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Rispetto per il nostro pianeta - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:35

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Rispetto per il nostro pianeta

Non è possibile immaginare una crescita infinita in un pianeta con limiti e confini da rispettare. Uniti da questa consapevolezza, negli anni Ottanta Aurelio Peccei, figura di spicco dell’industria italiana, e Daisaku Ikeda hanno individuato possibili soluzioni ai gravi problemi di uno sviluppo scriteriato. Le loro visioni precorrono i tempi spaziando dalla politica alla fame nel mondo, dalla deforestazione alla religione: l’obiettivo finale è quello di invitare il lettore «ad agire perché, in questo nostro mondo, quel campanello d’allarme smetta di suonare»

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Non è possibile immaginare una crescita infinita in un pianeta con limiti e confini da rispettare. Uniti da questa consapevolezza, negli anni Ottanta Aurelio Peccei, figura di spicco dell’industria italiana, e Daisaku Ikeda hanno individuato possibili soluzioni ai gravi problemi di uno sviluppo scriteriato. Le loro visioni precorrono i tempi spaziando dalla politica alla fame nel mondo, dalla deforestazione alla religione: l’obiettivo finale è quello di invitare il lettore «ad agire perché, in questo nostro mondo, quel campanello d’allarme smetta di suonare»

Aurelio Peccei, Daisaku Ikeda, Campanello d’allarme per il XXI secolo

Nel 1972 il Club di Roma commissionò il Rapporto sui limiti dello sviluppo, documento che all’epoca predisse le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla sopravvivenza dell’uomo. Il Club, che costituiva un’associazione no profit di scienziati, economisti, manager e attivisti civili, era presieduto da Aurelio Peccei, figura di spicco del panorama industriale italiano e internazionale.
Nelle vesti di presidente, Peccei girò il mondo usando le sue doti di manager illuminato, sviluppate in FIAT prima e in Olivetti poi, per promuovere il suo personale concetto di sostenibilità nell’ambito dello sviluppo. Domandandosi costantemente se ciò che stava facendo rispondeva pienamente a quanto sentiva di dover fare, Peccei propose da un lato un’analisi della situazione del pianeta che univa casi locali e dimensioni globali, evidenziando le interconnessioni dei fenomeni ecosociali ed economici, dall’altro una forte attenzione sui diversi possibili scenari futuri basati su cambiamenti profondi e politiche radicali. Una crescita illimitata in un pianeta finito era inconcepibile: da qui si snodava la sua analisi, qui aveva radice il concetto essenziale di “sviluppo sostenibile”. Un’intuizione che sottolineò la natura della preziosa “follia visionaria” di questa figura, la sua capacità di proiettare nel tempo le conseguenze di un comportamento rischioso che il singolo come la società tutta avevano adottato.
Dati questi presupposti, il suo cammino non poté non intrecciarsi in breve tempo con quello del presidente della SGI Daisaku Ikeda. Li univa infatti l’obiettivo di individuare possibili soluzioni alternative ai grandi problemi che l’umanità già negli anni Ottanta sembrava destinata ad affrontare in quello che ora è diventato il secolo che stiamo vivendo: il ventunesimo. Anche se la provenienza culturale e il percorso personale sono molto diversi, e spesso anche i punti di vista possono risultare per loro stessa ammissione parzialmente divergenti, per i due uomini il desiderio di trovare un terreno comune per un dialogo su questi temi è stato naturale, per non dire inevitabile: come si legge nella premessa scritta a quattro mani “solo se sarà in grado di rivedere in toto i suoi valori e la sua visione della vita ogni singolo essere umano potrà comprenderli e accostarvisi con la serena speranza che in virtù del suo rinnovamento interiore non verremo mai sopraffatti”.

