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“Siate felici!” - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:11

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“Siate felici!”

Betty Mori, Francia

Betty Mori, membro della SGI francese dal 1975 e vicepresidente della SGI Europa, ricorda i momenti chiave della sua vita in cui, grazie agli incoraggiamenti del maestro Ikeda, è riuscita a sviluppare la capacità di sperimentare la vera felicità

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Fin dall’infanzia ho sperimentato una serie di sofferenze: ho avuto un padre molto autoritario e violento e un fratello che contrasse la meningite a 9 mesi che gli provocò disabilità multiple. Ho avuto la tubercolosi dai 16 ai 18 anni e lungo il percorso ci sono state altre numerose difficoltà e ostacoli. Nel profondo della mia vita avevo una grande tristezza.
Ho iniziato a praticare il Buddismo di Nichiren per diventare una donna felice, anche se non credevo veramente che ciò potesse accadere. Ero molto colpita dall’idea che la mia trasformazione interiore, attraverso un effetto a catena, avrebbe portato benefici a tutta l’umanità. Questo è il principio buddista secondo cui “quando cambio io, cambia il mio ambiente”.
Il 26 gennaio 1975 ho ricevuto il Gohonzon. In quella occasione speciale, ricevemmo tutti questa frase di Nichiren Daishonin:

«Non dubitate semplicemente perché il cielo non vi protegge. Non scoraggiatevi perché non godete di un’esistenza facile e tranquilla in questa vita. Questo è quello che ho insegnato ai miei discepoli mattina e sera, e tuttavia hanno cominciato a nutrire dubbi e ad abbandonare la loro fede. Gli stupidi sono soliti dimenticare le loro promesse quando viene il momento cruciale» (L’apertura degli occhi, RSND, 1, 257)

Incisi queste parole nel mio cuore per non dimenticare mai il mio voto, davanti a qualunque ostacolo. E ancora, un’altra frase di Nichiren Daishonin:

«Accettare è facile; continuare è difficile» (La difficoltà di mantenere la fede, RSND, 1, 417)

Fin dall’inizio mi sentii serena, calma e fiduciosa, tutte sensazioni a me molto nuove. Più praticavo e studiavo, più mi convincevo della validità del Buddismo di Nichiren. Sentivo di aver trovato quello che avevo sempre cercato.
Condivisi il Buddismo con la mia famiglia e i miei amici e loro iniziarono a praticare; ma inizialmente rifiutavo il principio della relazione tra maestro e discepolo. Non mi fidavo di nessuna organizzazione e non mi piaceva l’idea di seguire qualcuno.

Nel 1975 il presidente Ikeda venne in Francia, per gettare i semi della pace attraverso i suoi dialoghi con vari intellettuali in Europa. Tra le sue numerose attività, tenne un incontro con i leader europei della SGI presso il nostro Centro buddista a Sceaux, nella periferia di Parigi.
In quella occasione chiese di incontrare tutti i membri del Gruppo giovani. Rimasi sorpresa che quest’uomo importante pensasse a noi, giovani praticanti anonimi e comuni, che lavoravamo dietro le quinte per sostenere la sua visita.
Ci invitò a fare una passeggiata in un grande parco vicino al Centro. Mentre camminavo al suo fianco la mia vita veniva avvolta dalla sua umanità e rimasi profondamente commossa dal suo comportamento nei nostri confronti, dalla sua gioia, dal suo rispetto e dalla gentilezza. Per me incarnava gli insegnamenti del Buddismo. Dissipò le mie paure e rispose alle domande che mi facevo segretamente. Sensei parla di questo incontro ne La nuova rivoluzione umana. In quell’occasione ci incoraggiò così:

