, la terra del tesoro della Luce eternamente tranquilla» Shin’ichi disse: «Dovunque ci troviamo, ricordatevi sempre che il luogo dove portiamo avanti la nostra lotta per kosen-rufu abbracciando il Gohonzon, è la nobile e preziosa “terra della Luce eternamente tranquilla”, è la terra del Budda. Perciò, per quanto avverse possano essere le circostanze, il luogo dove ci troviamo in questo momento è il luogo dove compiere la nostra rivoluzione umana, dove trasformare il nostro karma. È la palestra della nostra pratica buddista; è il palcoscenico dove manifestare le prove concrete della nostra felicità. Vi prego di vincere nel luogo dove vi trovate adesso, in questo preciso istante. Vi prego di far crescere su questa terra il grande albero della fiducia della gente, perché questa sarà la prova della correttezza di questo Buddismo».
[60] Dopo la riunione dei responsabili dello Hokkaido si tenne una festa per i membri nel giardino del Training center. Il cielo era sereno e la luce del sole metteva in risalto il verde della vegetazione.
Fu una piacevole manifestazione con cori, danze folkloristiche, esibizione di tamburi giapponesi, cerimonia di tè all’aperto e una solenne manifestazione dimostrativa di karate.
Shin’ichi rimase tutto il tempo tra i partecipanti dialogando con loro. […] Quella sera si recò a Shibetsucho, presso un piccolo ristorante gestito da membri, per incontrare e parlare con i compagni di fede dell’organizzazione locale. Un membro della Divisione uomini lanciò un accorato appello: «Sensei, ho un favore da chiederle. Io ho avuto la fortuna di poterla incontrare personalmente, ma ci sono ancora tante persone che non sono riuscite a incontrarla. La prego di fissare un’altra occasione anche per gli altri membri». Shin’ichi rispose: «Ho capito; questo è anche il mio desiderio. Domani tornerò a Sapporo. Organizziamo una cerimonia di Gongyo prima di partire. La prego di chiamare tutti i membri che potranno venire qui al Training center per mezzogiorno». Victor Hugo diceva: «Non smettere mai di parlare, non essere mai stanco e non fermarti mai». Continuare a parlare, ad agire e a lottare finché si ha forza: questo atteggiamento garantirà lo sviluppo di kosen-rufu.
[61] Il 16 giugno, ultimo giorno della visita a Betsukai, poco prima del pomeriggio un meraviglioso cielo azzurro si estendeva all’orizzonte. Anche la temperatura superava i ventidue gradi.
Pieni di gioia ed entusiasmo, i membri provenienti da Betsukai, Nakashibetsu, Shibetsu e Rausu, si erano riuniti presso il Training center dello Hokkaido per partecipare alla cerimonia di Gongyo fissata la sera prima. La maggior parte delle persone lì riunite incontravano per la prima volta il presidente Yamamoto. Vi erano membri delle Divisioni uomini e giovani uomini che, non ricoprendo alcuna carica nell’organizzazione, non avevano mai partecipato a una riunione dei responsabili; anziani che di solito non uscivano di casa; giovani madri con i bambini. Sui loro visi brillava il sorriso.
Vi erano anche amici non praticanti. Gli appuntamenti principali della riunione dei responsabili si erano conclusi il giorno prima, pertanto nel Training center erano rimasti soltanto alcuni membri dello staff. I responsabili nazionali si occuparono quindi dell’accoglienza degli ospiti e dell’allestimento della sala. Shin’ichi disse loro: «Forza! Accogliamo i nostri ospiti come se stessimo accogliendo i figli del Budda, con le mani giunte in segno di rispetto».
Iniziò la cerimonia di Gongyo. Dopo il saluto dei responsabili ci fu l’intervento di Shin’ichi. Egli augurò ai membri anziani di vivere una vita lunga e senza rimpianti; pregò le giovani madri di crescere con tenacia e pazienza i bambini, che rappresentano il tesoro del futuro. Ai giovani diede una guida in cui li spronava ad abituarsi a leggere il Gosho ogni giorno, anche per poco, e a diventare meravigliosi leader della comunità coltivando una fede e uno spirito di ricerca incrollabili.
Ricordò ai membri della Divisione uomini di coltivare sempre la consapevolezza di essere il pilastro della propria comunità, di vivere fino in fondo abbracciando il Gohonzon e di proteggere la propria famiglia con una forte fede, con una salda base economica e un alto stato vitale.