I limiti illuminati dello sviluppo

La prima edizione del libro uscì in Italia nel 1985 con l’emblematico titolo Campanello d’allarme per il XXI secolo. Peccei si era spento l’anno precedente, dopo una vita intera spesa a inseguire il sogno di un mondo guidato da un sistema politico ed economico illuminato, ma l’onda di questo stimolo rivoluzionario non si è fermata. Nel 2006, a trent’anni di distanza, viene pubblicato un rapporto aggiornato dal titolo I nuovi limiti dello sviluppo; recentemente è stato anche realizzato il documentario The Last Call (Ultima chiamata) che racconta la storia che ha portato alla pubblicazione di quel testo così controverso negli anni Settanta. Infine pochi mesi fa la casa editrice esperia ha deciso di curare una nuova edizione di questo stesso dialogo per ricordare e ricordarci che, purtroppo, l’essere umano non sembra aver ancora imparato la lezione.
Questo dialogo a due voci, questo sogno alimentato da un botta e risposta a distanza, prende avvio dal racconto di Peccei sull’evoluzione della storia umana in relazione alla natura e al suo stravolgimento dovuto all’industrializzazione, che trova la sintesi in questo passo: «Non ci sarà concesso di lasciare ai nostri figli alcun retaggio valido e fruttuoso, nulla potrà rivelarsi duraturo se prima non saremo riusciti a ripristinare la pace e l’armonia con la Natura. Unitamente a quello relativo al progresso umano, questo è l’imperativo della nostra era». A tale visione risponde Ikeda, delineando la propria soluzione per la pace nella via dell’interrelazione umana: «Rafforzare atteggiamenti altruistici quali l’amore e la compassione costituisce l’unica via per porre fine all’egoismo umano e alla frenetica smania di potere […] dobbiamo fare appello a tutte le nostre forze per stimolare nel pensiero di ognuno la rivoluzione interiore – la rivoluzione umana – capace di allontanare l’uomo dalla crudeltà e dalla distruzione e di spingerlo sulla via della compassione e dell’altruismo».
I due pensatori si confrontano in maniera articolata su entrambi i temi, sviscerando argomenti come la riduzione dei consumi, la fame o la deforestazione da un lato, e la democrazia, la pace e la religione dall’altro, fino a giungere a una concezione di base comune: la rivoluzione umana, quel percorso fondamentale che tanto spazio occupa nella filosofia buddista.
Se da una parte infatti Ikeda ci ricorda che «colui che ha operato in sé una rivoluzione umana al livello più profondo della sua coscienza sa gestire i suoi rapporti con la Natura e con gli altri esseri umani», dall’altra Peccei sottolinea che «il mondo ha bisogno di ritrovare la fiducia in se stesso e nella sua capacità di forgiare un futuro migliore» e che «lo sviluppo delle nostre risorse innate costituisce il punto naturale d’avvio».
Come tengono a ribadire in conclusione, non si sono riuniti qui per tentare di convincere chi legge che sono loro a brandire il vessillo della verità assoluta, ma per invitarci a gran voce a partecipare, integrare, sfidare quanto da loro riportato, ma soprattutto ad agire perché per questo nostro mondo quel campanello d’allarme smetta di suonare.

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Sfogliando il libro

Aurelio Peccei – Nato a Torino il 4 luglio 1908, nel 1930 si laureò in economia nella sua città e si specializzò alla Sorbona di Parigi. Nonostante fosse sospettato di antifascismo, per il suo curriculum e la conoscenza delle lingue entrò in FIAT dove si affermò come dirigente. Durante la Seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza come membro del movimento “Giustizia e Libertà” e nel 1944 conobbe il carcere e la tortura. Dopo la fine della guerra fu coinvolto nella ricostruzione partecipando anche alla fondazione della prima compagnia aerea italiana, l’Alitalia.
Nel 1949, per conto della FIAT, si trasferì con la famiglia in Argentina. Nel 1958 fondò la Italconsult, che aveva l’obiettivo di fornire consulenza economica e ingegneristica ai paesi in via di sviluppo. Sotto di lui la società lavorò principalmente come un’organizzazione no profit: avendo trascorso molti anni in Sud America, si era reso conto delle situazioni estremamente disagiate in cui vivevano le popolazioni locali. Nel 1964 divenne amministratore delegato della Olivetti riuscendo a risollevare le sorti dell’azienda, ma concentrò i suoi sforzi anche su altre organizzazioni, ad esempio la ADELA, un consorzio internazionale di banchieri di supporto allo sviluppo economico dell’America del Sud. Nel 1968 fondò il Club di Roma, un’associazione non governativa, no profit, di scienziati, economisti, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti. (fonte Wikipedia)
Dei suoi incontri con Daisaku Ikeda ricordiamo il primo, nel 1975 a Parigi, quindi a Firenze nel 1981 e ancora a Parigi nel 1983.

Pagg. 102-103

Ikeda: La legge buddista di causa ed effetto non è incompatibile con il libero arbitrio. Sebbene ogni essere umano nasca con un proprio retaggio karmico derivato da precedenti esistenze, ciascuno di noi è libero, nel corso della vita terrena, di alterarlo in bene o in male, a seconda dei suoi intendimenti. Secondo il pensiero buddista, l’uomo è per nascita e per natura libero. Non solo: la libertà di cui l’uomo gode esige il massimo rispetto. Ognuno dovrebbe essere libero di gestire il proprio destino che ha ereditato. Avviene tuttavia che, spinto dalla sete di ricchezza e di potere, qualcuno calpesti la libertà dei suoi sudditi o seguaci e spesso – singolare ironia del caso – nel nome di una pretesa “libertà” umana. Noi buddisti crediamo che, indipendentemente dai benefici ch’essi possono trarre nell’immediato da un simile comportamento, prima o poi giustizia sarà fatta. A suo giudizio, quale via concreta è opportuno seguire per attestare il rispetto dovuto all’uomo?

