In quel periodo incoraggiavo i giovani con tutto il cuore e un’amica, a cui avevo parlato del Buddismo, iniziò a praticare sperimentando i benefici del Gohonzon
Quando ho iniziato a praticare nel 2005, studiavo Giurisprudenza con scarsi risultati e senza interesse per la materia. Non sapendo cosa fare della mia vita, cercai di seguire un consiglio del presidente Ikeda: «Sfida la montagna davanti a te, dopo capirai la tua missione» (In cammino con i giovani, esperia, pagg. 61-62). Decisi quindi di terminare l’università. Nel frattempo ricevetti il Gohonzon e, sostenuto dai compagni di fede e dalla mia famiglia, mi laureai con il massimo dei voti. Pregai tantissimo per diventare economicamente indipendente e per fare un’esperienza professionale importante, ma non avevo idea di quale percorso lavorativo iniziare. Grazie all’attività per gli altri fatta con la Soka Gakkai, scoprii la mia passione: le risorse umane.
Incredibilmente riuscii a vincere una borsa di studio per frequentare un master in risorse umane. In seguito feci uno stage di sei mesi a Genova in un’azienda che, concluso il tirocinio, mi offrì un contratto di lavoro che non riguardava il campo che avevo scelto. In tempo di crisi però era una grande opportunità. Recitai tanto Daimoku perché non sapevo se accettare o rifiutare: non era il lavoro che sognavo, ma avevo paura di rimanere disoccupato. Un giorno sentii una grande libertà nel cuore. Decisi di continuare a credere nella mia passione; declinai l’offerta e tornai a Cagliari.
Quella decisione presa davanti al Gohonzon “si proiettò nell’universo” con grande forza e dopo solo venti giorni partecipai a un concorso per entrare nella direzione del personale all’Università di Cagliari. Lo vinsi e firmai un contratto di due anni.
Proprio in quel posto feci le mie prime esperienze buddiste e sviluppai la mia identità professionale. In quel periodo incoraggiavo i giovani con tutto il cuore e un’amica, a cui avevo parlato del Buddismo, iniziò a praticare sperimentando i benefici del Gohonzon.
Scoprii il piacere di ricercare la felicità, non solo per me ma anche per gli altri, imparando a trasformare le mie paure e insicurezze.
Concluso il lavoro all’università, e non trovando un’altra occupazione da mesi, accettai un impiego a tempo indeterminato offertomi dall’azienda di Genova. Da subito mi resi conto che il lavoro era frustrante, il clima era molto teso e non veniva riconosciuto il mio valore. Un vero fallimento professionale. Mi sentivo sconfitto. Nel tempo, il sostegno dei compagni di fede, il Daimoku e l’attività con i giovani con cui studiavo La rivoluzione umana, hanno prodotto in me un cambiamento: ho riacquistato il sorriso e parlato di pratica buddista anche ai colleghi che vivevano la stessa frustrazione. Desideravo comunque due cose: tornare in Sardegna e trovare un lavoro nell’ambito delle risorse umane.
Per realizzare questo desiderio facevo tantissimi colloqui ma nessuno andava in porto. Un giorno lessi una frase di Ikeda: «Cosa posso riferire al mio maestro, come suo diretto discepolo?» (Diario giovanile, esperia, pag. 827). Mi posi la stessa domanda e determinai di non mollare, di dedicarmi sempre più alle attività buddiste e di riportare al mio maestro una grande vittoria.
Si manifestò una possibilità: un concorso, per un solo posto, per entrare a tempo indeterminato nel campo delle risorse umane dell’Università di Cagliari, il mio sogno! Studiai tanto, feci tanto Daimoku, feci attività come responsabile dei giovani, studiavo il Buddismo e incoraggiavo amici e conoscenti per diventare felici. Superai tutte le prove del concorso ma, prima di quella finale, ebbi paura di non farcela. Condivisi questo pensiero con una compagna di fede che mi disse che avevo già vinto: in mezzo alle difficoltà di quei mesi, avevo comunque incoraggiato una mia amica a praticare per realizzare i suoi obiettivi. Avevo vinto perché avevo mantenuto viva la determinazione di poter migliorare la mia situazione nonostante i continui fallimenti. E le avevo trasmesso la stessa speranza.
Per l’ultima prova ho recitato tanto Daimoku, il mio stato vitale era altissimo, nessuna paura e nessuna ansia. Sentivo il sostegno di tutti i compagni di fede, e inutile dirlo: ho vinto il concorso. «Vincere vuol dire non soccombere alla sconfitta» (BS, 173, 34) dice il maestro Ikeda e io so che ho realizzato il mio sogno trasformando la paura in fiducia.