…e della vittoria. Il 2009 sarà infatti dedicato dalla SGI ai giovani. Durante il corso del Nord Italia abbiamo raccolto le testimonianze di una loro rappresentanza: sono loro i ventenni che si stanno preparando a proteggere e portare avanti nel futuro gli ideali del nostro movimento
Redazione: Qual è l’obiettivo più grande che avete realizzato da quando avete cominciato a praticare il Buddismo?
BARNABA: È stato imparare a conoscermi. Subito dopo il diploma ho cominciato a soffrire di attacchi di panico e, da persona completamente indipendente come ero, mi sono trovato imprigionato in casa. È stato un anno di lotta con me stesso. Prima vivevo tutto in modo superficiale: dalle amicizie alla scelta della scuola. Ora sta venendo fuori la mia vera natura. Così è nata in me la passione per la fotografia, mi sono iscritto a un corso che mi appassiona molto.
SIRIA: Durante l’adolescenza ho attraversato la separazione dei miei con grande senso di rifiuto; consideravo impossibili da trasformare i momenti di inferno che avevo vissuto. Con il Buddismo, da persona timida e insicura sono diventata più forte, ho iniziato a studiare teatro e poi mi sono iscritta al DAMS.
LAURA: Fare attività insieme agli altri mi rende felice e riesco più facilmente a raggiungere i miei obiettivi.
LETIZIA: Lo scorso anno, da studentessa liceale scarsissima, ho deciso di iscrivermi a una scuola di restauro in cui c’erano solo quattro posti per tutta Italia, e ho passato la selezione!
ELIAS: Diventare indipendente economicamente; con i miei genitori si era creata una forte tensione poiché erano contrari al fatto che io ricevessi il Gohonzon. Da quando ho iniziato a lavorare sono diventato più sicuro di me e ho capito che la vita è bella!
ELISA: Il più grande beneficio è stato togliersi tanta sofferenza, vivere senza avere un macigno dentro. Il giorno prima di ricevere il Gohonzon ero dovuta scappare da casa dei miei a causa di una lite furibonda con mia sorella che stava per degenerare in tragedia. Lo scorso mese mia sorella ha recitato Daimoku con me e ha partecipato a una riunione con il suo ragazzo.
SONIA: Mi sento davvero fortunata ad avere il Gohonzon, soprattutto nei momenti più difficili. Mi chiedo sempre cosa posso fare rispetto ai grandi problemi sociali: migliorare ogni giorno. Mai come ora la situazione è ottimale per darci da fare. La SGI è la mia famiglia e come tale è il mio orgoglio, è la mia fede. Ti dichiari, sei tu.
Redazione: Qual è la vostra sfida più grande – personale o sociale – per il 2009 o più in generale per il futuro?
BARNABA: Liberarmi dall’insicurezza e trovare delle basi solide per la mia vita.
ELISA: Finire gli studi in serenità e diventare un medico di grande cuore, soprattutto a livello umano.
SIRIA: Lavorare nell’ambito del teatro sociale.
LAURA: Diventare una persona di valore.
LETIZIA: Ripagare il debito di gratitudine verso i miei genitori, utilizzare le mie sofferenze per capire quelle degli altri e riuscire a costruire delle basi solide nella mia vita in modo da renderla così ampia da poter abbracciare il maggior numero di persone.
SONIA: Desidererei che tutti sentissero la SGI come la propria casa, in cui ognuno ha un ruolo ed esprime la propria gratitudine verso gli altri e anche per chi ha praticato prima di lui.
Redazione: Cosa vi aspettate da una riunione di discussione?
ELIAS: Quando partecipo a una riunione di discussione cerco di mettercela tutta e di raccontare una mia esperienza. Se si dà il massimo, anche gli altri lo danno e la riunione cambia.