Peccei: Essenziale, a me sembra, il rispetto per la libertà del singolo di vivere a modo suo e secondo i propri intendimenti. Lo era al tempo del Budda, quando gli uomini vivevano in esigue comunità sparse, e a maggior motivo lo è ai giorni nostri, in cui la specie umana è praticamente accatastata in caotici agglomerati urbani, alcuni dei quali – Calcutta, per esempio – riuniscono in sé una popolazione forse superiore a quella dell’intero subcontinente indiano all’epoca del Budda.
Ma lo status passivo del rispetto della libertà altrui non è sufficiente. Esistono innumerevoli persone – persone, intendo dire, vicine a lei, a me, ai nostri lettori – libere in linea di principio di scegliere il loro regime di vita, ma in pratica impedite da particolari condizioni socio-politiche o economiche a esercitare tale conclamata libertà. Non basta, insomma, rispettare la libertà degli altri: occorre adoperarci attivamente per garantirla a tutti, grazie a uno sforzo congiunto che punti a sbarazzare il mondo dalla povertà, dalle malattie, dall’ignoranza collettiva e da altre piaghe sociali, nonché dalle limitazioni alla suddetta libertà che oggigiorno il potere politico è in grado di imporre più facilmente che in passato.

Pagg. 219-221

Ikeda: È questo il senso della rivoluzione umana. Si tratta di un nuovo corso, più che del raggiungimento di una meta. Attraverso questa rivoluzione impariamo a individuare la meta e a dirigerci verso di essa. Pur incorrendo comunemente in errori, gli uomini impegnati in questa rivoluzione subiscono una decisiva trasformazione interiore. Col tempo i loro tratti distintivi acquistano evidenza. Sta di fatto che, a mio modo di vedere, la rivoluzione è un viaggio ininterrotto, non il raggiungimento di una destinazione prefissata. Lei cosa ne pensa?

Peccei: Sottoscrivo senza riserva il suo punto di vista. Indubbiamente è assai più stimolante renderci conto che navighiamo lungo la nostra rotta e che viaggiamo ormai verso una meta, sia pur lontana, che non raggiungerla, sempre ammesso che ciò sia possibile. Fino a quando si prolungherà, l’avventura umana appare esaltante nella misura in cui rinnoverà senza posa i suoi obiettivi, escogitando nuove strade e nuovi strumenti per raggiungerli, passando da una prima fase a una successiva più avanzata che proporrà nuovi esiti, nuovi propositi, nuovi traguardi. Ciò che conta per le nostre generazioni è evitare di indugiare troppo a lungo nello stato in cui siamo, o di agitarci a vuoto, senza scopi validi e definiti, giacché abbiamo a portata di mano la possibilità sicura e immediata, seppur involontaria, di autodegradarci o di autodistruggerci.
Attualmente ci troviamo a una svolta estremamente rischiosa della storia umana. Abbiamo dato luogo a una congiuntura assai più minacciosa di quella in cui si trovava, quasi un millennio e mezzo fa, gran parte del mondo civile. In tutto il mondo, innumerevoli fenomeni avversi hanno raggiunto un vertice senza precedenti, e lo stesso vale per la precarietà e l’instabilità di molte situazioni, se si tiene conto delle incredibili esigenze e aspettative proprie alla nostra epoca e al numero molto più alto di esseri umani coinvolti. Tutto lascia credere che l’enorme complesso di problemi davanti ai quali ci sentiamo impotenti, incapaci di gestirli se non addirittura di comprenderli, diventerà sempre più indistricabile. L’umanità corre verso la rovina, sotto l’impeto di forze ormai estranee al suo controllo, che talvolta si manifestano in reazione alla sua azione.
Una catastrofe di questa o quella specie potrebbe verificarsi anche nel prossimo futuro, molto prima di quanto possa essere logico supporre e temere. Se non cambiamo strada, e subito, questa calamità appare ineluttabile. Si produrrà in un luogo o in un altro, per poi estendersi e generalizzarsi. Agire senza indugio è ormai un imperativo categorico, perché di anno in anno questo compito supremo diventerà sempre più arduo. Adottare provvedimenti che assicurino la nostra salvezza sarà, nel 1985, più difficile di quanto lo sarebbe stato cinque anni prima. È indubbio, comunque, che il decennio in corso riveste un’importanza decisiva.

