Quando l’acqua è limpida, la luna vi si riflette. Quando soffia il vento, gli alberi si agitano. La nostra mente è come l’acqua: una fede debole è come l’acqua torbida, una fede risoluta è come l’acqua limpida. Gli alberi sono come i princìpi e il vento che li agita è come la recitazione del sutra. Questo devi comprendere.
tratto dalla Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 957
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La mia seconda chance
Mi sono innamorato di questa frase a prima vista, anzi, alla prima lettura. Questi due esempi del mondo naturale mi hanno folgorato con la loro forza e la loro semplicità.
L’immagine dell’acqua torbida mi ha fatto pensare a quanto la nostra mente sia simile a una pozza di acqua putrida quando abbiamo perso la speranza, la fiducia di passare una giornata piacevole, di imboccare un nuovo percorso che ci permetta di realizzare i nostri desideri, di guarire dai nostri dolori.
Mi ha anche fatto pensare che l’acqua limpida è limpida al cento per cento. Nessuno di noi berrebbe un bicchiere d’acqua che non fosse del tutto limpida. Se vediamo un minuscolo residuo nel nostro dissetante bicchiere d’acqua lo buttiamo nel lavandino, puliamo il bicchiere e ci versiamo altra acqua. Allo stesso modo la nostra fede dovrebbe essere limpida al cento per cento. Non al novantanove. Dovremmo lottare per avere una fede risoluta come quella di cui parla Nichiren.
Per me lottare per far emergere questa fede ha un significato molto chiaro: lottare davanti al Gohonzon con lo scopo preciso di recitare Daimoku finché la mia condizione vitale non sia cambiata, cioè recitare Daimoku senza guardare l’orologio.
Questo tipo di fede risoluta è stata la mia salvezza per affrontare le mie difficoltà di lavoro che si sono trascinate per ben tredici anni.
Ho lottato molto intensamente per far uscire da una crisi praticamente perenne l’attività commerciale che mio padre portava avanti, e alla quale mi ero associato nel 1984, un anno dopo aver ricevuto il Gohonzon ed essermi laureato a Firenze, senza ben rendermi conto di quello che stavo facendo. In quegli anni spesso recitavo Daimoku per superare la mia angoscia nel fare un lavoro che non mi piaceva e la mia sfiducia nel poter cambiare una situazione che a poco a poco scoprivo così critica. Molte volte ci riuscivo, e nonostante intorno a me non cambiasse sostanzialmente niente, io mi sentivo vittorioso nel cuore. Col passare degli anni però, nonostante molte battaglie vinte, stavo perdendo inesorabilmente la guerra. Infine arrivammo al punto di decidere di cambiare completamente attività, anche se non sapevo minimamente cosa fare.
La situazione era così compromessa che con la mia famiglia fummo costretti anche a prendere la dolorosa decisione di vendere gli immobili che possedevamo, frutto dei nostri sacrifici, senza peraltro riuscire a sanare del tutto le voragini che si erano create.
Dopo svariati tentativi, eravamo nel 1997, finalmente si crearono le circostanze (un parente che voleva investire con noi, un’azienda che cercava dei partner senza esperienza nel settore) per intraprendere una nuova attività insieme a mia moglie in un campo nuovo e molto promettente, senza condizionamenti con il nostro passato e con le giuste risorse. Fu come se la vita mi stesse offrendo una nuova chance. Quei momenti di fede risoluta, quelle vittorie del mio cuore si stavano trasformando in una vittoria reale e il vento del Daimoku stava finalmente agitando gli alberi della mia vita. Ma quello economico non è stato l’unico problema mio e di mia moglie.
Abbiamo assistito al drammatico passaggio nell’adolescenza di nostra figlia. Più volte abbiamo temuto di perderla a causa delle sue scelte avventate. Ma le nostre preghiere continue e tanta pazienza nel continuare a dialogare – soprattutto da parte di mia moglie – ci hanno permesso di far nascere dentro di noi una tale fiducia da essere capaci di trasmetterla anche a lei e continuare a incoraggiarla.
In realtà abbiamo sempre sognato che iniziasse a praticare e che trovasse nel Buddismo la strada per la sua felicità, ma i nostri inviti venivano spesso frustrati dalla sua incredulità e dai suoi dubbi. Ogni volta che si avvicinava alla pratica succedeva qualcosa che le faceva perdere la fiducia e che l’allontanava.
È stata una lotta continua contro la sfiducia e la rabbia che emergeva, e per quattro anni abbiamo continuato a pregare. Anche in questo caso a un certo punto c’è stata una svolta, quel qualcosa che speravamo che nascesse è scattato dentro di lei e ha cominciato a praticare costantemente. Ha partecipato al corso estivo e ne è tornata tanto convinta da fare un’ora di Daimoku al giorno. Per il corso di area della Sicilia si è occupata del gruppo Saette (bambini e ragazzi) e ha fatto attività con il gruppo Leonardo… Fra l’altro anche nostro figlio più piccolo ha iniziato a praticare il Buddismo.
Adesso, dopo undici anni da quei momenti così difficili, si vede un grande risultato come ricompensa di tanti sforzi silenziosi. L’azienda è cresciuta, ha ripagato i debiti per l’avviamento, sono state acquisite le quote del nostro primo socio e si è comprato più di quanto si era stati costretti a vendere undici anni prima. Certo l’attuale crisi economica rappresenta una grande sfida ma siamo certi di riuscire a uscirne vittoriosi.
Quello che ho imparato dalle mie vicissitudini è che la vita ha in sé un potere straordinario e che tramite una fede autentica, pura e sincera io stesso, che continuo a essere una persona comune e piena di difetti, posso far emergere questo potenziale nella mia stessa vita.
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In questo brano…
La destinataria di questa lettera, scritta da Minobu l’undicesimo mese del 1280, è la monaca laica Nichigon. Sono poche le notizie certe su questa credente, ma sembra si trattasse di una parente del prete laico Takahashi o forse era la madre di Nichigen, un prete del tempio Jisso, che si era convertito agli insegnamenti del Daishonin. Ma cosa significava essere una “monaca laica”? Il termine indica una credente buddista la cui testa è rasata come quella di una monaca, ma che continua a vivere nella società. Nichiren si ritirò a Minobu quando gli fu chiaro che le sue rimostranze al governo non sarebbero state ascoltate e un’usanza dell’epoca voleva che «se un saggio per tre volte ammonisce il paese, ma non viene ascoltato, si deve ritirare in una foresta di montagna» (Ripagare i debiti di gratitudine, RSND, 1, 651). Così fece e vi trascorse gli ultimi anni della sua vita, cioè dal 1274 al nono mese del 1282, poco prima della sua morte. La signora Nichigon sicuramente aveva inviato una richiesta al Daishonin, a noi sconosciuta, e insieme a essa dei doni. Il Daishonin, dopo aver posto questa petizione davanti al Sutra del Loto e l’aver «parlato di questo agli dèi del sole e della luna», nella stessa lettera, le risponde: «Le supposizioni arbitrarie [su come andranno le cose] non servono: se la tua preghiera avrà risposta oppure no, dipende dalla tua fede». Quindi incoraggia la discepola a far scaturire dalla propria vita l’immenso potere della preghiera, paragonando una fede debole all’acqua torbida e una fede risoluta all’acqua limpida e nel contempo ad approfondire profondamente la sua comprensione della vita.