Alla fine ringraziò tutti i membri per l’impegno nel proteggere il Training center e scambiò la promessa di ritrovarsi ancora tutti lì, dopo aver fatto un’ulteriore crescita nella propria rivoluzione umana. Shin’ichi aveva continuato ogni giorno a dare incoraggiamenti e guide ai membri, perciò il suo corpo era affaticato, ma il suo spirito era così carico di energia da cacciar via anche la stanchezza. Grazie alla “pratica per gli altri” di voler incoraggiare le persone con tutto il cuore, il nostro spirito viene stimolato ed emergono coraggio e gioia.
Kanzo Uchimura, scrittore dello Hokkaido, lo afferma chiaramente: «Il principio per vincere su se stessi è aiutare gli altri».
[62] Terminata la cerimonia di Gongyo, Shin’ichi partì dal Training center verso l’aereoporto di Kushiro, per poi tornare a Sapporo. […] Quando la macchina arrivò a Kamishunbetsu, al confine con Nishishunbetsu, Kaoru Tahara, che era con lui, gli disse: «Lungo questa statale abita Noritaka Tanisawa, un membro della Divisione uomini che gestisce insieme a sua madre una drogheria e una piccola locanda sulla statale, offrendo il primo piano della drogheria per i meeting. La madre di Tanisawa, Chiaki, nonostante i suoi settantacinque anni gode ancora di ottima salute e gestisce da sola tutta la locanda. È una donna con un incrollabile spirito di ricerca che si è dedicata costantemente ad aprire la strada della propagazione in quella zona, fin dai tempi dei pionieri di kosen-rufu in Hokkaido. Questa madre diceva sempre di avere un grande sogno: poter invitare il maestro Yamamoto a casa sua, e continua a recitare Daimoku per realizzare questo obiettivo».
Shin’ichi sentì una profonda gratitudine e decise di farle visita per ringraziarla personalmente.
La premura di una persona si manifesta subito nelle azioni che compie. Nonostante la stanchezza, non si lasciò sfuggire nessuna occasione e continuò a incoraggiare i compagni con tutto se stesso.
Il suo cuore era rivolto unicamente a questo, e con tale atteggiamento costruì tutti i legami su cui si basa la Soka Gakkai.
[63] Noritaka, il figlio di Chiaki Tanisawa, era un uomo sui quarantacinque anni. Aspettava nella drogheria con lo sguardo fisso sulla strada statale battuta dal sole di inizio estate, indossando una camicia bianca. All’improvviso si fermò una macchina.
Un uomo accorse ansimante. Era Kosaku Takano, il responsabile generale di tutto lo Hokkaido che Noritaka conosceva bene. «Signor Tanisawa, il maestro Yamamoto è qui!».
Noritaka all’inizio non capì. Proprio mentre chiedeva chiarimenti, gli giunse la voce di Shin’ichi che lo salutava scusandosi per il disturbo. Noritaka rispose al saluto balbettando: «Benvenuto…».
«Lei è Noritaka, vero? – domandò Shin’ichi -. La ringrazio per tutto ciò che fa per noi. C’è anche la signora Chiaki?». «È nel Centro culturale privato che si trova più in là», rispose Noritaka, e aggiunse: «Era tutta contenta e ha detto che avrebbe aspettato lì l’arrivo del maestro Yamamoto».
«Ho capito – disse Shin’ichi – allora dopo avrò modo di incontrarla. Il lavoro come va?».
«Ci stiamo sforzando» rispose Noritaka.
Egli gestiva insieme alla madre la drogheria e una piccola locanda, ma c’era qualcosa che gli impediva di impegnarsi fino in fondo nel lavoro. Egli infatti non aveva alcuna intenzione di occuparsi dell’esercizio commerciale di famiglia. Avrebbe voluto fare il veterinario e per questo aveva frequentato il corso di zootecnia presso una scuola superiore di agraria, a Tokachi. A causa di una pleurite, però, era stato costretto a rivedere i suoi piani per il futuro. Aveva preso l’abilitazione per l’insegnamento e faceva l’insegnante in una scuola elementare.
In seguito il padre, che gestiva la drogheria, aveva contratto una grave malattia epatica. Noritaka era stato quindi costretto a prendere in mano la drogheria di famiglia al posto del padre. Il disappunto e l’amarezza per aver visto sfumare i suoi sogni di veterinario lo portarono a bere e a trascorrere le notti consumando alcool per dimenticare. Ciò gli procurò una dipendenza dall’alcool per cui era costretto a fare avanti e indietro dall’ospedale. Pur non essendo poveri, se non ci sentiamo appagati interiormente, la nostra anima è come assetata. La felicità si trova nell’arricchire e rafforzare il nostro cuore. Dietro suggerimento del fratello maggiore, che abitava a Obihiro, come ultima speranza Noritaka aveva deciso di aderire al Buddismo. Anche il padre e la madre uno dopo l’altro divennero membri della Soka Gakkai. Era il 1960.
