Nasce nel 1978 a Mladà Boleslav, nella Repubblica Ceca, e vive a Borgomanero, in provincia di Novara. Quest’anno, con la sua barca, approda a Pechino per realizzare il sogno di tutti gli atleti, le Olimpiadi, e conquista, insieme al suo equipaggio, il settimo posto vincendo la finale B. Jiri ci racconta della sua incrollabile determinazione nello sport, nella vita e nella fede
Tu fai canottaggio: puoi dirci qualcosa di più della tua specialità?
JIRI VLCEK: Il canottaggio è bellissimo: ci alleniamo a contatto con la natura su specchi d’acqua splendidi, ed è uno sport completo per il fisico. A seconda della specialità ognuno impugna uno o due remi. La barca con cui gareggio è un “quattro senza”, cioè siamo in quattro, con un remo ciascuno e senza timoniere, nella categoria “pesi leggeri”. È una barca molto tecnica, dove conta piu l’assieme del gruppo che la forza individuale. Nel canottaggio la tecnica perfetta non esiste, si può solo tentare di avvicinarsi alla perfezione del gesto con una ricerca continua: è un po’ come nella vita, non c’è fine al miglioramento che possiamo ottenere!
Hai trent’anni. Quanti ne hai dedicati a questo sport?
JIRI: Quando ho cominciato avevo quattordici anni, ero in prima superiore: quindi più della metà della mia vita.
Tre campionati mondiali, con due vittorie e un terzo posto, una vittoria agli europei: per ottenere questi risultati sicuramente sono necessari dedizione e tempo.
JIRI: Sì, certo, ed è stata una ricerca progressiva e continua della specialità in cui riuscivo a rendere al meglio. Quando andavo a scuola mi allenavo tutti i pomeriggi e anche la domenica mattina. Poi per sei anni ho lavorato come elettricista e dovevo allenarmi da solo, tutte le sere, dopo il lavoro. Quattro anni fa ho deciso di lasciare il lavoro per buttarmi completamente in questa avventura: perciò, da allora, vado al ritmo di dieci-tredici allenamenti a settimana, il che significa quasi sempre due volte al giorno.
Che cosa hanno rappresentato per te le Olimpiadi di Pechino? Da quanto coltivavi questo sogno?
JIRI: Andare a Pechino è stata la realizzazione concreta di questo sogno che nel 2001, attraverso l’attività del gruppo Leonardo, ho “tirato fuori dal cassetto”. Da quel momento la mia vita è cambiata, tutto ha iniziato a muoversi in quella direzione, non certo per magia, bensì attraverso il Daimoku, l’attività per gli altri e gli sforzi concreti per realizzarlo. Ho dovuto superare ostacoli e montagne, tante volte il karma ha messo alla prova la mia pazienza e la mia determinazione, e ora, se mi volto a guardare la strada che ho percorso, mi rendo conto di quante cose in me si sono trasformate. Non sono più quello che ero nove anni fa, e sono stati proprio gli ostacoli e le difficoltà a forgiarmi e a permettermi di realizzare questo sogno.
Da quanto tempo vivi in Italia? Come ti è capitato di incontrare il Buddismo di Nichiren Daishonin, e quando?
JIRI: Vivo in Italia dall’estate dell’89: quindi da quasi venti anni. Ho incontrato la pratica buddista nel 1999 ad Armeno, in provincia di Novara, in occasione del conferimento della prima cittadinanza onoraria a Ikeda in Italia. Un mio amico mi aveva invitato a questa cerimonia e da allora ho cominciato a frequentare un gruppo.
Quali sono i motivi che ti hanno spinto a praticare il Buddismo?
JIRI: Curiosità, voglia di migliorare la mia vita. Avevo ventun anni ed ero arrabbiato con il mondo; non sopportavo gli italiani, li giudicavo superficiali e non riuscivo a relazionarmi con loro. Volevo scappare in Australia e vagabondare per il mondo. Invece quello che cercavo non stava poi tanto lontano da me, l’avevo dentro: la Buddità. Però mi mancava la chiave. Con la pratica piano piano ho cominciato a sentire la mia Buddità; così ho abbandonato il “progetto Australia” che era davvero quasi pronto, e ho deciso di rimanere qui e realizzare la mia felicità con le persone intorno a me. Il come l’ho capito nel 2001 dopo aver ricevuto il Gohonzon, partecipando all’attività del gruppo Leonardo.
