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Sono diventato grande - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:22

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    Sono diventato grande

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    Ho cinquant’anni e ho incontrato il Buddismo quindici anni fa grazie a una donna che mi amava e che anche io amavo, ma che facevo arrabbiare moltissimo con la mia instabilità e volubilità. Le donne, il mio problema, se non altro uno dei miei problemi più grossi, le amavo tutte e non riuscivo a legarmi con nessuna in maniera seria. Per anni ho alternato momenti di grande vicinanza alla pratica a momenti di totale disinteresse finché ho conosciuto una donna di cui mi sono innamorato profondamente. Insieme abbiamo deciso di praticare, di creare una famiglia e di avere un figlio. Tutto era bello.
    La nascita di Niccolò è stata per me sconvolgente, improvvisamente sono maturato e ho capito per la prima volta di avere delle responsabilità. Mi sentivo cambiato. Avevo una famiglia come quella in cui ero cresciuto circondato da amore e serenità. Avevo smesso con quella serie di scelte sbagliatissime che avevano fatto soffrire me e le persone che mi stavano vicine. Ero sereno, partecipavo con regolarità ai meeting, studiavo con impegno, facevo attività per gli altri, leggevo tutto quello che mi capitava sul Buddismo e mi sembrava di vivere finalmente una vita “normale”. Nonostante questo, potrà sembrare strano, non avevo ancora deciso di ricevere il Gohonzon: non mi sentivo ancora pronto e poi faceva parte del mio “personaggio” non prendersi responsabilità.
    Un brutto giorno, senza che me lo aspettassi, mia moglie mi ha detto: «Purtroppo non ti amo più, voglio andare via, devo aprire la mia vita». Il mondo mi è crollato addosso. Ho combattuto molto, per la verità, per cercare di ricucire la profonda ferita che si era aperta nel suo cuore, ma non c’è stato nulla da fare. Durante questo periodo ho deciso di prendere il Gohonzon. Per la prima volta in vita mia mi sono affidato totalmente alla Legge mistica e ho iniziato a recitare Daimoku con forza, costanza, e grande fede. O almeno così credevo.
    A gennaio del 2000 mia moglie è andata via di casa portandosi via Niccolò e non è più tornata. Qualcosa dentro di me è come morto, stavo incominciando a pagare tutti i miei conti. La mancanza di mia moglie era profonda e dolorosa, ma quello che non riuscivo a sopportare era la mancanza di Niccolò. Un bambino meraviglioso di tre anni che aveva tutto il diritto di avere il calore di una famiglia unita, i ricordi di un’infanzia bella e spensierata.
    Sono piombato nella disperazione e la voglia di isolarmi e tornare alle vecchie abitudini ha tentato di prendere il sopravvento. Ho iniziato a recitare Daimoku per tre ore al giorno, poi quattro, poi cinque. Ho determinato che sarei stato per Niccolò una famiglia e di prenderlo tutti i venerdì e di riportarlo tutte le domeniche sere, rinunciando a tutto il resto.
    Stavo malissimo, ma con lui cercavo di essere normale. I primi mesi sono stati durissimi; Niccolò era molto arrabbiato con me, mi chiedeva: «Perché mi hai traslocato?», «Perché non mi vuoi più a casa e non vuoi più la mamma?». E così via, tutte pugnalate al cuore… e io giù Daimoku. Il venerdì, il sabato e la domenica Niccolò mi tartassava: «Non sai fare da mangiare», «Voglio la mamma», «Non ti sedere lì quella è la sedia della mamma». La domenica sera, quando lo riaccompagnavo da sua madre ero stravolto, addolorato e con un grande desiderio di aspettare qualche anno e di mollare la presa. Mi dicevo, quando sarà più grande gli potrò spiegare meglio, ma poi ricominciavo a combattere… e giù Daimoku. Durante la settimana mi riprendevo un po’, ma il fine settimana si ripresentava inesorabilmente con le sue pugnalate al cuore.
    A fine giugno del 2000 ho ricevuto finalmente il Gohonzon. Dopo la cerimonia di apertura quando tutti se ne sono andati mi sono messo improvvisamente a piangere a dirotto, non ricordavo che mi fosse mai successo. Ho continuato per venti minuti senza riuscire a smettere dopodiché mi sono sentito profondamente cambiato, sentivo la voglia di essere felice in quel preciso istante, indipendentemente da tutto e da tutti.
    Ho iniziato a recitare Daimoku senza più rabbia, senza spirito di rivalsa, senza acredine, senza vittimismo, ma solo per la felicità di Niccolò e la mia. Il mio Daimoku si è trasformato. Prima era come un anestetico, mi aiutava a sentire meno dolore, mi frastornava, adesso sentivo che mi stava curando. Da quel giorno piano piano, mese dopo mese, il mio rapporto con Niccolò è cambiato, si è trasformato, abbiamo iniziato a stare bene insieme, abbiamo messo le radici per quel meraviglioso e profondo rapporto di amicizia, amore e stima che abbiamo adesso.
    E adesso? Continuo a combattere. La vita è una perenne sfida per tutti e ogni giorno mi affido al Gohonzon per la mia felicità e quella degli altri. Soffro per quel che c’è da soffrire e gioisco per quel che c’è da gioire, e ci credereste? Io… proprio io, sono diventato responsabile di gruppo.

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