«Penso a me stessa come alla ruota di un grande carro che, anche se molto lentamente, deve andare avanti» racconta Francesca di un momento difficilissimo della sua vita in cui combatte con la depressione seguita a una esperienza di mobbing sul lavoro
Ho iniziato a praticare il Buddismo nel 1996. Ho sempre conservato nel cuore una frase dal Gosho: «Più preziosi dei tesori di un forziere sono i tesori del corpo e prima dei tesori del corpo vengono quelli del cuore. Dal momento in cui leggerai questa lettera sforzati di accumulare i tesori del cuore» (RSND, 1, 755). Mi sono sforzata di praticare correttamente, senza mai indietreggiare e la mia vita si è effettivamente arricchita di tesori del cuore, che hanno portato a immensi tesori del corpo e copiosi tesori del forziere. Siamo a maggio 2004. Sono raggiante, ho realizzato tutti gli obiettivi che mi ero fissata, tra cui il lavoro sempre sognato: essere responsabile delle relazioni esterne in una piccola azienda. La vita, però, non tarda a ricordarmi che niente è per sempre. Inizia un periodo dove le mie mansioni vengono trasferite a un collega appena assunto e io vengo spostata continuamente fuori sede; uno alla volta mi tolgono tutti i miei poteri decisionali e i contratti da me conclusi vengono rettificati; in poche parole subisco “mobbing”.
A settembre, senza alcun motivo apparente, vengo licenziata con una telefonata. La scorrettezza di questo gesto mi permette di oppormi sindacalmente e di ottenere un’immediata riassunzione, ma lo choc mi traumatizza e, mentre l’azienda mi decurta pesantemente lo stipendio, io ricado nel mio vecchio amico-male: la depressione. Cerco di reagire, sostenuta dalla psicoterapia ma, quando a gennaio vengo passata da dirigente a operaia alla catena di montaggio, sprofondo, non ho più la forza di tornare in azienda, mi rivolgo a un avvocato e intento una causa. Sto sempre peggio, ma non smetto neppure per un giorno di recitare Daimoku, penso a me stessa come alla ruota di un grande carro che, anche se molto lentamente, deve andare avanti e per questo ogni giorno lotto con “coraggio e diligenza” davanti al Gohonzon. Lo psicologo, vista la gravità della situazione mi affida alle cure di uno psichiatra che mi prescrive molti farmaci: dormo diciotto ore al giorno e il sonno è pesantissimo! Non sono più autosufficiente, mia figlia Rachele, che all’epoca aveva solo dieci anni, mi lava e mi veste, e la fortuna accumulata negli anni si manifesta in tanti meravigliosi amici che si occupano degli aspetti pratici: dalla spesa alle commissioni e, inoltre, gli amici buddisti mi sostengono anche pregando per me.
In meno di un anno mi vengono tolti i farmaci, i medici considerano questa guarigione un record. Nell’estate del 2007 ricomincio un po’ a lavorare. Il tribunale mi sottopone a una lunga serie di accertamenti per verificare il mio stato mentale e nella valutazione del quoziente intellettivo prendo un punteggio altissimo, ma dai controlli risulta anche che ho sofferto di un trauma e di conseguente depressione. A ottobre 2008 concludo la mia causa dopo una serie estenuante di rinvii… e la perdo! Il mio avvocato è esterrefatto, in quaranta anni di carriera non gli era mai successa una cosa del genere. Sono spaesata, ma non mollo l’impegno né nella pratica e né nell’attività. A febbraio, grazie a un incoraggiamento, correggo il mio atteggiamento nella recitazione del Daimoku, assumendomi la responsabilità fino in fondo di ciò che mi accade e mi circonda. Decido di realizzare una vittoria assoluta. La trasformazione del difficile rapporto con mia mamma è stato il primo passo. Regalo al mio avvocato un testo buddista e nella dedica scrivo che sicuramente andrò in appello prima dei due anni previsti: dopo otto mesi l’appello è fissato. Metto a disposizione la mia casa per l’attività e recito Daimoku a oltranza sentendo il sostegno di tutti. Provo un’enorme gratitudine per tutto ciò che ho passato, per la forza di lottare sempre per me e per gli altri, per questi anni che mi hanno fatto diventare la meravigliosa persona che sono.
Arriva la sentenza: ottengo il versamento di tutti gli stipendi dal 2005 a oggi, dei relativi contributi e il reintegro sul posto di lavoro. Vittoria assoluta. Ho verificato come tutte le cose negative si siano trasformate in un enorme beneficio. Ho firmato la rinuncia al reintegro e perciò ho ottenuto un’ulteriore buonuscita. Adesso lavoro da marzo a luglio come responsabile in un ufficio di consulenza e, grazie a questa nuova condizione economica, essendo una mamma single, ho tanto tempo libero da dedicare a mia figlia.