Un sogno nel cassetto, lo studio, la salute, il senso di inadeguatezza perennemente in agguato, diventano per i giovani sardi occasioni per aprire gli occhi e capire, grazie alla fede, che i veri fautori della realizzazione di se stessi sono loro
Un lavoro da salti mortali
Quando il “sogno nel cassetto” bussa alla porta, Paolo decide di sfidarsi nell’attività di protezione per realizzarlo completamente
di Paolo H.
Quando a dicembre 2011 mi venne proposta la responsabilità di regione dei soka-han, decisi di ritirar fuori il mio sogno nel cassetto: fare l’attore, danzatore e acrobata in teatro. Anni prima, a causa di gravi difficoltà economiche, avevo deciso di cercarmi un lavoro stabile e, di conseguenza, fui costretto ad accantonare i piccoli lavoretti teatrali che, pur dandomi tanta soddisfazione, non mi garantivano una tranquillità economica. Però, con il passare del tempo, nonostante avessi un lavoro a tempo indeterminato e con notevoli responsabilità, mi sentivo profondamente insoddisfatto, tanto che quando parlavo di arte, di spettacolo o di teatro con qualcuno, il mio cuore piangeva in silenzio. Nella speranza di risolvere questa sofferenza, chiesi anche un consiglio nella fede e venni incoraggiato a “mantenere, nonostante tutto, il mio desiderio nel cuore”. Iniziai a fare molta attività con i giovani e a comprendere che per far funzionare questo Buddismo avrei dovuto approfondire il legame con il presidente Ikeda e non tirarmi mai indietro qualunque attività mi venisse offerta. Poco dopo mi fu proposta la responsabilità dello staff di protezione della Divisione giovani uomini: compresi subito che partendo da lì avrei attivato la svolta che tanto aspettavo e durante Gongyo di Capodanno promisi a me stesso che avrei cambiato lavoro entro l’anno, e di avere del tempo per fare attività e per i miei allenamenti.
L’azienda per cui lavoravo versava in una forte crisi, e quando ci comunicò che, a turno, dovevamo metterci in cassa integrazione, mi proposi per il primo turno. Da quel momento riallacciai i contatti teatrali, scoprendo che erano rimasti vivi e puliti. Continuavo a recitare molto Daimoku e a portare avanti kosen-rufu nella mia vita. A febbraio 2012 lasciai l’azienda e a marzo si presentò la mia occasione: le selezioni per acrobati al Teatro Lirico di Cagliari. Tornando su quel palco dove avevo lavorato dieci anni prima, sentii di aver vinto solo per il fatto di essere lì. Il provino andò benissimo e mi assunsero come figurante acrobata. Qualche mese dopo decisi di sfidarmi in qualcosa d’impossibile e a giugno partecipai alle selezioni per entrare nel corpo di ballo dell’opera Le Rossignol. Dovetti affrontare un provino estenuante e io, non essendo mai stato un vero e proprio danzatore, mi sentivo inadeguato. Mi resi subito conto, però, che quella era solo la mia insicurezza, la mia oscurità, che mi impediva di vedere la mia natura di Budda. Mi affidai al Gohonzon, pensando solo a dare il massimo. Il primo giorno delle selezioni non andò bene e il coreografo ci volle rivedere il giorno dopo. Il mio stato fisico non era dei migliori così tornai a casa e recitai quattro ore di Daimoku cercando di trasformare la mia arroganza. Il giorno dopo, alle prove, puntai a dare il massimo col mio stile di movimento, con la mia unicità. Poco dopo ricevetti una chiamata dal mio corresponsabile soka-han che mi chiedeva di sostituirlo in un’importante attività la domenica successiva, il mio unico giorno di riposo. Accettai subito pur essendo stremato dalla stanchezza, perché desideravo seguire la guida di sensei che consiglia ai giovani di “essere in prima linea per kosen-rufu“. Come chiusi il telefono, sentii la direttrice leggere il nome del primo danzatore selezionato per il corpo di ballo: «Hellies». Era il mio nome! Rimasi pietrificato e ci volle qualche secondo per sentire la sua voce che mi diceva: «Paolo, sveglia! Vai a firmare il contratto!».
