Quante battaglie, molte delle quali vinte. Ne sono derivate leggi, cambiamenti concreti e soprattutto tanto empowerment del cittadino mediante progetti finalizzati a promuovere la partecipazione e il controllo dei cittadini negli ospedali, nelle scuole, nei comuni
Sono diventata buddista undici anni fa, grazie a mia figlia Giulia. Sono andata alla prima riunione per controllarla e non me ne sono più andata. La spiegazione è che avevo trovato il posto giusto per esaudire un forte desiderio: trovare il coraggio e la forza di volare alto pur stando con i piedi per terra.
Sono sempre stata fortemente impegnata nella società civile con un progetto che ha attraversato la mia vita: rendere i cittadini protagonisti e artefici dei propri diritti, credere che ognuno di noi può essere un cittadino attivo e cambiare la società anche così com’è, senza entrare necessariamente in un partito o nelle istituzioni. Avevo già fatto tante cose, tra cui essere uno dei fondatori del Tribunale per i diritti del malato e di un movimento civico denominato Cittadinanzattiva. Ma quello che è avvenuto dopo l’inizio della mia pratica ha superato di gran lunga le mie aspettative e mi ha permesso di capire in modo più profondo che alla radice di un impegno vero nella società deve esserci una forte fede nel genere umano. Non bastano le idee, i progetti e la capacità di questa o quella organizzazione per avere successo. Il Daimoku ha scavato dentro di me e ha fatto emergere la consapevolezza che l’unico cambiamento possibile è quello che parte da noi, dal nostro desiderio di esserci: da questo dipende la vita di un quartiere, il benessere di una comunità, lo sviluppo di un territorio; tirarsi indietro significa sprecare il potenziale umano che ci appartiene. Il presidente Ikeda ci spiega che «le persone che si risvegliano ai propri valori interiori posseggono le chiavi per trasformare la storia» (NR, 512, 5).
Lo stesso anno in cui ho ricevuto il Gohonzon sono stata eletta segretario generale di Cittadinanzattiva che nel giro di pochissimo tempo è passata da 36.000 a 90.000 iscritti, con adesioni di molte altre associazioni soprattutto di persone affette da malattie croniche, impegnate nella tutela del diritto alle cure.
Quante battaglie, molte delle quali vinte, ad esempio sulle barriere architettoniche, sulla sicurezza nelle scuole, contro il dolore inutile in ospedale, per i diritti dei consumatori nei confronti delle banche. Ne sono derivate leggi, cambiamenti concreti e soprattutto tanto empowerment del cittadino mediante progetti finalizzati a promuovere la partecipazione e il controllo dei cittadini nelle scuole, nei comuni e all’interno degli ospedali. Non a caso Ikeda parla di rafforzare il potere della gente comune e afferma: «Per quanto dure e difficili possano essere le circostanze o le avversità che una società si trovi ad affrontare, se gli individui che la compongono sono forti, esse possono diventare la forza trainante per una brillante svolta, ripresa e crescita, fino a condurre la società alla prosperità!» (NR, 407, 3).
Ricordo ancora che durante un seminario al Centro europeo di Trets mi arrivò la notizia che avevamo ottenuto la medaglia d’oro alla sanità pubblica da parte del Presidente della Repubblica. Nonostante fossimo sempre stati dei “rompiscatole”, si riconosceva finalmente il valore sociale del nostro impegno.
In questi anni ho sempre cercato, anche grazie al sostegno di tutti i membri, di fare attività nonostante la mia vita convulsa. Sono stata responsabile di gruppo fino a qualche mese fa e tutt’ora continuo a offrire la mia casa come luogo di incontro, di preghiera e di discussione. L’incoraggiamento costante che ne è derivato mi ha aiutato moltissimo a fare due cose: non demordere di fronte agli ostacoli (in Italia ottenere il rispetto nei confronti di un disabile o di un bambino malato non è cosa facile!) e continuare a sfidarmi senza accontentarmi dei risultati raggiunti. Ed è proprio quest’ulteriore aspetto che mi ha permesso di fare una seconda rivoluzione, ovvero di prendere alla lettera una frase di sensei: «Non ci sono molte cose di cui posso vantarmi, ma di una cosa sono certo: io credo nei giovani». Nel mio gruppo c’erano pochi giovani e questo non era un bene. Quindi nel 2007 ho cominciato a praticare perché i giovani arrivassero e questo è cominciato a succedere sia nel gruppo (a casa mia l’anno scorso è nato un nuovo gruppo di soli giovani, di cui fa parte mio figlio che nel frattempo ha ricevuto il Gohonzon), sia nella vita.