LETIZIA: Il mio forte desiderio è che gli ospiti trovino al loro arrivo persone gioiose in grado di trasmettere la bellezza della vita e il percorso che stiamo facendo. Cerco di utilizzare le mie sofferenze per comprendere meglio quelle degli altri. Essere alla riunione è comunque sempre una scelta.
GIULIA PU.: Nel mio gruppo siamo quasi tutti giovani e tra di noi c’è molta unione e amicizia, anche al di là dell’attività. Questo è un forte stimolo a partecipare alle riunioni con gioia e non per senso del dovere.
GIULIA PE.: Nel gruppo le persone non rimanevano a lungo nonostante il nostro impegno. Allora abbiamo fatto un lavoro ancora più profondo decidendo insieme l’obiettivo che le persone uscissero dalla riunione trasformate, come la persona che entra nella “stanza delle orchidee” di cui parla Nichiren!
LAURA: Al mio primo zadankai non c’erano persone della mia età, mi sentivo fuori luogo. Sono uscita con uno stato vitale bassissimo. Poi, studiando, ho capito che tutto parte da noi, e ho deciso di cambiare, così ho cominciato a recitare Daimoku perché tutti potessero vivere la riunione con gioia. Da allora parliamo tutti, non c’è un attimo di silenzio e sono arrivate nuove persone. Anche se non siamo stati nominati responsabili, tutti siamo responsabili del nostro gruppo. Se nel gruppo c’è una cosa che non va e l’abbiamo vista noi, vuol dire che tocca a noi trasformarla.
FABRIZIO: Il mio atteggiamento all’inizio era un po’ menefreghista, mentre dopo la mia partecipazione alla riunione europea del 16 marzo c’è stata una svolta: ho vissuto delle delusioni ma non ho abbandonato le mie convinzioni. Questa esperienza mi ha dato la forza di andare davanti al Gohonzon più onestamente, accettando anche i miei lati negativi. Ho iniziato a incoraggiare gli altri dicendo loro: «Non c’è problema, anch’io sono così» e il beneficio di questo nuovo atteggiamento è stato che il gruppo è diventato più numeroso. Per trasmettere un incoraggiamento bisogna avere provato un’esperienza sincera.
SONIA: È un appuntamento molto importante per me, e mi prefiggo di non mancare mai. Mi piace perché è un momento di confronto, di incontro intimo e familiare, ma anche di aria fresca e di ricarica, un momento magico in mezzo a una quotidianità che ci rende frenetici e spesso superficiali. Per questo è bello invitare i nostri amici, perché lì si trova la scintilla scatenante che fa partire la decisione di praticare.
SIRIA: Per me è una grandissima occasione di crescita: dovermi occupare del gruppo è una sfida per mettermi in gioco per affrontare la mia timidezza e la mia insicurezza. I miei propositi sono prima di tutto di essere preparata per poter trasmettere correttamente e nel modo più chiaro possibile questo insegnamento. Poi, creare armonia affinché le persone si sentano accolte. Ognuno di noi è responsabile della propria rivoluzione umana, quindi se c’è qualcosa che non va la prima domanda che voglio sempre farmi è: «Cosa sto sbagliando e cosa posso fare per migliorare questa situazione?».
ELISA: All’inizio partecipavo a tutti i tipi di attività, ma allo zadankai ci andavo malvolentieri perché il gruppo era un po’ soporifero. Ero la più giovane e così volevo girare tutti i gruppi e scegliere quello che mi piaceva di più, ma poi ho deciso di accettare il consiglio di provare a trasformare il mio ambiente, e così è stato. Ora mi diverto tantissimo, mi sento parte del gruppo e non faccio neppure più caso all’età, ci scambiamo le esperienze, io racconto le mie e ascolto le loro, che riguardano aspetti della vita che affronterò anch’io tra qualche anno. Ho imparato a conoscerli e ho scoperto in loro delle belle qualità, e ora mi sembrano tutti fighissimi. Inoltre abbiamo adottato un buon metodo per coinvolgere tutti nell’attività: alla fine della riunione, decidiamo l’argomento della prossima e chi si occuperà della preparazione e della protezione.