«L’organizzazione della Gakkai esiste per aiutare ogni membro a sviluppare la propria individualità, non per legarla o limitarla. Piuttosto che pensare alla Gakkai come a un’organizzazione composta da individui, dovremmo considerarla qualcosa che esiste nel cuore di ogni persona. In altre parole, la consapevolezza di essere un membro della Soka Gakkai dovrebbe darci coraggio e servire da pietra angolare per la nostra coscienza personale. Sebbene sia di vitale importanza per noi desiderare appassionatamente di conoscere il Buddismo, cercare una guida nella fede e creare l’unità tra i membri, ciò che è essenziale è che facciamo del nostro meglio per realizzare la nostra felicità e quella degli altri, in modo naturale, libero e senza restrizioni» (NRU, 21, 221)

Fu come se mi fossi risvegliata al mio vero io, sentii una immensa gioia e una solida fiducia nel mio valore. Decisi di dedicare la mia vita a kosen-rufu, scegliendo Daisaku Ikeda come mio maestro e dedicandomi totalmente alle attività della Soka Gakkai. Ero piena di gratitudine, un sentimento che non avevo mai provato prima.
Negli anni che seguirono, sulla base di una preghiera per kosen-rufu unita al mio maestro, ebbi molte esperienze meravigliose. Trovai lavoro come insegnante ottenendo grandi soddisfazioni per trent’anni, trasformai il difficile rapporto con i miei genitori, riuscendo finalmente a vederli come Budda preziosi.
Incontrai un partner meraviglioso con cui potevo condividere lo stesso voto per kosen-rufu e con lui ho avuto tre meravigliosi figli.
Eppure, una profonda sofferenza era ancora nascosta dentro di me. Emerse nuovamente in seguito alle dimissioni di Daisaku Ikeda da terzo presidente della Soka Gakkai nel 1979. Riemersero senso di impotenza e di colpa.
Il presidente Ikeda tornò in Francia nel 1981 e, nonostante le mie precarie condizioni di vita, feci tutto il possibile per sostenere la sua visita. Quando venne di nuovo nel 1983, ero ancora in un profondo stato di disperazione, auto-denigrazione e paura. Ero convinta che avrei dovuto sopportare questo stato d’animo fino alla morte.
Fu proprio in quel momento che il mio maestro mi chiese di rappresentare e sostenere le giovani mamme che praticavano il Buddismo in Francia. Sentivo che questo era un grande onore, anche se mi ritenevo la persona meno adatta ad assumere questo ruolo. Sensei mi incoraggiò fortemente, dicendo:

«Siate felici! Sii felice!»

Mi resi conto che questa era l’unica cosa per cui non stavo pregando, perché in fondo non credevo fosse possibile per me e pensavo di non meritarlo. Daisaku Ikeda scrive:

«Ad abbatterci non sono gli ostacoli, ma noi stessi, quando perdiamo la determinazione a combattere. Possiamo essere colpiti e cadere a terra, ma se il nostro spirito combattivo non vacilla, sapremo rimetterci nuovamente in piedi» (NRU, 25, 303)

Il mio maestro mi ha incoraggiato in diverse occasioni, fino a quando il mio cuore non è passato dalla disperazione e dalla rassegnazione alla determinazione di ricominciare da capo.
Quella è stata la seconda svolta significativa nel mio cammino di fede. Ho capito che quando non crediamo più in noi stessi, il maestro ci risveglia nuovamente al nostro infinito potenziale e a chi siamo veramente. Questa convinzione incondizionata mi ha dato tanta forza e mi ha fatto venire voglia di reagire, di combattere e vincere.
Rispondendo alla determinazione del mio maestro, mentre recitavo Daimoku davanti al Gohonzon pensai: “Se sono felice, se il mio stato vitale è alto e gioioso, anche la mia famiglia, i miei compagni di fede e i miei studenti diventeranno naturalmente felici!”. Invece di pensare che la mia felicità dipendesse dalla loro, feci esattamente quello che mi aveva insegnato il mio maestro, tenendo presente che se fallisco io, falliscono tutti. Oggi posso dire che questo senso di missione mi ha permesso di perseverare senza mai lasciarmi sconfiggere da nulla.
Nell’agosto del 1983 mi recai in Giappone per partecipare a un corso come rappresentante delle giovani mamme della SGI Francia. Quando incontrai il presidente Ikeda gli chiesi: «Come posso diventare felice per far avanzare kosen-rufu? In altre parole, come posso dimostrare concretamente alle giovani mamme che la felicità è possibile e dare loro speranza?».
Egli rispose:

