Correva l’anno 1982 e più precisamente è stato il 2 agosto il giorno in cui, insieme ai miei più cari amici nella fede, ho ricevuto il Gohonzon. I primi tempi, portare avanti una pratica corretta fu durissimo: per fare Gongyo mattina e sera, allora molto più lunghi, impiegavamo ore e ore, ma nonostante questa e altre difficoltà le nostre vite iniziarono a cambiare profondamente e ovviamente in meglio: apparivano i primi benefici visibili e invisibili. Il Gohonzon… “funzionava”! Quando mi venne chiesto se lo volevo ricevere i miei responsabili mi spiegarono molto bene che non era una cosa da prendere alla leggera ma la cosa che mi colpì più di tutte è che questo Gohonzon mi veniva “affidato, non regalato e che lo dovevo proteggere per tutta la vita”. Un impegno non da poco! Chi mai prima di allora aveva pensato di fare, e più che altro mantenere nel tempo, una promessa così lunga e impegnativa? Alla fine è stato difficile e nello stesso tempo facile riceverlo. Difficile perché provengo da una famiglia di atei e dato che non avevo mai pregato in vita mia, a trovarmi così inginocchiata e per di più con le mani giunte, mi sentivo veramente sconfitta, umiliata dalla mia debolezza di essere lì a recitare, di aver perso le mie convinzioni. Ma non c’è stato niente da fare, per quanto lottassi dentro di me, io il Gohonzon lo volevo, sentivo che recitare Gongyo e Daimoku mi faceva stare bene: insomma volevo essere più felice! E a quel punto fu facile anche dirlo ai miei genitori e mia sorella Ilaria, che all’epoca aveva solo nove anni, volle per forza iniziare a praticare tanto che quest’anno festeggia ventiquattro anni di pratica buddista. Oggi, che ho quarantasei anni se mi guardo indietro non riesco proprio a immaginare la mia vita senza il Gohonzon e sono felice di “poterlo custodire per tutta la vita”.
Che cos’è il Gohonzon?
Il giorno che riceviamo il Gohonzon è un avvenimento molto importante perché da quel momento in poi confermiamo la decisione di intraprendere una meravigliosa strada, quella della fede, che ci porta alla Buddità.
Ma cosa c’è scritto nel Gohonzon, che è la nostra vita? Al centro di questa pergamena sono iscritti i sette caratteri di Nam-myoho-renge-kyo, seguiti dal nome Nichiren per indicare l’identità di persona e Legge. Gli altri ideogrammi sono per lo più nomi di personaggi scelti dal Daishonin per rappresentare tutte le funzioni positive e negative inerenti alla nostra vita, ma «illuminate dai cinque caratteri della legge mistica, rivelano la natura illuminata che possiedono intrinsecamente» (Il vero aspetto del Gohonzon, SND, 4, 202).
Quindi recitare Nam-myoho-renge-kyo di fronte al Gohonzon in qualsiasi condizione spirituale o materiale nella quale ci troviamo, ci permette di innalzare il nostro stato vitale e manifestare la nostra Buddità: è la Cerimonia nell’aria alla quale prendiamo parte tutte le volte che facciamo Gongyo e Daimoku.
In molti suoi scritti il Daishonin ci indica uno dei fattori più importanti per sviluppare la nostra fede nel Gohonzon e poterlo comprendere e cioè che non è qualcosa che esiste staccato da noi. Ad esempio nel Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza afferma: «Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-renge-kyo, ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica ma qualche insegnamento imperfetto» (SND, 4, 4).
In un certo senso tutto ciò è veramente difficile da comprendere, dal momento che noi tutti percepiamo il Gohonzon come un oggetto del nostro ambiente e siamo naturalmente portati a fare una distinzione tra ciò che sta dentro di noi e ciò che è al di fuori. Recitare rivolgendosi a qualcosa “al di fuori” somiglia in qualche modo all’idea di venerare un idolo. L’uomo per troppo tempo ha continuato a tracciare una linea di demarcazione tra queste due cose, è tutto ciò è stato sempre causa di enormi sofferenze, credendo che la risposta ai problemi dell’esistenza stesse nel modificare l’ambiente piuttosto che in un cambiamento radicale e profondo della propria vita.
