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Riversando la mia vita nella preghiera al Gohonzon - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:24

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Riversando la mia vita nella preghiera al Gohonzon

Brunella Villa, Milano

Mio figlio mi ha portato a lottare con e per lui come mamma, perché capissi la forza che ho sempre avuto dentro come donna e mi ha dato la determinazione di tirarla fuori

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Mio figlio mi ha portato a lottare con e per lui come mamma, perché capissi la forza che ho sempre avuto dentro come donna e mi ha dato la determinazione di tirarla fuori

Tutto inizia il 16 marzo 2015, giorno di kosen-rufu. Quasi il destino voglia farsi beffa di me mentre festeggio il decimo anno di Gohonzon, durante un’ecografia di accrescimento prima della nascita, la dottoressa diagnostica una grave malformazione linfatica laterocervicale a Giona, il bambino che ho in grembo. La notizia è di quelle che fanno franare la terra sotto i piedi. Con l’angoscia nel cuore, nella mia mente si fa immediatamente strada la necessità di pregare fino in fondo con tutta me stessa, riversando la mia vita nella preghiera al Gohonzon. I medici che ci prendono in carico ci prospettano un percorso lungo e delicato.
Fin dall’inizio mi faccio guidare da Nichiren Daishonin e Daisaku Ikeda, che scrive: «La sofferenza è il carburante della saggezza, e apre la strada alla felicità. […] Tramite la malattia gli esseri umani possono comprendere il significato, il valore e la dignità della vita e godere di un’esistenza più soddisfacente» (Gioia nella vita, gioia nella morte, Esperia, pag. 13).
Cambia la natura del mio Daimoku, risveglio un cuore combattivo.
Non posso permettermi di crollare perché la mia forza è la forza di Giona, e la mia serenità è la serenità di Olivia, la mia prima bambina che aspetta il suo fratellino.
Faccio una promessa solenne al Gohonzon: «Qualunque cosa accada, io non abbandonerò mai la fede!». So che l’oscurità fondamentale si farà viva, fiaccando lo stato vitale, indebolendo la fede con ansia, paura e dubbi pronti a colpire laddove sarei stata più vulnerabile.
Ma il mio meraviglioso bambino sta svolgendo l’azione del bodhisattva ancor prima di nascere: sta influenzando positivamente tutti, portando familiari e compagni di fede a recitare Daimoku senza risparmiarsi, affrontando le loro stesse sofferenze.
È arrivato il momento di sperimentare fino in fondo con mio figlio la grandezza di Nammyoho-renge-kyo e approfondire la relazione con il maestro, a cui scrivo una lettera.
Il 13 aprile, il giorno prima del parto, arriva la risposta di sensei, che sta recitando Daimoku per noi.
Questo è un racconto di resilienza.
Quel 16 marzo è cominciata una lotta durata quattro anni, i cui primi quattro mesi trascorsi in terapia intensiva.
Giona è stato portato in sala operatoria un numero insopportabile di volte ed è stato sottoposto a tracheostomia per permettergli di respirare in sicurezza, perché il linfangioma si è rivelato estremamente infestante.
All’inizio di questo cammino la mia fede ha vacillato più volte: i miei obiettivi impossibili non accennavano neanche lontanamente a realizzarsi, abbiamo affrontato interminabili momenti di attesa senza protocolli terapeutici chiari e senza un calendario. Ero profondamente arrabbiata: con la malattia, con i medici, con me stessa. La chiave è stata una continua dedizione a kosen-rufu, recitando Daimoku, mantenendo la responsabilità di gruppo, raccontando la mia esperienza ovunque ne abbia avuto la possibilità. Così ho sconfitto la stanchezza, ho alzato lo stato vitale fino a sconfiggere il dubbio, arrivando perfino a provare gratitudine. La mia pratica non è rimasta “limitata” alla guarigione di Giona ma si è estesa alla realizzazione di kosen-rufu, partendo dal rilanciare sullo shakubuku, che in un reparto di terapia intensiva neonatale vuol dire mettere in campo un’enorme sensibilità e delicatezza e aprire il cuore a un grande ventaglio di sofferenze.
Questo è un racconto di trasformazione.
Nonostante il dolore, che non mi ha mai del tutto abbandonata, sentivo profondamente che tutto ciò che mi stava accadendo aveva un senso anche se io facevo fatica a vederlo.
In questi anni ho imparato a trasformare la speranza in certezza e forza, a rialzarmi velocemente dopo ogni crisi, più forte di prima, liberandomi di tante zavorre del passato.
Ho finalmente percepito che, basandomi veramente sul Gohonzon, i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo esprimono il loro potere rivitalizzante nell’istante in cui li riconosciamo come la nostra natura più profonda.
L’ho capito sedendomi ogni volta davanti al Gohonzon così come ero, perché in questo consiste la nostra pratica: affrontare apertamente difficoltà e sofferenze, recitando Daimoku fino in fondo, qualunque cosa possa accadere.
È vero che non posso sapere cosa mi riservi il futuro, quale sia il mio karma e quello del mio bambino, ma di certo posso decidere di dedicare le mie esperienze a kosen-rufu e trasformare il mio karma nella mia missione, riformando radicalmente la mia vita e determinando così il mio futuro.
Questo è un racconto di vittoria.
Con questo voto nel cuore, abbiamo fatto innumerevoli piccoli passi,  puntando al 3 marzo 2019, quando  è avvenuta la tanto sognata chiusura della tracheostomia. Giona è libero dai presidi medici, dovrà fare ancora tanta logopedia e fisioterapia e quant’altro servirà, ma è libero di cominciare una nuova vita. Abbiamo vinto!
I medici che per quattro anni lo hanno seguito erano visibilmente emozionati. Una di loro ha detto a me e al mio compagno: «Se non fosse stato per la vostra tenacia non saremmo arrivati a questo punto. Non vi siete mai arresi!».
Mio figlio mi ha portato a lottare con e per lui come mamma, perché capissi la forza che ho sempre avuto dentro come donna e mi ha dato la determinazione di tirarla fuori. Naturalmente per prendermi cura di Giona ho dovuto mettere in aspettativa il mio lavoro, ma questo non mi ha impedito di allenare la fiducia in me stessa e ho rilanciato sui miei obiettivi: lavorare a progetti umanitari per la cooperazione internazionale e a processi di sostenibilità ambientale, per contribuire a lasciare un mondo migliore di come l’ho trovato.

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