«Recita Daimoku, tanto Daimoku, continua a recitare e non abbandonare mai il movimento Soka. Non c’è un solo problema al mondo che il Daimoku non possa risolvere!»

La sua assoluta convinzione nel potere della preghiera inizialmente sollevò le nubi del dubbio che avvolgevano il mio cuore, ma esse tornarono quando mi unii a un gruppo di donne provenienti da tutto il mondo per pranzare con il presidente Ikeda e sua moglie Kaneko.
Vedendomi piangere, il presidente Ikeda mi incoraggiò a praticare con il coraggio del re leone che avanza coraggiosamente, senza paura, orgoglioso della sua lotta. Mi spiegò che con un simile atteggiamento nella preghiera potevo diventare forte e irremovibile.
Mi resi conto che, anche se recitavo Daimoku, ero come un coniglio spaventato di fronte a un potenziale pericolo. Inoltre, il mio obiettivo non era chiaro. Iniziai a capire che avere un cuore incrollabile di fronte alle avversità significa essere veramente felici.
Il presidente Ikeda continuò a incoraggiarmi finché non percepii che il mio desiderio di vincere aveva avuto la meglio sulla paura.
Il mio senso di missione, unito al desiderio di rispondere alla sua compassione, mi permetteva di perseverare nel mio inferno interiore senza arretrare di un passo!
Recitando Daimoku decisi di non lasciarmi sconfiggere dalle mie debolezze, ma di credere che la felicità interiore è possibile ogni giorno, così determinai di avanzare fino alla vittoria.
Feci del mio meglio per recitare Nam-myoho-renge-kyo come un leone, con coraggio, insieme al mio maestro e sostenuta instancabilmente da straordinari compagni e compagne di fede.
Dopo un anno o due uscii da questo terribile incubo facendo emergere uno stato di felicità ancora più profondo e luminoso di quando avevo incontrato per la prima volta il presidente Ikeda. Tutte le mie sofferenze esistenziali svanirono completamente e per sempre. Era come se tutto intorno a me improvvisamente avesse cambiato colore.
Sperimentai questa felicità anche sul lavoro, in ogni momento, sviluppando la passione di aiutare gli studenti in difficoltà. Sono riuscita a far partire molte innovazioni nella mia scuola per consentire a ogni studente di realizzare il proprio pieno potenziale e, soprattutto, per non lasciare nessuno indietro.
Ho creato la famiglia armoniosa che ho sempre sognato. I miei figli praticano il Buddismo e sono esseri umani profondamente buoni. Le mie nuore sono adorabili e ho cinque nipoti che adoro e considero come successori per kosen-rufu.
Soprattutto, il mio stato vitale incrollabile mi ha permesso di affrontare le quattro sofferenze della vita: in particolare, la malattia e la morte del mio amato compagno di vita.
Se non sono stata trascinata dal dolore della separazione o devastata da questa immensa perdita, è solo grazie alla forza che il mio maestro mi ha fatto acquisire riportandomi sempre alla fede e alla pratica buddista.
Ora sto creando legami più stretti con i miei cari vicini di casa e prego per poter condividere il Buddismo con loro.
Sono determinata a continuare a proteggere ciò che il nostro maestro ci ha trasmesso e a ripagare il mio debito di gratitudine nei suoi confronti continuando a lavorare per kosen-rufu al meglio delle mie capacità, fino alla fine.

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