L’obiettivo più grosso è vincere la dislessia fino in fondo, anche leggendo almeno mezz’ora al giorno gli scritti del presidente Ikeda per poterli riportare alle riunioni
Conobbi il Buddismo nel 1995, ma non avevo bisogno, ero felice così. Nel giro di due anni la mia vita divenne un disastro: avevo contratto un debito con le banche di quattrocento milioni di lire per acquistare e gestire un locale e il mio pensiero costante era quello di farla finita: volevo morire. Stefano, la persona che mi parlò di questo Buddismo, mi disse: «Pratica correttamente per un anno e se non realizzerai i tuoi obiettivi potrai dire che non funziona», e io decisi di iniziare proprio per dimostrare che non avrebbe risolto i miei guai.
Uno dei miei problemi più grossi era la dislessia, un disturbo dell’apprendimento che mi impediva di leggere e scrivere in modo corretto e fluente; non riuscivo a stare a ritmo con gli altri nel recitare Daimoku e per fare Gongyo impiegavo due ore. Che fatica dimostrare che questo Buddismo non funzionava!
Avevo degli obiettivi per me irrealizzabili: pagare i debiti con le banche, gestire il locale da solo, trovare un lavoro nel periodo estivo e non litigare più con mio padre e mia madre, che avevo coinvolto nei miei problemi finanziari. Iniziai a recitare Daimoku con forza: il giorno seguente trovai il lavoro per l’estate, un mese dopo la mia socia lasciò l’attività e inoltre con l’aiuto dei miei genitori saldai i debiti con le banche.
Stefano però mi fece notare che facevo solo Daimoku e non studiavo affatto: quella non era la pratica corretta. Decisi allora di alzarmi due ore prima di entrare al lavoro, cioè alle tre di notte, per recitare Gongyo con l’obiettivo di iniziare a lavorare con degli orari diversi. Per fare questo avrei dovuto cambiare mansione e l’azienda non era solita permettere cambi, ma in pochissimi giorni realizzai questo obiettivo e acquistai un po’ più di fiducia. Chiesi l’aiuto dei compagni di fede per imparare la pronuncia corretta, che in circa due mesi migliorò. Che bella famiglia la Soka Gakkai, senza di loro non ci sarei mai riuscito!
A dicembre del 1999 ricevetti il Gohonzon, e da lì iniziai veramente a lottare contro la mia oscurità fondamentale. Portai avanti ancora per tre anni la birreria, era sempre piena e la gente stava bene… che grande vittoria!
Divenni soka-han e ricevetti la responsabilità di gruppo a Pavullo (MO), in una zona di montagna dove per fare le visite a casa facevo lunghi viaggi. Il gruppo, una volta numeroso, si ridusse a tre persone. Recitavamo Daimoku insieme, ricercando costantemente gli incoraggiamenti del maestro, grazie ai quali risolvevamo i nostri problemi e ci scambiavamo le esperienze agli zadankai. Grazie a questi sforzi continui abbiamo creato una salda unità e seguendo il desiderio del presidente Ikeda abbiamo deciso di iniziare insieme una “campagna di shakubuku” che continua tutt’ora. Oggi, a Pavullo, praticano più di cento membri. Nel 2000 mi trasferii a Modena dove, dopo alcuni mesi, mi proposero la responsabilità di capitolo giovani uomini. Ma anche lì era una lotta continuare a praticare: o avevi un legame profondo con il maestro o smettevi. I responsabili infatti litigavano tra di loro e questo portò molte persone ad allontanarsi dalla pratica.
Facevo tanta attività per gli altri e recitavo più di tre ore di Daimoku al giorno per vincere la rabbia dentro di me, che inesorabilmente si rifletteva nel mio ambiente e mi portava a litigare con tutti, specialmente con la mia corresponsabile. Spesso mi sfogavo con i miei responsabili e loro mi riportavano ai princìpi di base del Buddismo, spiegandomi che se noi cambiamo la nostra “causa interna” cambia anche il nostro ambiente, e così ho fatto! Con questo obiettivo accettavo tutte le attività che mi proponevano per accelerare la mia rivoluzione umana, come ci incoraggia a fare sensei.
