Ieri sera sono tornata dal mio primo corso al Centro culturale europeo di Trets e sono raggiante, felice. Non ero mai voluta andare a Trets. Troppo duro, per me. Per me, con questo cuore così affondato, sprofondato, chiuso. Stare tre, quattro giorni in mezzo a tanta gente, senza possibilità di fuga, di riparo… Ho sempre rimandato, al momento opportuno. Ho trentacinque anni e pratico da nove. Ho un carattere chiuso, emotivo, timido. Sono cresciuta con un terrore folle di mio padre, qualsiasi mia parola, azione, poteva essere fonte di aggressione da parte sua, in un clima violento, psicologicamente violento. Col tempo piano piano ho imparato a non muovermi, a non dire, a non fare, a bloccare quanto usciva da me, in modo da evitare il più possibile attacchi. Avevo fatto talmente mio questo approccio alla vita da paralizzarmi: a vent’anni non dicevo nulla, non parlavo. Ci vollero due anni perché mi decidessi ad andare ad uno zadankai. Per me affrontare un gruppo di persone che si riunivano a parlare insieme era veramente troppo. Ma andai. Il clima fu stupendo, e continuai. Il Daimoku arrivò al mio cuore, l’effetto rivitalizzante di myo fu dirompente, rimasi. Era il 6 aprile 1997 quando presi il Gohonzon. Mi dedicai alla pratica e all’attività con tutta me stessa, continuando il lavoro su me stessa, continuando a cercare di aprire la mia vita, di aprire il mio cuore agli altri, di oltrepassare la barriera del mio piccolo io. Che fatica! Ero schiacciata, mi sentivo come se da dentro una buca guardassi in su, e il mondo era là fuori, troppo più grande di me. In realtà guardandomi indietro la realtà non era esattamente quella, in fondo a ventun anni ero risultata vincitrice di un concorso, avevo cominciato subito a lavorare in un ministero, vivevo in una casa per conto mio, ero perfettamente in salute. Ma allora… Pian piano ho cominciato ad accettarmi, a comprendere che la causa della mia sofferenza non era certo il mio carattere chiuso, timido, introverso, taciturno. Amarsi, volersi bene, perdonarsi. Smetterla di paragonarsi sempre agli altri, non serve a niente anzi è dannoso, è un modo per farsi del male. Non sono mai andata fino in fondo in campo sentimentale. La realtà è che con la testa mi dicevo di voler trovare un compagno con cui realizzare una famiglia per kosen-rufu, ma il cuore andava da un’altra parte. «Perfino una sola persona, se ha scopi contrastanti, finirà sicuramente per fallire» (Itai doshin, SND, 4, 267). La paura, la paura è tremenda se non riconosciuta e affrontata, blocca tutto, congela. Quest’anno ho chiesto un consiglio nella fede: famiglia e amore. Era da quattro mesi che non andavo a casa dai miei perché non volevo più che mio padre mi mancasse di rispetto. Chi mi ha consigliato mi ha detto «Non preoccuparti. Il Gohonzon serve per percepire la Buddità. Dobbiamo arrivare a sentire che siamo dei Budda proprio lì dove non crediamo di esserlo. Quando vai da tuo padre non ha importanza ciò che dirai. Se tu percepisci la tua Buddità, sarà questo che trasmetterai». E così sono tornata a trovare i miei, azione coraggiosa, non c’ho pensato e l’ho fatto. È andata bene. A Trets un uomo meraviglioso, al ritorno, mi ha raccontato la sua esperienza, legata alla perdita di sua madre che ha accudito fino all’ultimo come se fosse sua figlia, con un amore che non credeva di avere. Mi ha detto «Voi, che avete ancora in genitori in vita, abbiatene cura, abbiatene cura, adesso finché ci sono». E lì mi sono sciolta e ho cominciato a piangere disperata, sentendo tutta la fragilità che in questi anni non mi ero mai permessa di provare. Ho chiamato la mia responsabile in lacrime e lei mi ha letto una frase di Toda in cui lui riconosce la propria fragilità capendo che questo è il primo passo verso l’Illuminazione. Allora mi sono calmata e mi sono lasciata cullare da questa riconosciuta fragilità.
Adesso mi accompagna un profondo senso di vittoria. Sono felice, felice di essere viva in questo momento. Mi sto allenando a percepire la Buddità negli altri esseri umani e in me stessa. Mi sto allenando a vedere gli aspetti positivi nelle persone, negli eventi, nella vita. A indirizzare le mie qualità in direzione positiva. Non mi vedo più solo chiusa, timida, introversa, ma anche gentile, sensibile, delicata. Mi sto allenando a sentirmi un Budda.
Lettera firmata
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