[64] Appena diventata membro della Gakkai, Chiaki cominciò a impegnarsi assiduamente nella pratica buddista, ancor più del figlio. […]
Durante l’adolescenza probabilmente non conobbe mai l’amore e il calore di una famiglia. Si era sposata a diciott’anni. Suo marito era di salute cagionevole; soffriva infatti di malattie al fegato, ai reni e al cuore, e per questo era costretto a fare avanti e indietro dall’ospedale. Gran parte dei soldi andavano via in spese mediche, perciò i conti erano sempre in rosso. «Perché la mia vita deve essere sempre avvolta dall’infelicità?»: questo pensiero l’assillava. […] In questa situazione il figlio Noritaka, su cui faceva affidamento come la colonna portante della famiglia, cadde nella dipendenza dall’alcool.
Il cuore di Chiaki era ogni giorno sempre più attanagliato dalle tenebre della disperazione; ma proprio in quel periodo incontrò il Buddismo di Nichiren. «Praticando questo Buddismo si può assolutamente trasformare il proprio karma». «Siamo tutti nati per essere felici e questo Buddismo è la chiave per realizzare la felicità»: sentiva spesso ripetere frasi di questo tipo dai membri, che la spinsero a prendere la decisione di puntare tutto sulla pratica buddista. Recitava con una determinazione assoluta. Divorava letteralmente le guide del presidente Yamamoto pubblicate sul Seikyo Shimbun e si sfidò anche nell’attività di propagazione. Impiegava anche sei, sette ore di cammino per andare a parlare di Buddismo a un amico o incoraggiare un compagno di fede. Dopo aver iniziato a praticare, si accorse però che la clientela del suo negozio andava via via diminuendo. I clienti, che avevano preso per vero le dicerie che ruotavano attorno ai pregiudizi sulla Soka Gakkai, non andavano più a fare acquisti nel suo negozio.
Lei pensò: «Ecco l’ostacolo! Proprio come è scritto nel Gosho…». Ciò rafforzò ancor più la convinzione e la gioia nei confronti di questo Buddismo. Chiaki in cuor suo dialogava ogni giorno con Shin’ichi: «Sensei, non mi lascerò assolutamente sconfiggere. Le prometto che diventerò una persona felice. Stia tranquillo!». La strada che unisce maestro e discepolo si trova nel nostro cuore.
[65] Chiaki alla fine era riuscita a consegnare il Gohonzon a più di cinquanta famiglie. Ogni volta che incontrava un membro lo incoraggiava sempre con queste parole: «Per quanto l’inverno che stai vivendo possa essere rigido, la primavera arriva sempre. La sofferenza non dura mai in eterno».
[…] Oltre a Noritaka che era il più piccolo, aveva altri tre figli che si distinsero a livello professionale nello Hokkaido orientale, in campo educativo e nel settore dell’architettura.
Grazie alle entrate provenienti dai due esercizi commerciali, Chiaki e Noritaka non avevano più problemi economici. Noritaka però era indeciso se continuare la sua attività in quel luogo sperduto del paese. In realtà non aveva nemmeno deciso di portare avanti il negozio di famiglia.
Come se avesse letto nel suo cuore, Shin’ichi disse: «Immagino quanto sia difficile gestire un’attività qui a Betsukai, con una popolazione così piccola; ma la saggezza e la capacità degli esseri umani sono infinite, e la fede è la forza fondamentale per farle emergere. Se decidi profondamente di dedicare la tua vita a kosen-rufu, recitando Daimoku e continuando a sforzarti per trovare sempre nuove idee sicuramente riuscirai ad aprire la strada della vittoria».
Shin’ichi strinse con energia la mano di Noritaka dicendo: «Ti prego di diventare una persona di grande successo qui a Shunbetsu, a Betsukai». «Sì», rispose Noritaka con convinzione. Sentì come se le nubi che offuscavano il suo cuore si fossero d’un tratto diradate e nel suo cuore fosse tornato il sereno. Shin’ichi desiderava che la famiglia Tanisawa aprisse la strada e mostrasse ai compagni di Betsukai la prova concreta di come si può vincere nella propria comunità.