Ikeda: Ogni passo in più lungo la strada sbagliata ci distoglie ulteriormente dalla giusta meta. Porci sulla rotta suggerita dalla saggezza riveste un peso ormai determinante. Non giova correre, ma al contrario procedere secondo una direzione corretta e ragionata. Shakyamuni e i suoi discepoli, Confucio, Socrate, Platone e innumerevoli altri grandi del passato fruivano di un bagaglio di nozioni decisamente più limitato del nostro, nonché di un complesso di beni materiali assai meno copioso di quello a disposizione della società moderna. Essi però sapevano, molto meglio di noi, quale fosse il modo più armonioso e realistico di condurre l’esistenza. Abbiamo il dovere di ammirarli e di emularli sul piano spirituale in tutte le nostre azioni, giacché si avvalevano di qualcosa di assai più profondo, di superiore a ciò che possiede l’uomo oggi.
Del resto, anche oggi le persone più serene ed equilibrate sono quelle che lavorano e lottano per il benessere dei familiari e degli amici, incuranti del denaro e della fama, opponendosi al turbamento e al disagio spirituali che caratterizzano tutte le società tecnologico-scientifiche, d’impronta spiccatamente materialistica. I loro volti esprimono la felicità interiore, e sebbene a livello individuale gli uomini non abbiano il potere di assicurare progressi rapidi e dalla prospettiva ampia, solo loro sono realmente in grado di mutare il corso delle cose. Dal momento che il numero delle persone si incammina sulla giusta strada tende costantemente ad aumentare, a poco a poco le società adotteranno una linea di condotta incentrata sull’uomo e sulla dignità umana.

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Quando è nato il Club di Roma?

Nel 1968 Aurelio Peccei e lo scienziato scozzese Alexander King riunirono per la prima volta un gruppo ristretto di professionisti internazionali nel campo della diplomazia, dell’industria, del mondo accademico e della società civile.
L’incontro si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei, per discutere dei problemi riguardanti lo sfruttamento delle risorse e della loro progressiva carenza in un mondo sempre più interdipendente; da qui il nome Club di Roma.

Cos’è il Club di Roma?

Il Club di Roma è un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro. Le sue attività consistono nell’affrontare e valutare le cause dei problemi e delle crisi dei giorni nostri. È una piattaforma che riunisce docenti universitari, scienziati, politici, professionisti e membri della società civile, per progettare, sviluppare e realizzare strategie efficaci su una vasta gamma di questioni globali interconnesse che comprendono la sostenibilità ambientale, la crescita economica, il consumo di risorse, la pace, la sicurezza e la demografia. La sede oggi si trova a ­Winterthur, in Svizzera.

Come opera?

Il Club di Roma sta lavorando per affrontare ad ampio spettro questioni globali critiche come il clima, l’energia, la pace, la sicurezza e le trasformazioni sociali.
I suoi membri partecipano a una vasta gamma di iniziative e progetti internazionali. Tra le priorità del Club vi è il coinvolgimento con le nuove generazioni e con le università.

Il Club di Roma e la SGI collaborano?

Sì, in numerose occasioni. Per esempio, nel 2003 ad Amman si sono aperte due mostre: Gandhi, King, Ikeda: costruttori di pace e Costruire una cultura di pace per i bambini del mondo, durante l’annuale conferenza del Club di Roma. Tra gli ospiti anche vari rappresentanti della SGI-USA. Nel 2008 si è tenuto a Roma un convegno per ricordare la figura di Peccei al quale ha partecipato anche l’Istituto Buddista Italiano. Lo scorso dicembre, la sezione spagnola del Club di Roma e la SGI spagnola hanno promosso a Madrid un simposio interreligioso dal titolo “Fedi, sostenibilità e sviluppo umano”.

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Biografia di Aurelio Peccei (4 luglio 1908 – 13 marzo 1984)

1944 – Arrestato per essere antifascista e membro di”Giustizia e Libertà”
1949 – Si trasferisce con la famiglia in Argentina per conto della FIAT
1958 – Fonda la Italconsult, una joint-venture tra i più famosi marchi italiani nel campo automobilistico
1964 – Diventa amministratore delegato della Olivetti: risolleva le sorti dell’azienda
1968 – Riunisce a Roma alcuni studiosi con cui costituisce il Club di Roma

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Incontri che hanno lasciato il segno

1975 – Incontro con Daisaku Ikeda a Parigi
1981 – Incontro con Daisaku Ikeda a Firenze
1983 – Incontro con Daisaku Ikeda a Parigi

Daisaku Ikeda in più occasioni ha preso ad esempio la vita e la coerenza di Aurelio Peccei citandolo nei seguenti scritti:

Il Nuovo Rinascimento, n. 335, pag. 3
Il Nuovo Rinascimento, n. 346, pag. 3
Il Nuovo Rinascimento, n. 463, pagg. 14-17

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