IRIS: Sono la più giovane del gruppo e sento che il mio contributo alla riunione è di tenere le persone allegre, di fare qualche battuta per dare un po’ di brio all’atmosfera.
SERENA: Sono responsabile di gruppo e per la prima volta sento che sto veramente prendendo a cuore ogni persona. Vedere che le persone riescono ad aprirsi nei miei confronti, mi fa avere più fiducia in me stessa.
BARNABA: Voglio vincere il giudizio che ho di me stesso e imparare a dedicarmi agli altri senza aspettare il riconoscimento e l’approvazione altrui. La risposta è: concentrarsi su kosen-rufu e sul desiderio di trasmettere la passione per la Legge.
Redazione: Qual è l’emozione più grande che avete provato da quando avete iniziato a praticare il Buddismo del Daishonin?
ELIAS: A me sembra che le emozioni aumentino sempre di più, giorno dopo giorno, mi sembra di essere su un treno ad alta velocità: più avanzo e più sperimento gioia.
BARNABA: Sono veramente tante le volte in cui si percepisce una gioia immensa. Ci sono dei piccoli momenti in cui riesci a comprendere la grandezza della Legge e in cui le sfumature dell’immensità ti fanno esplodere di gioia.
GIULIA PE.: Sebbene io pratichi da solo due anni, da una persona di fondo infelice sono diventata una persona di fondo felice. Nei momenti particolarmente illuminati, proprio mentre sto recitando mi capita di pensare alla catena infinita di persone che mi hanno permesso di iniziare a praticare e di cambiare la mia vita in questo modo. Penso ai nostri maestri e a tutte le persone sconosciute, e che non conoscerò mai, verso le quali ho un debito di gratitudine e sento il fortissimo potere della Legge mistica. Questa cosa mi riempie di gioia e di felicità.
LAURA: Per me è stato quando ho aperto il Gohonzon, e mi sono accorta che mia madre, che mi aveva fatto shakubuku, si era messa a piangere. Lì ho capito che mi aveva dato la vita per la seconda volta.
IRIS: Ho iniziato a praticare dopo aver letto la biografia di Roberto Baggio e, quando a un corso era fra i partecipanti, l’ho avvicinato e gli ho detto: «Grazie!». Subito dopo sono scoppiata a piangere e sono corsa via. Se ci ripenso mi batte ancora il cuore. Un’altra grande emozione è stata capire il debito di gratitudine verso i miei genitori. Non ho mai avuto un grande rapporto con i miei, ma grazie al Gohonzon sono riuscita a riscoprirli, a smettere di incolparli e a capire che ho “scelto” io la mia famiglia. A un’ora dall’apertura del mio Gohonzon è arrivata la notizia della morte di mio padre e, nonostante la sofferenza, ho provato anche gratitudine perché ero riuscita a perdonarlo prima che lui morisse, e allo stesso tempo a perdonare me stessa per come mi ero comportata da figlia.
FABRIZIO: Di emozioni ce ne sono state tante, di belle e di brutte, da quando ho iniziato a praticare. È stata un’esperienza scoprire delle emozioni che non provavo più da tanto tempo e, cosa che prima non riuscivo a fare, apprezzarle nel momento in cui le vivo. Comunque l’emozione più grande che vorrei sperimentare è poter dare prova della mia fede continuando a lottare per realizzare un grande obiettivo.
ELISA: Non avevo un bel rapporto con mio nonno, né mi interessava averlo, almeno prima di incontrare il Buddismo. Poi si è ammalato gravemente e siccome soffriva molto, ho recitato Daimoku per la sua felicità. Un giorno lui, che non ne sapeva nulla, ha detto a mia mamma delle cose molto toccanti su di me e questo mi ha fatto sentire che gli volevo bene. L’aver provato questo bel sentimento prima che ci lasciasse mi ha resa veramente felice.