Mi proposero di partecipare all’attività di protezione a Trets, il Centro europeo, per una settimana. Mi misi l’obiettivo di cambiare la “causa interna” dalla quale scaturiva la rabbia, di trovare un lavoro con uno stipendio migliore e smettere di fare il secondo lavoro notturno.
Ero determinato a vincere a tutti i costi e recitando moltissimo Daimoku capii profondamente che tutta la mia rabbia scaturiva dai traumi subiti durante il periodo della scuola elementare: i miei primi giorni di scuola erano stati scioccanti. Quando mia madre si allontanò iniziai a piangere e così facemmo un accordo: per la prima settimana lei sarebbe rimasta accanto a me in classe, la seconda l’avrei vista alla pausa ma la terza settimana sarei rimasto da solo. A scuola non ci volevo proprio stare e in seguito, a causa del mio comportamento e della dislessia non riconosciuta, venni considerato solo un fannullone che doveva essere punito e picchiato altrimenti non capiva. Mi chiusi ancora di più, odiando me stesso, la scuola e mia madre che mi ci aveva portato e non mi aveva protetto. Come risultato, non ho neanche finito la scuola dell’obbligo. Iniziai a sfogare questa rabbia accumulata nel mio ambiente per vincere la mia insicurezza e la paura di essere giudicato.
Tutto questo lo avevo rimosso. Comprendere la causa della mia rabbia è stato dolorosissimo, ma, sostenuto dal Daimoku che mi è servito per sentire che io sono Myoho-renge-kyo, cioè la Legge mistica della vita che abbraccia sia la sofferenza che la gioia, questa volta non sono “scappato”.
Una frase del Daishonin mi ha sempre dato tanta forza: «Provo una gioia senza limiti, anche se adesso sono in esilio» (Il vero aspetto di tutti i fenomeni, RSND, 1, 342).
Tornai dal corso veramente contento e da quel momento il mio atteggiamento è profondamente cambiato: ascoltavo di più le persone, sforzandomi di rispettare il loro punto di vista, tanto che con la mia corresponsabile e mia madre smettemmo di litigare.
L’obiettivo più grosso adesso è vincere la dislessia fino in fondo. La prima azione è stata quella di iscrivermi nuovamente a scuola per conseguire la licenza media e la seconda quella di leggere almeno mezz’ora al giorno gli scritti del presidente Ikeda per poterli riportare alle riunioni.
Mi sono iscritto tre volte: le prime due non ho superato nemmeno il primo quadrimestre, scappando con mille scuse. La terza volta, invece, dopo due anni, ho imparato ad accettarmi fino in fondo come sono e considerare le difficoltà che si incontrano come occasioni per essere felici a prescindere dalla loro gravità. Così ho deciso di vincere a tutti i costi.
Il primo giorno ho parlato con i professori dicendo, per la prima volta a qualcuno, che ero dislessico e avevo bisogno di aiuto. Mi hanno sostenuto e mi sono sforzato tantissimo, pensando sempre che io sono Myoho-renge-kyo e posso vincere. A giugno sono stato ammesso all’esame di terza media, superandolo con la media del distinto e la mia lettura è fortemente migliorata.
Ho vinto alla grande! Ho perseverato anche nei momenti nei quali mi colpiva l’ansia depressiva: continuare a fare delle azioni nonostante il mio stato d’animo mi ha portato a una grande vittoria e alla consapevolezza che anche l’ansia depressiva fa parte di me e posso vincerla, realizzando obiettivi che ritenevo veramente impossibili.
In questi anni ho compreso che non dobbiamo mai fermarci, ma continuare ogni giorno ad agire per la propria rivoluzione umana e coltivare sempre lo spirito di ricerca nella propria vita e nella relazione col maestro.