Dopo questa bellissima esperienza decisi di trovarmi un lavoro che mi piacesse e soddisfacesse tutte le mie esigenze. Per questo, dopo otto mesi di corso, ho conseguito l’attestato di barman con ottimi voti. Questo lavoro si è rivelato quello giusto, perché si concilia con tutti i miei impegni e non solo: gli affari del mio datore di lavoro sono migliorati e alla fine dello stage sono rimasto a lavorare nel suo locale.
Ora sono in attesa dei nuovi provini del Teatro Lirico di Cagliari per la nuova stagione teatrale e inoltre ho l’obiettivo di viaggiare in Europa per crescere sia come uomo che come artista, mantenendo sempre nel cuore l’incoraggiamento a non arrendermi mai, come dice sensei.
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Felici tutti insieme
Alessandro si deve trasferire per una supplenza, ma decide di trovare il modo per sostenere il gruppo a distanza e di prendersi cura del suo luogo di lavoro
di Alessandro G.
Insegno musica alle scuole medie e a giugno del 2011 ho fatto domanda per entrare nella graduatoria della provincia più lontana da casa mia, essendo quella che mi garantiva più possibilità di essere chiamato per fare supplenze. Dopo aver accettato la responsabilità di gruppo, mi hanno chiamato per una supplenza dall’altra parte della Sardegna. Quella che si presentava come una bellissima opportunità, dall’altra mi generava sofferenza, perché non mi permetteva di stare vicino al luogo in cui facevo attività. Ho deciso, allora, di pregare ogni giorno per la felicità del mio gruppo e di mantenere il contatto telefonico con i miei corresponsabili, condividendo con loro gli obiettivi da realizzare entro l’anno: raddoppiare il numero dei giovani, consegnare quattro Gohonzon e far crescere una persona che mi avrebbe sostituito nella responsabilità.
Intanto cominciava la mia prima esperienza nella scuola pubblica: decisi di considerare il posto di lavoro come il luogo dove mettere in pratica le esperienze fatte nella Soka Gakkai. La mattina recitavo Daimoku per creare un ambiente armonioso con i miei allievi e colleghi, in particolare cercavo di considerare questi ultimi come membri della Divisione adulti ai quali rivolgermi per avere supporto e maggiore esperienza. Per tutto il tempo della supplenza mi sono impegnato a cercare di mettere in risalto le qualità dei miei studenti, stimolando il loro potenziale e spronandoli a credere nelle loro capacità. Una volta terminata la supplenza, ho ripreso l’attività con il gruppo e subito sono arrivati due risultati straordinari: il mio titolo di studio è stato finalmente riconosciuto per insegnare a tutti gli effetti nella scuola pubblica, e mi è stata offerta la possibilità di tenere un corso di propedeutica musicale per l’intero anno scolastico presso una scuola civica di musica dove già prestavo servizio, garantendomi la possibilità sia di lavorare che di rimanere vicino al luogo della mia attività.
Nel frattempo il gruppo è cresciuto. Ad aprile una giovane donna ha deciso di ricevere il Gohonzon: ricorderò sempre la gioia provata durante la cerimonia. In quella occasione ho compreso che consegnare i quattro Gohonzon non era una questione numerica, bensì il forte desiderio di vedere le persone felici. A settembre è stata la volta di un giovane uomo e a ottobre di una coppia di amici. Così siamo arrivati finalmente a quota quattro. Infine a novembre i giovani del gruppo erano più del doppio rispetto all’anno precedente, e vista la forte crescita, il gruppo si è diviso e la persona che avevo individuato come mio successore è diventata la nuova responsabile.
