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Ponti di amicizia per creare la pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 06:58

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    Ponti di amicizia per creare la pace

    In questa puntata della serie “Impariamo da La nuova rivoluzione umana”, pubblicata sul Seikyo Shimbun del 24 giugno 2020, il vicepresidente Hiromasa Ikeda evidenzia alcuni punti salienti del ventesimo volume

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    In questa puntata della serie “Impariamo da La nuova rivoluzione umana”, pubblicata sul Seikyo Shimbun del 24 giugno 2020, il vicepresidente Hiromasa Ikeda evidenzia alcuni punti salienti del ventesimo volume

    Punti principali

    • La decisione di realizzare la pace tra Cina e Unione Sovietica
    • I dialoghi, ponti di amicizia
    • La convinzione permette ai nostri sforzi di dare i loro frutti

    Il volume 20 de La nuova rivoluzione umana descrive la prima visita di Shin’ichi Yamamoto in Cina e poi in Unione Sovietica, seguita dalla sua seconda visita in Cina, avvenute tutte nel 1974, in soli sei mesi. Qui viene spiegato come la Soka Gakkai, un’organizzazione religiosa basata sul Buddismo di Nichiren Daishonin, sia stata in grado di dialogare con la Cina e l’Unione Sovietica, paesi che sostenevano l’ideologia marxista-leninista che nega il valore della religione.
    All’epoca le relazioni internazionali erano diventate sempre più complesse: da un lato continuavano le forti tensioni della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, dall’altro la Cina e l’Unione Sovietica, sebbene entrambe socialiste, erano in conflitto a causa delle differenze ideologiche.
    In tali circostanze, già nel 1968 Shin’ichi aveva presentato una proposta per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone. Ciò si basava sulla sua convinzione che l’amicizia sino-giapponese «avrebbe certamente stemperato le tensioni fra Est e Ovest che continuavano a protrarsi in Asia» (pag. 4), e alla fine avrebbe portato alla risoluzione delle tensioni su scala globale.
    Shin’ichi si trovò ad affrontare una serie di critiche a seguito di questa proposta; alcuni addirittura si domandarono perché un leader religioso dovesse “indossare la cravatta rossa”, cioè mostrare simpatia per un paese comunista. Egli però rimase fermo nella sua convinzione che non si possa veramente lottare per la pace se non si è pronti ad assumersi tutti i rischi del caso. Da parte sua, si dedicò con tutte le forze all’impresa di migliorare le relazioni tra il Giappone e la Cina.
    I sinceri sforzi per la pace della Soka Gakkai e di Shin’ichi attirarono l’attenzione dei leader cinesi e sovietici. Le sue visite in questi due paesi furono pianificate nel dicembre del 1973 e concretizzate l’anno successivo. Con questi viaggi Shin’ichi non aveva intenzione di promuovere il Buddismo in paesi socialisti né di impegnarsi in negoziati politici. Piuttosto, «era deciso a muovere dei passi che avrebbero orientato […] il mondo intero – che era diviso in due blocchi, quello occidentale e quello orientale – verso l’armonia e la pace» (pag. 116). In quanto buddista, il suo obiettivo principale era guidare il mondo, lacerato da interessi e ideologie nazionali, a unirsi in una rete solidale.
    Shin’ichi credeva fortemente che «al di là dei sistemi sociali o politici del paese in cui viviamo, siamo tutti esseri umani» (pag. 46).
    Quando gli fu chiesto il motivo per cui volesse visitare quei paesi socialisti, egli rispose: «Perché in quei paesi vi sono esseri umani. Andrò lì a incontrare le persone. […] Farò questo viaggio per costruire ponti di amicizia che uniscano il cuore delle persone» (pag. 126). Fu questa ferma convinzione che lo spinse a intraprendere dialoghi per la pace con la Cina e l’Unione Sovietica.