Redazione: In una parola, secondo voi, cos’è che farebbe dire ai vostri amici dopo essere stati a una riunione: «Che bello, era proprio quello che stavo cercando!»?
TUTTI: Il coraggio, la speranza, la consapevolezza, la comprensione, la gioia, il cuore, l’occasione, la sincerità, la determinazione, la fiducia, gli ideali.
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Incontro con Hiromasa Ikeda / Premi Nobel e capi di Stato del domani
Durante il corso internazionale della SGI in Giappone, i giovani hanno partecipato a un incontro con il professor Hiromasa Ikeda, vice direttore dell’Università Soka e della Soka Gakkai. Hiromasa è figlio di Daisaku e Kaneko Ikeda. Questa è la sintesi del suo intervento.
A maggio, in occasione della giornata dedicata ai giovanissimi, il presidente Ikeda ha fatto mettere a dimora degli alberi dedicati alla Divisione futuro nei Centri culturali dei cinque continenti. Appare chiaro che con questa azione sensei desidera incoraggiare la realizzazione della Divisione futuro nelle rispettive nazioni. Questa attività è fondamentale poiché farà crescere futuri leader sia nella SGI che nella società: il presidente Ikeda infatti afferma spesso che fra gli attuali membri della Divisione futuro ci sono i primi ministri e i premi Nobel del domani. E, pensando al futuro del nostro movimento, le nuove generazioni sono davvero importanti.
Tra le parabole contenute nel sutra c’è quella di un bambino che andò a raccogliere dell’acqua nel fiume. Shakyamuni lo vide e disse a Shariputra: «Osserva quel fanciullo. Dal suo comportamento si denota che è un bambino dallo spirito nobile». Il fanciullo lo udì e si narra che visse tenendo in mente le parole del Budda.
In un’altra occasione, Daisaku Ikeda ha dato dei consigli precisi sul comportamento da tenere con i bambini, partendo dall’assunto che sono individui completi, ciascuno con le proprie peculiarità. È importante rivolgersi alla parte adulta insita in ciascuno di loro e non trattarli come semplici bambini. Parliamo loro in modo chiaro; a volte, ad esempio, quando i bambini fanno confusione al Centro culturale per farli smettere, gli adulti dicono loro in modo sbrigativo: «Non fate confusione, altrimenti il soka-han vi sgrida!». L’effetto sarà che i bambini avranno un’immagine negativa di chi protegge i Centri. Al contrario, dovremmo spiegare bene il motivo reale della nostra raccomandazione con parole del tipo: «Qui ci sono persone che si stanno sforzando sinceramente per la felicità degli altri. Non fare rumore è un modo per esprimere il nostro rispetto». Sempre il presidente Ikeda ha consigliato, quando andiamo a fare Gongyo dai membri, di prestare particolare attenzione al modo in cui ci rivolgiamo sia ai figli che ai genitori; il nostro tono della voce e il nostro atteggiamento influenzeranno l’idea che si possono fare i bambini presenti sul senso dell’attività buddista.
In conclusione Hiromasa Ikeda, dopo aver parlato dell’importanza di saper apprezzare le qualità insite nei giovanissimi e aver suggerito come rivolgersi ai bambini, ha utilizzato ancora una volta un intervento di Daisaku Ikeda rivolto in particolare ai genitori. È importante che i genitori tengano aperto il dialogo con i loro bambini, al di là della quantità di impegni che la vita quotidiana comporta. I genitori dovrebbero evitare di litigare di fronte ai figli e di fare paragoni fra fratelli e sorelle. Ogni genitore dovrebbe trasmettere convinzione su come vivere un’esistenza dignitosa, e questo è un “compito” che può essere realizzato soltanto a condizione di averlo applicato prima di tutto su di sè. Ultimo suggerimento: non far sentire in colpa i bambini che non vogliono recitare. Al contrario si possono incoraggiare a recitare semplicemente tre Daimoku: la fede è un impegno che dura tutta la vita.