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Oltre me stesso - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:22

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    Oltre me stesso

    Siamo costantemente a un bivio fra apertura e chiusura, fra accettazione e rifiuto, fra amore e giudizio, fra generosità e avarizia. Dicotomie che potrebbero continuare a lungo; è possibile risolverle in modo costruttivo?

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    Siamo costantemente a un bivio fra apertura e chiusura, fra accettazione e rifiuto, fra amore e giudizio, fra generosità e avarizia. Dicotomie che potrebbero continuare a lungo; è possibile risolverle in modo costruttivo?

    Il 30 ottobre 1974 a Kinshasa, nello Zaire, la boxe diede vita al grande evento Rumble in the jungle (Combattimento nella giungla). Muhammad Alì, noto anche come Cassius Clay, sfidava il campione del mondo George Foreman, un giovane gigante ancora imbattuto che aveva già mandato al tappeto, uno dopo l’altro, fior di avversari. Alì, grande campione ma non più in verde età e dato perdente in tutti i pronostici, si preparava con spirito fiducioso, come ebbe modo di esprimere in un film-intervista durante i giorni di attesa dell’incontro. Affermava che Dio lo aveva scelto per aiutare i neri, la sua gente, a conquistare la libertà, si trattava di una missione che andava al di là della boxe, e in confronto a ciò Foreman non era nulla. Certo – continuava – se avesse pensato solo a se stesso sarebbe finito in preda al panico, il confronto appariva talmente impari che secondo i giornalisti non sarebbe durato oltre cinque round… ma lui non ascoltava quello che diceva il mondo, lui combatteva per la sua gente, e ripeteva: «Paura? Quale paura?» (dal film Quando eravamo re, di Leon Gast, Einaudi). L’incontro fu memorabile. All’ottava ripresa Alì, dopo aver resistito ai colpi del potente avversario, col sostegno di un pubblico entusiasta tutto dalla sua parte, partì al contrattacco e atterrò definitivamente l’invincibile Foreman. All’epoca Alì era il mio idolo, e al di là dell’evento sportivo, la mia mente di ragazzino rimase colpita soprattutto dal suo coraggio, quello che un uomo può mostrare quando oltrepassa il limite del proprio interesse personale perseguendo uno scopo più grande.
    Quando iniziai a praticare il Buddismo appresi che un aspetto fondamentale era la cosiddetta “pratica per gli altri”, ovvero aprirsi alle altre persone e dedicarsi al loro bene. Nei primi tempi di pratica, la scarsa esperienza mi faceva credere che il dedicarmi agli altri dovesse privarmi di qualcosa, certamente di tempo ed energia, e questa impressione frenava i miei sforzi di praticare in modo corretto. Negli anni però, ho potuto verificare che le azioni altruistiche, lungi dal togliermi qualcosa, mi arricchiscono, mi rafforzano e mi danno coraggio; che dedicarmi all’altrui felicità mi rende, a mia volta, più felice e fortunato. Del resto, il carattere myo del Daimoku, che rappresenta l’aspetto mistico dell’esistenza, vuol dire anche “aprire”.