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Così semplice, così profondo
Sfidandosi nella sua “nuova personale rivoluzione umana”, Sebastian capisce che cambiare atteggiamento è l’azione più profonda che può intraprendere
di Sebastian P.
Recentemente ho sentito di dover fare mia la riflessione del direttore generale Tamotsu Nakajima sul significato di “seguire le persone”: «Per curarci di ogni singola persona partiamo sempre dalla rivoluzione umana individuale. Non si tratta di correggere gli altri, ma di migliorare se stessi con la convinzione che “se io cambio, tutto intorno a me cambia”» (NR, 507, 12).
Essendo una persona con un forte ideale di giustizia, mi sono reso conto che spesso nell’attività buddista tendo a concentrarmi sulle mie parole e sulle mie azioni per “spiegare agli altri” ciò che è giusto e ciò che è sbagliato secondo la mia visione. Recitando Daimoku e approfondendo le parole di Nakajima, ho compreso che non esiste di per sé un’azione assolutamente giusta o sbagliata, e ho percepito che tutti i giovani, esattamente come me, stanno facendo del loro meglio per portare avanti la loro rivoluzione umana e le attività all’interno dell’Istituto. Ora mi sforzo affinché le mie parole e le mie azioni siano rivolte alla lode e a esprimere la mia gratitudine per gli sforzi fatti da ognuno, e basandomi sulle guide del maestro su come migliorare l’atteggiamento, mi impegno ad applicarle per primo nella vita quotidiana. Ho notato che cambiando il mio modo di pormi è emersa intorno a me una rete di fiducia: i giovani sardi hanno deciso di realizzare kosen-rufu. Questo desiderio si sta traducendo concretamente con la crescita numerica di nuovi membri appartenenti alla Divisione giovani uomini.
In occasione della campagna “la mia prova concreta”, come tutti i giovani europei, ho deciso di prendervi parte approfondendo il significato della guida del presidente Ikeda sulla “nostra personale nuova rivoluzione umana”. Sto portando a termine il mio percorso universitario e il 30 aprile conseguirò la laurea specialistica in giurisprudenza; questo percorso è stato una continua lotta contro la mia insicurezza, contro quella parte di me che mi faceva sentire non all’altezza di conseguire un titolo di studio universitario. A maggio inizierò il praticantato presso uno studio legale e il mio sogno è quello di diventare un professionista competente che sta dalla parte delle persone comuni. La mia personale nuova rivoluzione umana è appena iniziata. So che dovrò dare battaglia al senso di inadeguatezza, all’impazienza, alla tendenza alla rinuncia e alla paura di non farcela. Sono però consapevole che continuando a seguire la rotta tracciata da sensei, potrò fare una costante crescita personale costellata di tante realizzazioni personali.
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Ma perché ce l’ha con me?
Essere bocciata per ben cinque volte dalla stessa professoressa diventa per Noemi l’occasione per capire e incoraggiare altri studenti in difficoltà
di Noemi P.
Quando mi è stata proposta la responsabilità della Divisione studenti ricordo di aver accettato subito. Essendo sempre stata una buona studentessa, credevo di poter dare un sincero sostegno a tutti gli studenti che si trovavano ad avere difficoltà maggiori delle mie. Come mi avvicinai concretamente all’attività, però, compresi subito quanto fosse complesso avere quel cuore forte e compassionevole che sente profondamente le sofferenze di uno studente in difficoltà. Comunque sia, per quanto non sentissi di avere questo tipo di sensibilità, recitavo Daimoku affinché ogni membro della Divisione studenti fosse realizzato, ma nel giro di poco tempo io per prima iniziai ad avere problemi negli studi! Infatti non superai un esame e questo mi fece perdere la possibilità di laurearmi nel periodo che avevo previsto e di sfruttare l’occasione di iscrivermi direttamente alla specialistica, costringendomi a rimandare gli obiettivi che mi ero posta. A questo si aggiunse il fatto che la docente con cui non avevo superato l’esame sembrava avercela proprio con me. Prima di allora non ero mai stata rimandata e mai stata respinta a un esame. Lei, invece, mi bocciò per ben cinque volte, e tutte le volte, a mio avviso, senza una motivazione valida del tipo: «Lei non ha studiato abbastanza» o «Lei non sa», ma erano sempre delle motivazioni legate alla mia persona: venivo accusata di essere troppo sorridente e di parlare troppo. Tutto ciò mi fece andare nel pallone, perché non mi capacitavo di ciò che mi stava accadendo. Ecco quindi che tutta la fiducia, il coraggio e la forza, che per anni mi avevano accompagnato durante il mio percorso di studi, vennero meno. Ma la cosa più terribile è che cominciai ad avere paura della docente, il pensiero di dover andare in facoltà, di doverla vedere e di dovermi sedere davanti a lei ogni volta che tentavo l’esame, si tramutarono in vera e propria ansia da prestazione, tanto da stare male fisicamente.