[66] Noritaka disse a Shin’ichi: «Mia madre aspettava da tempo di poterla accogliere nella nostra casa, perciò ha preparato ogni cosa e continuato a pregare per questo obiettivo. La prego di salire al primo piano». E lo condusse al primo piano, che veniva utilizzato per le attività della Soka Gakkai, a cominciare dalle riunioni di discussione. Davanti al mobile che custodiva il Gohonzon erano stati posti dei cuscini viola nuovi di zecca. «Mia madre – disse – li ha cuciti con le sue stesse mani dicendo che erano per il maestro Yamamoto».
Pensando a quest’anziana madre che aveva cucito quei cuscini con tanto amore, punto per punto, assottigliando gli occhi, il cuore di Shin’ichi si riempì di commozione. Egli si rivolse a Noritaka dicendo: «Recitiamo insieme tre volte Nam-myoho-renge-kyo. Mi permetta di usare questi cuscini in segno di rispetto per la premura di sua madre». E recitò Daimoku con profonda gratitudine, pregando per la prosperità della famiglia Tanisawa.
Pensando al giorno in cui avrebbe accolto Shin’ichi nella sua casa, Chiaki aveva anche sostituito i vecchi tatami con dei nuovi, e aveva fatto ogni preparativo per quella visita, a partire dalle tazze per il tè da offrire per l’occasione. Sebbene non lo avesse mai incontrato prima, Shin’ichi era sempre presente nel suo cuore, come maestro nella fede.
Diceva spesso di voler comprendere ancora di più il cuore di sensei, perciò continuava a recitare Daimoku ogni giorno con ferma determinazione. Si impegnava sempre per fare il report quotidiano al suo maestro, per potergli dire con fierezza di aver lottato fino in fondo anche quel giorno come sua discepola. Il Daishonin afferma: «Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-rengekyo, ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica, ma un insegnamento inferiore (Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 3)». La vera essenza di questo Buddismo si trova quando sia la Legge che il maestro sono saldamente dentro di noi. Non è la distanza a stabilire la forza della relazione tra il maestro e il discepolo. Solo quando il maestro si trova costantemente nel nostro cuore, siamo uniti a lui come discepoli tramite il più forte dei legami. In questo atteggiamento si trova la strada della non dualità di maestro e discepolo.
Percependo i sentimenti di Chiaki, Shin’ichi espresse più volte la sua profonda gratitudine verso di lei. Noritaka aprì la finestra del primo piano dicendo: «Quell’edificio laggiù è il piccolo ristorante di cui si occupa interamente mia madre, con grande entusiasmo».
[67] Shin’ichi guardò dritto negli occhi Noritaka e disse: «Che madre meravigliosa! Hai la madre migliore che si possa avere. Poi avremo occasione di fare una foto insieme a lei, intanto facciamone una noi due». «Beh… veramente» disse Noritaka, con un attimo di esitazione.
Era in imbarazzo per il fatto che Shin’ichi era vestito di tutto punto in giacca e cravatta, mentre lui non indossava nemmeno una cravatta. I due si misero in posa fianco a fianco e vennero immortalati dal fotografo del giornale Seikyo. «Arrivederci a presto, state bene!», così Shin’ichi li salutò e si affrettò verso il Centro culturale privato, a Nishishunbetsu, dove lo attendeva Chiaki. A Noritaka gli parve di sognare. Appena giunse al Centro culturale, Shin’ichi chiese immediatamente di lei.
Un’anziana signora distinta, in kimono, alzò la mano dicendo: «Sono io. Sensei, sarà certamente stanco per il lungo viaggio. Non immagina quanto ho desiderato nel profondo del cuore di poterla incontrare». Le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. Shin’ichi le strinse la mano dicendo: «Mi sono permesso di disturbare a casa sua e di sedermi sui cuscini che lei ha cucito per me. Poi ho recitato Daimoku. La ringrazio anche per le tazze da tè che ha preparato».
«Il mio sogno alla fine si è avverato. Non esiste per me gioia più grande di questa» disse Chiaki. «Anche per me. Quanti anni ha?» domandò Shin’ichi. «Settantasette» rispose.
«È ancora molto giovane. La prego di vivere a lungo e di mantenersi sempre giovane, continuando a essere “la ragazza simbolo” della sua locanda». Alle parole di Shin’ichi, Chiaki esplose in una fragorosa risata. Quando la condizione vitale di una persona è arricchita da un puro e sincero spirito di ricerca, sboccia il meraviglioso fiore del sorriso e il frutto della felicità.
Shin’ichi scrisse su un foglio una poesia e gliela donò. «Forza! Prega per poter diventare la persona più ricca di Kamishunbetsu». In essa Shin’ichi aveva impresso il suo profondo desiderio che i Tanisawa riuscissero a mostrare nella loro comunità la prova concreta della grandezza della pratica buddista.