Con quale atteggiamento hai recitato Daimoku in vista di questo grande obiettivo dei Giochi olimpici?
JIRI: Con tutti gli atteggiamenti possibili: le ho provate veramente tutte ma quello che ha “reso di più” è stato il non risparmiare la propria vita e dedicarla completamente a kosen-rufu. Ho recitato non so più quanti milioni di Daimoku e letto quasi tutti i libri pubblicati. Mi hanno dato veramente tanto i volumi della Rivoluzione umana e della Nuova rivoluzione umana: mi hanno reso possibile avvicinarmi allo spirito del mio maestro, comprendendo nel profondo il significato di molti aspetti della vita. Mi sono sentito arricchito anche dalla lettura dei molti libri che il presidente Ikeda cita nei suoi scritti: I miserabili, Il Conte di Montecristo e molti altri; sono stati “mattoni” importantissimi per il mio percorso verso questa meta.
Nel 2004, quando ho ricevuto la cittadinanza italiana, ho deciso di lasciare il lavoro dicendomi: «Questo è il mio obiettivo impossibile, e con le mie sole capacità non potrò realizzarlo: perciò Gohonzon, sensei, guidatemi voi verso questa meta». E così è stato: ho messo da parte la razionalità e mi sono affidato, senza strategie o progetti, guidato dal Daimoku e dalle parole di sensei. Le decisioni e le scelte prese si sono rivelate quasi sempre le migliori. Situazioni che a un primo impatto sembravano disperate si trasformavano in quelle giuste ed essenziali nel mio percorso: così, per esempio, un dolore alla gabbia toracica prima di una gara importante mi ha costretto a modificare il gesto tecnico remando meglio, e quindi andando più veloce! Ne ho passate tante, e per raccontare tutto ci vorrebbe una rivista intera. Comunque la cosa che mi si è chiarita maggiormente è stato riuscire ad avvicinare il mio cuore a quello di sensei: la miglior strategia per vincere.
Quali sono le tue determinazioni per il futuro sia come uomo che come atleta?
JIRI: Continuare così per tutta la vita: non continuare a remare, anche se lo farò sicuramente per un altro quadriennio, ma continuare ad approfondire la mia fede, e affrontare le sfide che la vita mi pone davanti. Nei prossimi quattro anni reciterò dieci milioni di Daimoku, farò dieci shakubuku che sicuramente riceveranno il Gohonzon e porterò una medaglia olimpica a sensei. Queste determinazioni nei momenti di difficoltà e debolezza mi serviranno come sprone, come la promessa che feci alla riunione del gruppo Leonardo nel 2001. All’inizio dell’anno prossimo andrò a convivere con la mia ragazza nella sua casa nuova. E questo è un altro tassello del quadro della mia vita che va a posto.
Da poco sono entrato nella squadra delle Fiamme Oro della Polizia di Stato, così anche il lato economico si è sistemato, visto che da quando mi sono licenziato sopravvivo con i rimborsi spese e i premi della federazione sportiva, e a volte è stato proprio un sopravvivere… Dentro un grande obiettivo ci sono anche tutti quelli più piccoli, forse lo avrete sentito dire, io posso dire di averlo sperimentato concretamente.
Quindi per vincere nella vita come nello sport attraverso la fede ci vuole un duro allenamento.
JIRI: Esatto! Come scrive il presidente Ikeda nel Dialogo con i giovani, dobbiamo scegliere una meta, ognuno la propria, e continuare a sforzarci di realizzarla. Ma non è tanto l’allenamento allo sforzo fisico, bensì l’allenamento a migliorare la propria vita che paga di più. La vita è fatta di moltissimi aspetti e sensei ci sprona ad “allenarci” per migliorarli tutti, perché ci vuole veder diventare persone complete, felici, realizzate, capaci di stare su questo pianeta in armonia con quello che ci circonda. La Soka Gakkai è una bellissima palestra per allenarsi a diventare campioni nella vita, e ringrazio tutte le persone che hanno fatto o fanno parte di questo mio cammino.