Per mesi, ogni mattina, davanti al Gohonzon, mi sono chiesta perché tutte quelle difficoltà stavano capitando proprio a me. Pian piano capii che il problema tra me e la docente non era inerente alle mie capacità nello studio, ma era qualcosa di più profondo, di personale. Mi sentivo spaesata e in balìa della mia negatività; nonostante ciò continuai a recitare Daimoku, a occuparmi dei giovani del mio settore e dell’attività studenti, pensando che sarei riuscita a superare quel momento, per quanto alcune volte fosse davvero dura crederci completamente. Nei momenti più bui mi confortava il pensiero che sicuramente tutta quella sofferenza sarebbe servita a qualcosa. Dopo mesi di lotta, di ore di Daimoku, di pianti, di Gosho letti e riletti, ho compreso che avevo bisogno di incamminarmi per il sentiero più ostico per aiutare il mio cuore che solo superficialmente credeva di “capire”. Lo scorso 4 marzo ho finalmente superato l’esame, ma la gioia più grande l’ho provata quando ho capito di aver fatto breccia nella professoressa. Ho cominciato a rispettarla e a provare compassione per lei, anche se più volte aveva umiliato e maltrattato me e i miei colleghi. Mi ricordai di Nichiren che offre del sakè per rifocillare le guardie che la notte prima avrebbero dovuto decapitarlo, e pensando a lui, mi sono seduta davanti alla docente e, sicura di me stessa e delle mie capacità, ho finalmente vinto. Solo ora, quando mi ritrovo a incoraggiare qualcuno dei miei colleghi, posso davvero dire: «Sento e comprendo tutto quello che stai vivendo». Credo che ogni studente debba davvero impegnarsi appieno nello studio facendo proprie le parole di Josei Toda, che ci ricorda che nello studio occorre avere la fede di una singola persona, ma metterci l’impegno di tre.
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Il momento è adesso
Solo quando Valentina decide di assumersi la piena responsabilità della sua salute, i valori della sua glicemia tornano finalmente normali
di Valentina P.
Quest’ultimo anno ho cominciato a pensare che si avvicinava il momento del mio passaggio alla Divisione donne e che proprio per questo volevo sfruttare al meglio tutte le occasioni che mi si presentavano nell’attività, pensando: «Se non ora, quando?». Ho cercato di lanciarmi nelle sfide personali, per esempio migliorare la mia salute. Soffro di diabete da quando ero piccola e da tanto ormai facevo fatica a controllare i valori glicemici, sentendomi sempre impotente e cercando soluzioni all’esterno. Circa un anno fa, in occasione di un corso regionale dello staff di protezione ho riscontrato valori molto al di sopra del solito. Ho continuato a dedicarmi agli altri e mi sono chiesta perché non riuscissi a trovare una soluzione. Sono stata incoraggiata a vedere la funzione che questo problema ha nella mia vita e ho determinato ancora più forte col Daimoku di trovare una soluzione e di assumermi la responsabilità della mia salute. Dopo qualche mese di sforzi costanti nell’attività, ho iniziato un percorso insieme a una dietista che mi ha detto che tutto dipendeva da me e che potevo tirar fuori le capacità per gestirmi: era la conferma del fatto che avevo deciso di assumermi totalmente la responsabilità della mia salute. Dopo qualche mese, per la prima volta dopo più di dieci anni, ho finalmente avuto dei valori glicemici normali! Ho deciso di scrivere al mio maestro per raccontarglielo e per ringraziarlo del sostegno e degli incoraggiamenti che mi hanno permesso di lottare e vincere contro le mie insicurezze.