Siamo noi, e solo noi, che possiamo cambiare ogni situazione, anche la più disperata ed è per questo che è importante proteggerlo, perché è l’unico mezzo che abbiamo per fare la nostra rivoluzione umana.
La cosa fondamentale che il Daishonin ci insegna è che per far “funzionare” il Gohonzon dobbiamo sempre guardare noi stessi perché il suo grande potere si trova nell’incredibile saggezza e fortuna che quando recitiamo Gongyo e Daimoku sgorgano dalla nostra vita. Quindi non dobbiamo commettere l’errore che facciamo spesso nei riguardi della pratica buddista, cioè oltre a credere che il Gohonzon sia al di fuori di noi, pensare che la Buddità si trovi in qualche altro posto o situazione; dovremmo riflettere su questi aspetti, sia che si pratichi da poco tempo o da tanti anni altrimenti come ci ricorda il Daishonin:
«Se cerchi l’Illuminazione al di fuori della tua mente, qualsiasi disciplina o buona azione sarà priva di significato. Per esempio, un povero non potrà guadagnare un centesimo contando le ricchezze del suo vicino, anche se lo fa continuamente giorno e notte» (SND, 4, 4).
Quindi aver incontrato la pratica buddista è una immensa fortuna che va saputa apprezzare perché possiamo veramente costruire delle vite piene di gioia e lasciare dietro di noi dei meravigliosi ricordi.
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Domanda e risposta
Mi chiedo perché…
di Cristina Sereni
Che differenza c’è fra recitare Daimoku davanti a un muro o davanti al Gohonzon?
«Ti affido un Gohonzon per la protezione del tuo figlioletto. Questo Gohonzon è l’essenza del Sutra del Loto, l’occhio di tutte le scritture. È come il sole e la luna nel cielo, come un gran re sulla terra. È come il cuore di un uomo, come la gemma che esaudisce i desideri, come il pilastro di una casa» (Aver fede nel Gohonzon, SND, 7, 245).
Ovviamente non possiamo ricevere il Gohonzon direttamente da Nichiren Daishonin, come accadeva ai suoi discepoli vissuti nello stesso periodo, ma le cerimonie di consegna che avvengono oggi nei nostri Centri culturali rispecchiano lo stesso spirito.
E lo spirito di chi lo riceve? Chi lo accoglie si trova ad avere un mandala, che letteralmente significa “perfettamente dotato” e, recitando Gongyo e Daimoku di fronte a questa pergamena, si può attivare la condizione di Buddità. Dico “si può” perché se lo si lascia nel mobiletto a prender polvere e trascuriamo la recitazione, difficilmente funzionerà. Come ricorda Tamotsu Nakajima, l’attuale direttore generale, sulle pagine di Buddismo e Società n. 112, pagg. 25-26: «Quando recitiamo Nam-myoho-renge-kyo di fronte al Gohonzon emerge la Buddità che abbiamo dentro di noi. Il Gohonzon è fatto apposta per farci manifestare la nostra Buddità. Senza il Gohonzon questo non si può fare. Il punto è se ci crediamo o no, cioè quanto valore diamo a questa pergamena. Pensiamo che sia semplice carta oppure, come dice il Daishonin, la sua vita, la vita illuminata del Budda originale? Tutto dipende dalla relazione tra noi e il Gohonzon». E chi il Gohonzon non ce l’ha? «In certi casi va bene anche il muro, o niente. Ma bisogna ricordare che Toda, appena uscito dal carcere, confermò la sua Illuminazione guardando il suo Gohonzon, ideogramma per ideogramma. Se una persona non ha mai praticato e non ha mai visto il Gohonzon come fa a sperimentare questa condizione vitale? Recitare davanti al Gohonzon è la prima cosa per praticare bene, per far emergere la propria Buddità. Perciò se noi diciamo a chi comincia che anche il muro va bene, gli impediamo di fare la cosa migliore. E facciamo il contrario del volere di Nichiren Daishonin. Tutt’altra cosa era quando il Gohonzon non si poteva ricevere».