    Dall’altra parte del muro

    Nel maggio del 1974 Shin’ichi partì per la sua prima visita in Cina con la ferma determinazione di «diventare un ponte di amicizia tra la Cina e l’Unione Sovietica» (pag. 125). Questa determinazione si rafforzò sempre più durante i suoi vari incontri con le persone di entrambi i paesi.
    Ad esempio, in occasione di una visita a una scuola media di Pechino, vide degli studenti intenti a scavare una trincea e a costruire aule sotterranee in preparazione di un potenziale attacco sovietico. Quella scena gli fece tornare in mente i rifugi antiaerei che venivano scavati in ogni parte del suo quartiere durante la Seconda Guerra mondiale; decise quindi nel profondo del cuore di fare tutto il possibile per prevenire le ostilità tra i paesi e far sì che quella situazione potesse cambiare. Ancora, durante il suo primo viaggio in Unione Sovietica nel settembre di quello stesso anno, Shin’ichi visitò a Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) un museo e un cimitero monumentale in memoria dei caduti, dove espresse la sua indignazione per il male causato dalla guerra.
    In profonda empatia con la sofferenza che opprimeva le persone di entrambi i paesi, Shin’ichi si dedicò a portare avanti un dialogo dopo l’altro con i leader cinesi e sovietici – tra cui il premier cinese Zhou Enlai (1898-1976) – così come educatori, intellettuali e giovani. Nel corso del tempo, ciò permise la nascita in queste terre di una «profonda comprensione reciproca» (pag. 46) in grado di trascendere le strutture sociali e politiche.
    Durante la prima visita di Shin’ichi in Cina, il vice presidente dell’Associazione per l’amicizia tra Cina e Giappone dichiarò: «Credo che la Cina non invaderà mai alcun paese» (pag. 42). Successivamente, durante una conversazione con il premier sovietico Aleksey N. Kosygin (1904-1980), Shin’ichi condivise sinceramente le sue impressioni sulla visita in Cina, a cui Kosygin rispose: «La prego di sentirsi libero di dire ai leader cinesi che l’Unione Sovietica non attaccherà il loro paese» (pag. 211).
    In occasione della sua seconda visita in Cina, nel dicembre del 1974, Shin’ichi trasmise il messaggio del premier sovietico Kosygin a numerosi leader cinesi, tra cui il vice premier Deng Xiaoping (1904-1997), svolgendo il prezioso ruolo di ponte tra i due paesi.
    Nel secondo capitolo del ventesimo volume de La nuova rivoluzione umana, “Ponti dorati”, si legge: «È quando diciamo coraggiosamente la verità che siamo in grado di aprire la porta del cuore degli altri facendovi entrare la luce dello spirito. È così che si piantano i semi della fiducia» (pag. 160).
    In effetti l’approccio di Shin’ichi nel condurre dialoghi franchi e sinceri aiutò ad aprire le porte dei cuori che erano chiusi e a stringere legami di fiducia.
    Lo scrittore e commentatore politico Masaru Sato ha recentemente parlato della diplomazia del maestro Ikeda basata sul dialogo nella sua serie intitolata Studi su Daisaku Ikeda: perseguire il cammino verso una religione mondiale pubblicata sul settimanale giapponese AERA. Egli scrive: «Di fronte a un muro, i rivoluzionari politici faranno il possibile per abbatterlo. Daisaku Ikeda invece si rivolge a coloro che si trovano dall’altra parte del muro e li invita a dialogare. Attraverso il dialogo, cerca di creare alleati e promuovere la comprensione tra coloro che hanno posizioni e prospettive diverse dalle proprie».
    Il maestro Ikeda infatti ha continuato tenacemente a costruire reti di pace e umanesimo con tutte le persone, a prescindere dalle loro differenti posizioni.
    Quando ricerchiamo il dialogo, riusciamo a eliminare qualunque tipo di muro o barriera tra di noi.

    Un lavoro che richiede pazienza e perseveranza

    Contrariamente alle speranze di Shin’ichi, le relazioni tra la Cina e l’allora Unione Sovietica continuarono a deteriorarsi dopo le sue prime visite nei due paesi. Sebbene i suoi sforzi nell’intraprendere dialoghi non avessero portato risultati immediati, Shin’ichi si rifiutò di arrendersi. Dopo tutto, come viene descritto nel sedicesimo volume de La nuova rivoluzione umana, il professor Arnold J. Toynbee – il più importante storico britannico del ventesimo secolo – che era consapevole delle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica e tra quest’ultima e la Cina, aveva affidato a Shin’ichi il compito di dialogare con tutti i leader di questi paesi, nella speranza che si riuscisse eventualmente a unificare l’intera umanità (pag. 157).
    Una volta tornato dalle sue prime visite in Cina e Unione Sovietica, Shin’ichi continuò a dialogare con figure di spicco di entrambi i paesi. Quando i leader cinesi gli chiesero di evitare il più possibile di recarsi in Unione Sovietica per non mettere a repentaglio i suoi sforzi volti a rafforzare l’amicizia sino-giapponese, egli rispose: «Io amo la Cina. La ritengo preziosa. Allo stesso tempo, amo tutte le persone. Tutta l’umanità è preziosa» (pag. 270).
    Guidato dalla convinzione che in ognuno vi fosse la natura di Budda, egli «continuava a dialogare con le persone con la certezza che tutti indistintamente desiderassero la pace» (Ibidem).
    I suoi sforzi nel fungere da ponte tra la Cina e l’Unione Sovietica attraverso il dialogo iniziarono finalmente a dare i loro frutti quindici anni dopo. Nel maggio 1989, infatti, si realizzò l’incontro tra il segretario generale del Partito comunista sovietico Mikhail Gorbaciov e Deng Xiaoping, presidente della Commissione militare centrale e governatore de facto della Cina, durante il quale i due leader annunciarono la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Shin’ichi fu felicissimo di apprendere quella notizia.
    Non tutti i fiori che piantiamo sbocciano immediatamente. Tuttavia, se continuiamo ad agire senza mai arrenderci, mantenendo sempre una convinzione salda come l’acciaio, i nostri sforzi daranno sicuramente i loro frutti. Come si legge nel terzo capitolo del ventesimo volume: «Le grandi imprese si realizzano attraverso il costante accumulo di molte azioni invisibili» (pag. 276).
    In questo stesso capitolo è descritta la seguente determinazione del nostro maestro: «Kosen-rufu è la realizzazione della felicità dell’umanità e della pace nel mondo. Come buddista, continuerò a lavorare con tutto il cuore a questo scopo» (pag. 272).
    In quanto praticanti del Buddismo del Daishonin, facciamo ardere nei nostri cuori lo stesso senso di missione e impegniamoci ad aprire la strada per la pace mondiale.

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