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Senzatomica, senza paura
Grazie all’attività per la mostra Senzatomica, Mauro si confronta con se stesso, fa chiarezza sui suoi obiettivi, abbatte dubbi e paure
di Mauro G.
Sono responsabile della Divisione studenti in Sardegna da maggio 2012. In concomitanza con la responsabilità mi è stato proposto di far parte del comitato di studio della mostra Senzatomica. All’inizio quest’attività è stata per me motivo di grande sofferenza, infatti, pur sapendo che si trattava di un’iniziativa meravigliosa, della quale volevo fare assolutamente parte, quando la toccai con mano per la prima volta si rifece vivo il mio demone preferito: il senso di inadeguatezza. Commettevo l’errore di paragonarmi agli altri, anche con i compagni di fede, vedendoli sempre più capaci e adatti di me, sempre imperfetto e inadeguato. Alle riunioni del comitato non riuscivo a parlare, mi sentivo sempre giudicato e paventavo l’idea di lasciare l’attività perché credevo che non sarei mai riuscito a vincere la mia timidezza, e portare la campagna di “Senzatomica” fuori, nella società, fino in fondo. Mi capitò sotto mano una bellissima guida del presidente Ikeda che afferma: «Spesso sentiamo le persone affermare che sono incapaci. Ma questo è un atteggiamento disfattista. Se sentite di non essere all’altezza in qualcosa, attingete al grande serbatoio che è in voi. Poiché abbracciamo il Buddismo del Daishonin, ricorriamo al Daimoku. Se recitiamo Daimoku di fronte al Gohonzon, possiamo far emergere tutte le capacità e la forza di cui abbiamo bisogno» (Giorno per giorno, Esperia, 6 settembre). Capii che questa sofferenza era manifestazione dell’oscurità fondamentale, che la responsabilità studenti mi era stata affidata non come riconoscimento delle mie capacità, ma perché potessi crescere nella fede, e che avrei colto il vero senso dell’attività solo se mi fossi sfidato in ciò che per me era più difficile. Dopo aver recitato Daimoku, sentii nel cuore che il senso di responsabilità rispetto alla missione affidatami dal presidente Ikeda aveva superato la paura del giudizio altrui. Questa nuova consapevolezza mi portò a compiere azioni in controtendenza. Mi sforzai di dare il mio primo contributo alle riunioni del comitato di studio, notando che via via il mio senso di inadeguatezza veniva sempre meno e sperimentai, addirittura, un profondo senso di serenità quando mi venne chiesto di parlare in pubblico per informare i membri sugli sviluppi della campagna, concentrandomi su me stesso piuttosto che su quello che gli altri potevano pensare. Queste lotte, portate avanti con successo, hanno avuto riscontro nella mia vita quotidiana, infatti all’ultimo esame che ho sostenuto ho riportato il mio primo 30 e lode. È stato l’esame più bello della mia vita, non per il voto in sé, ma perché ho sentito, per la prima volta, di non essere stato “esaminato” o giudicato, ma si è trattato di un vero e proprio dialogo con la docente. Come responsabile studenti, ora, il mio desiderio è far sì che i giovani realizzino una grande vittoria nello studio grazie agli insegnamenti del Daishonin e di dedicarmi attivamente alla campagna di “Senzatomica” nel mio ateneo.