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Piantare i semi della Buddità con il dialogo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:38

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Piantare i semi della Buddità con il dialogo

Daniele Pacchiarelli, Valentano (VT)

Ho preso alcuni numeri del Nuovo Rinascimento che avevo nello zaino e con tanta sincerità e un po’ di vergogna sono andato da lei e le ho parlato di Nam-myoho-renge-kyo

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Ho preso alcuni numeri del Nuovo Rinascimento che avevo nello zaino e con tanta sincerità e un po’ di vergogna sono andato da lei e le ho parlato di Nam-myoho-renge-kyo

Faccio l’infermiere da circa dieci anni e ho sempre lavorato nel reparto di medicina, finché due anni fa sono stato trasferito in Pronto soccorso. Due reparti completamente diversi, perché in medicina i ricoveri sono lunghi, si trascorre molto più tempo con i pazienti, perciò avevo tante occasioni per creare un rapporto di empatia, loro poco a poco si aprivano raccontandomi della loro vita, io della mia, e di conseguenza parlavo del Buddismo del Daishonin e della Soka Gakkai.
Non dimenticherò mai un signore malato terminale, Edoardo, con cui avevo creato un fortissimo legame, che la notte prima di morire, nel pieno di dolori lancinanti, ha recitato Daimoku con me tutta la notte, perché era l’unica cosa che riusciva a calmarlo.
Ma al Pronto soccorso è cambiato tutto, arrivano persone in continuazione che, per le loro condizioni critiche di salute, a malapena riescono a rivolgerti la parola. Così giorno dopo giorno è aumentata la mia sofferenza di non riuscire a creare legami e a fare shakubuku, pur avendone un gran desiderio.
Non è stato facile continuare, tante volte ho pensato di chiedere il trasferimento per tornare a lavorare di nuovo in medicina. Intanto maturavo pensieri simili anche rispetto all’attività: nel 2015 ero responsabile giovani uomini del territorio Lazio nord e a fine anno abbiamo realizzato un’esperienza meravigliosa di crescita, con venticinque giovani uomini che hanno ricevuto il Gohonzon. Ma nel 2016, con la nuova responsabilità di regione, tutto è diventato più difficile: grandi sforzi spesso senza risultati visibili e a volte, come nel lavoro, la tentazione di tornare sui miei passi, all’attività di territorio.
Comunque con gli altri responsabili non ci siamo arresi, continuando a credere e ad agire, un po’ come quando pianti un seme e continui a innaffiarlo per giorni e giorni, anche se non vedi nulla e tutto rimane nascosto sotto terra.
Finché nel febbraio del 2016 è arrivata una ragazza in Pronto soccorso, era sconvolta, aveva gli occhi privi di speranza e io non sapevo come comportarmi. Era la prima volta che mi capitava, spiazzato e confuso ho fatto del mio meglio per accoglierla e farle sentire che si poteva fidare di noi.
Dentro di me è emerso un fortissimo desiderio di parlarle del Buddismo e di come la vita, anche nella peggiore delle situazioni, possa cambiare. Volevo che riacquistasse fiducia, ma non sapevo come fare, insieme a lei c’erano la madre e i miei colleghi, temevo di essere invadente: era il momento giusto? Era comunque l’unico momento per farlo. Così ho iniziato a recitare Daimoku dentro di me e il desiderio è diventato decisione, e poi coraggio. Ho preso alcuni numeri de Il Nuovo Rinascimento che avevo nello zaino e con tanta sincerità e un po’ di vergogna sono andato da lei e le ho parlato di Nam-myoho-renge-kyo.
È passato un anno da allora, ci sono state tante altre situazioni simili in cui non sempre sono riuscito a tirar fuori quel tipo di coraggio, anzi è una lotta in cui mi sembra di ricominciare ogni volta da capo.
Agli inizi di dicembre, però, mentre ero fuori dal Pronto soccorso, vedo una ragazza che mi viene incontro e… indovinate chi era? Proprio lei, a cui avevo parlato della pratica buddista… Inizialmente non la riconoscevo, aveva gli occhi che brillavano come due fanali nella notte e mi parlava a testa alta guardandomi dritto negli occhi. Mi ha abbracciato e mi ha raccontato di aver iniziato a praticare, di aver trovato un bellissimo gruppo e che di lì a qualche giorno avrebbe ricevuto il Gohonzon.
Ero sbalordito, mi sembrava di sognare, sentivo una gioia incredibile e una consapevolezza nuova che perseverando senza mai retrocedere di un passo quel seme invisibile, coltivato con la nostra rivoluzione umana, diventa sicuramente un germoglio meraviglioso.
Grazie a questa esperienza ho rinnovato la mia determinazione che la regione Lazio 2 porti una vittoria incredibile nella realizzazione degli obiettivi di shakubuku.
Sono più che mai determinato a vivere come dice il presidente Ikeda: «Quello del Daishonin è il Buddismo della semina: piantare i semi della Buddità nel nostro cuore e nel cuore degli altri attraverso il dialogo è il punto di partenza del nostro movimento: noi procederemo incessantemente su questo grande sentiero di kosen-rufu. La SGI sarà per sempre un’organizzazione dedicata alla diffusione del Buddismo del Daishonin: continueremo a piantare i semi della speranza, della felicità e della vittoria nel cuore di una persona dopo l’altra» (BS, 162, 32).

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