Ho deciso infatti di lavorare per lasciare la guida di Cittadinanzattiva a una nuova generazione di leader, di passare la mano scommettendo su di loro. È stata una decisione dolorosa perché ha provocato una battaglia durissima all’interno della mia organizzazione, perché ai giovani credono in pochi. Io, forte della mia decisione ho perseverato in questa direzione e alla fine ha vinto la mia linea con un margine ridottissimo di voti al congresso. È così cominciato un graduale processo di delega ai giovani leader che si è concluso nel giugno 2012 con il mio definitivo abbandono della guida dell’associazione.
Ora mi si poneva il problema di che cosa fare per continuare a seguire questo filo rosso della mia vita, legato all’idea che può esistere un modo di fare politica restando cittadino. Serviva una nuova rivoluzione che guardasse al futuro. A settembre la risposta non ha tardato ad arrivare. Mi ha telefonato l’attuale presidente della Regione Lazio per propormi non solo di entrare nella sua squadra come candidata, ma anche di diventare presidente del suo Comitato elettorale, io che non mi sono mai iscritta nemmeno al suo partito! Mi ha detto che aveva fiducia in me per le cose che facevo e per la cura dei beni comuni a cui avevo dedicato la mia vita, anche se non venivo dalla sua storia politica. Sapevo che era la cosa giusta perché era la risposta al mio desiderio di contribuire ancora di più al miglioramento della società: sfidarmi a entrare in politica assieme a un gruppo di altri esponenti della società civile portandomi appresso la mia storia di cittadina attiva.
Beh, è andata bene, siamo stati eletti e sediamo in Consiglio regionale e ora facciamo parte di un gruppo a sé che non confluisce in alcun partito con a capo uno scienziato premio Nobel per la Pace.
Nel frattempo sono diventata membro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, luogo in cui in passato si sono prodotti i noti scandali con milioni di euro sottratti alla collettività. So che non è un caso che io sia finita nella fossa dei leoni, ogni giorno mi devo sfidare da una parte per non cedere alla cattiva politica e alle logiche di cordata, dall’altra per vincere sulla mia arroganza, sulla mia avidità, sulla mia collera, sulla mia oscurità.
Molto dolore, molta ansia ma anche molte soddisfazioni nel cercare di imparare un nuovo mestiere in un posto difficile, sapendo che: «Non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente» (RSND, 1, 4).
In questi mesi la cosa che mi ha dato maggiore soddisfazione è stata decidere di assegnare gran parte dei fondi in capo alla Presidenza a progetti, borse di studio e di servizio civile per i giovani della nostra Regione, cosa mai fatta in precedenza. Inoltre incredibilmente sono stata il primo consigliere regionale ad aver subito assunto e messo in regola le persone, tutte giovani, che lavorano con me. Non so ancora come ci sono riuscita, ma sono stati i primi a ricevere uno stipendio. Altri ci hanno messo mesi.
Ma dove sta il trucco? Dal giorno in cui è iniziata questa avventura, un mio compagno di fede è venuto ogni mattina a recitare Daimoku a casa mia consentendomi di non abbandonare mai la pratica quotidiana nonostante gli impegni. Questo mi consente di avere uno stato vitale sempre alto e di non dimenticarmi mai che io sono un Budda perfettamente dotato, come lo sono i miei colleghi compagni di strada e che la cosa da mettere sempre in primo piano e al centro di ogni cosa sono le persone e la loro felicità. Inoltre ogni giorno parlo degli insegnamenti buddisti, a volte in modo più efficace a volte meno, ma lo faccio.
Sono circondata da molti shoten zenjin (forze protettive) che mi sostengono – quando prendo i pugni in faccia -, e che sono proprio i miei collaboratori. Ogni volta che faccio Gongyo nelle preghiere silenziose cerco di far emergere la mia fragranza interna che produce fortuna e una grande protezione. Oggi ho sessantadue anni e tanta strada da fare davanti a me per costruire kosen-rufu e fare ogni giorno la mia rivoluzione umana.