[68] Con un profondo senso di gratitudine, Shin’ichi fece una foto insieme a Chiaki Tanisawa. Recitò Daimoku con tutti i presenti e, prima della partenza, fece un’altra foto insieme a loro invitando Chiaki a sedersi accanto a lui. Dopo aver socchiuso gli occhi come se stesse ripercorrendo con la mente tutta la sua vita, lei disse commossa: «Grazie alla pratica buddista, grazie alle guide della Gakkai e del maestro Yamamoto, adesso sono la persona più felice. Sono persino “troppo” felice. Provo un’immensa gratitudine».
La gratitudine risveglia la gioia dentro di noi e rappresenta la forza motrice capace di condurci verso una condizione vitale di felicità assoluta.
Quella sera Chiaki, il figlio Noritaka e sua moglie, riguardando la poesia che Shin’ichi aveva composto per loro, sentirono una nuova determinazione. Noritaka incise questa frase nel cuore: “Prega per poter diventare la persona più ricca di Kamishunbetsu”.
In quel momento pensò: «Devo assolutamente aver successo nel lavoro! Desidero rispondere alle aspettative che sensei ripone in me; perciò devo far prosperare non solo il mio negozio, ma anche tutta l’economia di questa zona».
Egli formulò in cuor suo questo giuramento, e partendo da ciò lavorò assiduamente con grande impegno. Pregò con tutte le forze e si ingegnò, dedicandosi anche alla sperimentazione di nuovi prodotti-regalo originali. Creò uno dopo l’altro una decina di nuovi prodotti, quali i “mochi dolci di Betsukai”, i “senbei (cracker giapponesi di riso) al latte di Betsukai” e i “senbei dolci di Betsukai”.
Alcuni di questi ebbero un grande successo e un grosso boom di vendite.
Riuscì ad allargare i canali di distribuzione anche ai supermercati, agli hotel della zona, all’aeroporto e ai grandi magazzini. Grazie a questo successo riuscì ad ampliare la superficie del piccolo ristorante da trentanove a seicentonovantatré metri quadrati. Costruì persino un parcheggio per duecentocinquanta posti auto, una fabbrica per la produzione di prodotti-regalo e una mensa aziendale con duecentocinquanta coperti. Proprio come lo aveva incoraggiato Shin’ichi nella poesia, era diventato la persona più ricca di Kamishunbetsu e Betsukai.
La madre continuò per tutta la vita, fino a poco prima di morire, a servire i clienti nella piccola locanda di famiglia e, fedele all’incoraggiamento del maestro, continuò a essere la “ragazza simbolo” di quella locanda.
Nel 1991 si spense serenamente all’età di novantanove anni e undici mesi.
Il seme per realizzare i nostri desideri è proprio un giuramento, una determinazione formulata nel nostro cuore. Incoraggiare una persona significa coltivare la terra rappresentata dal suo cuore e piantare lì questo seme.
[69] […] Dopo aver portato a termine un’agenda fitta di impegni, Shin’ichi arrivò a Tokyo la sera del 23 giugno. Il viaggio in Hokkaido era durato sedici giorni, durante i quali aveva attraversato tutta la zona, da est a ovest, per incoraggiare ogni persona. I membri con cui aveva fatto foto ricordo erano quasi cinquemila; quelli che aveva incontrato e incoraggiato erano più di ventimila.
Nello stesso periodo il clero della Nichiren Shoshu, servendosi di giovani preti e approfittando dell’autorità che derivava dal proprio ruolo, diede vita nei suoi templi a una serie di incredibili attacchi diffamatori nei confronti della Soka Gakkai. Paradossalmente, succedeva che i figli del Budda che dedicavano la loro vita alla realizzazione di kosen-rufu, il testamento del Daishonin, erano vittime di soprusi da parte di preti meschini che si dichiaravano discepoli del Daishonin.
Shin’ichi lottò fino allo stremo delle forze per riuscire ad accendere nel cuore di ognuno la fiamma della fede, una fede coraggiosa che spinge a non aver mai paura di nulla.
Ciò accadeva perché il mondo in cui vivevano era il mondo corrotto e impuro dell’Ultimo giorno della Legge, dominato dalla disumanità. Quando la tempesta infuria ancora più spaventosa, lo spirito Soka di giustizia e verità si infiamma con maggior vigore e ardore. Questo è lo spirito dei valorosi “guerrieri” che vivono per il voto di kosen-rufu.
(fine del capitolo)
(traduzione di Marcella Morganti)