    Per gli altri scopriamo la nostra forza

    La storia è ricca di grandi personalità, anche contemporanee, che hanno superato il proprio piccolo mondo personale, dedicandosi al bene comune e rivelandosi esempi viventi di saggezza e umanità. Per ricordarne una, vorrei citare Aung San Suu Kyi, dissidente birmana che da molti anni lotta per liberare il suo paese da una dittatura militare, e alla quale nel 1991 fu assegnato il premio Nobel per la pace. «L’autentica rivoluzione – scrive – è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo» (Liberi dalla paura, Sperling saggi, pag. 186). Questa grande donna è capace di mostrare il suo coraggio proprio perché agisce per il bene dei suoi concittadini, insegnando a tutti che l’aspetto spirituale non può mai essere slegato dall’impegno per l’altro e per la comunità.
    Daisaku Ikeda in una poesia afferma che: Una vita compassionevole dedita all’impegno per il bene di tutti gli esseri viventi è una vita gioiosa (NR, 415, 3). Tanti incoraggiamenti come questo mi hanno aiutato, nei momenti di crisi, ad aprire un varco nelle mie chiusure e a risollevarmi. E anche oggi, quando agisco per il bene di un’altra persona, avverto la gratificante sensazione di stare facendo qualcosa di buono a me stesso. Ravvivare la profonda relazione che unisce gli esseri umani genera la gioia e il coraggio per sconfiggere ogni tipo di demone, compresa la paura. Si può affermare che il prendersi cura di qualcuno ti pone in rapporto diretto con la qualità della vita. È una verità che chiunque può sperimentare, occorre però cambiare il modo di pensare, e l’unica strada per farlo è l’azione basata su una preghiera sincera.
    Andare oltre se stessi, decidere e agire per il bene di altri, fa emergere nelle persone una forza inimmaginabile. Nella filosofia buddista tutto questo è compreso nel concetto di compassione (jihi), che significa togliere sofferenza e dare gioia; è una proprietà del Budda, ovvero della condizione vitale di Buddità. Inoltre, il principio di origine dipendente (engi) spiega che tutti gli esseri viventi sono collegati fra loro da una invisibile rete, e il principio di non dualità di vita e ambiente (esho funi) afferma che ogni vita comprende anche l’ambiente che la circonda. In base a questi insegnamenti, pensare di non avere alcuna relazione con il prossimo è una mera illusione. Ostinarsi a ignorare gli altri, nel tentativo di tenere lontano da noi il loro dolore, va contro la legge dell’esistenza e non può che essere a sua volta causa di sofferenza. La vita è infinitamente più grande della mente, e per quanto quest’ultima tenti di fare progetti e stabilire percorsi per raggiungere il traguardo di un’esistenza felice, da sola non può riuscire in quest’impresa, poiché infinite variabili sfuggono al suo controllo. La vita invece può, attraverso la fede. Per mettere in moto questa «macchina della felicità» occorre adottare un punto di vista che metta al centro non più le proprie isolate esigenze, bensì il bene comune.
    Bisogna incidere nel cuore che la propria felicità e quella degli altri sono un’unica cosa, e arrivare a sentire, attraverso l’esperienza, che il miglioramento profondo della società ha origine dalla preghiera e dalle azioni coerenti anche di una singola persona. In altre parole, un cambiamento del mondo interiore di un individuo produce effetti simultaneamente sulla sua vita e sulla comunità alla quale appartiene. Come afferma ancora il presidente Ikeda: «Il potere di un solo individuo pieno di passione può superare quello di un milione di persone messe insieme. Quando noi cambiamo quel “singolo fattore della mente”, e quindi trasformiamo noi stessi, il nostro ambiente cambia. E quando il nostro ambiente cambia, il mondo cambia» (NR, 422, 4).
    Ne La saggezza del Sutra del Loto, commentando il capitolo “Durata della vita”, Ikeda descrive il ruolo centrale che la compassione svolge nel Buddismo: «L’universo è originariamente il Budda. L’apparizione del sole è una funzione della compassione e così la luce della luna, la respirazione delle piante verdi e degli alberi; l’intero universo è una grande entità vivente che compie atti di compassione dal passato senza inizio all’eterno futuro. Questo vasto organismo di compassione è il Budda eterno. E la vita di ogni essere dei dieci mondi è una sola cosa con il Budda eterno. La fede nella Legge mistica ci consente di fare “ritorno” a questa vita originale» (BS, 86, 62). La Legge mistica, la madre di tutte le leggi che muovono il cosmo, è una legge di compassione. Attraverso Nam-myoho-renge-kyo, che è il nome e il cuore del Sutra del Loto, oltre che il nome e l’invocazione della stessa Legge mistica come ha rivelato Nichiren Daishonin, io posso praticare la compassione, cioè l’essenza che mi lega al mondo. Più riesco a svilupparla, più aumenta la mia energia e l’armonia con l’ambiente che mi circonda. Ecco perché il presidente Ikeda ripete sempre che se dedichiamo la vita ad aiutare gli altri rimarremo giovani!

    Ma perché è così difficile?

    E allora… come mai ancora non mi riesce così immediato il desiderio di dedicarmi alla felicità degli altri? Leggo a tale proposito: «La tendenza a discriminare e a fare distinzioni fra sé e gli altri conduce nei sentieri del male e della sofferenza, poiché nasce dall’isolamento e dall’attaccamento all’io, considerato come assoluto. Questo atteggiamento discriminatorio, strettamente legato alla personalità degli individui e alle circostanze, si manifesta come disprezzo, odio, gelosia, risentimento, indignazione, arroganza, cattiveria, astiosità, cupezza, ostinazione, impazienza, slealtà, ingratitudine e così via. Chi supera l’attaccamento all’io e manifesta il potere della Legge mistica si libera da questa tendenza vitale negativa che confina gli esseri umani nei sentieri del male e della sofferenza. L’esortazione del Daishonin a “essere uniti come i pesci e l’acqua” significa provare un senso di affinità e amicizia verso chiunque si unisca a noi per studiare e praticare il Buddismo del Daishonin e lavorare per kosen-rufu, e in verità verso tutte le persone con cui entriamo in contatto. Coloro che hanno smesso di dare importanza alle differenze sperimentano gli effetti della Legge mistica che unisce e mette in armonia tutte le cose dell’universo» (BS, 133, 18).
    Ed ecco che nuovamente riconosco questa mia parte oscura, che sempre si inventa una differenza fra me e gli altri, ma questa volta decido di dichiararle guerra, una guerra senza quartiere, una guerra permanente che possa attraversare perfino il ciclo di nascita e morte. Ogni giorno, e in ogni momento, voglio abbattere questa barriera invisibile. Del resto so bene che il Daimoku esiste in funzione di una missione, quella di rendere felici tutte le persone, e come relazione fra la decisione e le azioni da compiere. Questa è la formula che mi unisce agli altri. L’ho percepito anche dalle molte esperienze lette o ascoltate in cui sono stati abbattuti gli “argini del proprio ego”. Certo che nel mio percorso incontrerò vecchie e nuove paure, i miei demoni, ma so come vincerli: rinnovando, qualunque cosa accada, il voto di sforzarmi fino all’ultimo istante a fianco dei miei compagni di fede. Mi sento davvero fortunato, in un’epoca di incertezze, a poter contare sulla mia umanità, su quel “comportamento da essere umano” che è il vero significato dell’apparizione del Budda in questo mondo.

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