Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
Ogni parola contiene un mondo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:31

    453

    Stampa

    Ogni parola contiene un mondo

    Paura e coraggio sono antitetici e incompatibili? Rinnovare e approfondire l’atteggiamento nello studio può aiutare a scoprire come questi – e molti altri concetti – nel Buddismo possono avere significati differenti da quelli “convenzionali”. È una ricerca che vale la pena iniziare

    Dimensione del testo AA

    Paura e coraggio sono antitetici e incompatibili? Rinnovare e approfondire l’atteggiamento nello studio può aiutare a scoprire come questi – e molti altri concetti – nel Buddismo possono avere significati differenti da quelli “convenzionali”. È una ricerca che vale la pena iniziare

    Quest’anno al corso europeo Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della SGI, ha consigliato, per comprendere davvero l’insegnamento di Nichiren Daishonin, di partire dallo studio di uno dei suoi scritti di media lunghezza, approfondendo il significato di ogni singola parola. Devo confessare che sono rimasta colpita. “Ogni singola parola” mi sembrava un po’ esagerato. Specialmente per noi italiani che andiamo così fieri delle nostre capacità intuitive e che, quando abbiamo capito il senso generale di un discorso, siamo convinti di aver già capito tutto.
    Così ho recitato Daimoku per afferrare cosa intendesse dire davvero. E dopo poco m’è balzata con forza alla mente proprio una singola parola, nel contesto di una singola frase di una delle lettere di incoraggiamento più famose di Nichiren Daishonin: Risposta a Kyo’o (RSND, 1, 365). La frase, per come la conobbi all’inizio della mia pratica diceva che «una spada sarà inutile nelle mani di un codardo», dove la “spada” è il Gohonzon ovvero, come dice la lettera stessa, “la potente spada del Sutra del Loto”. Beh, a quell’epoca – correva l’anno 1984 – pensai subito: «Allora sono fregata!». Sì, perché io, e non credo di esser l’unica, sono – usando un termine specialistico, un “tipo della paura”, che istintivamente davanti alle cose si preoccupa e non sente istintivamente, nemmeno ora, dopo venticinque anni di pratica, la gioia e la convinzione della vittoria. «Sì, va bene – mi dicevano – ma recitando pian piano il coraggio ti verrà» e così, giustappunto, mi facevo coraggio e andavo avanti. Però quel giudizio lapidario di Nichiren un po’ mi pesava addosso e mi faceva sentire in colpa. «Codarda – pensavo -, sono codarda…». E però, per quanto mi colpevolizzassi c’era poco da fare se i miei sentimenti erano questi. La paura, come ho imparato negli anni lavorando su me stessa, è nel corpo, e per quante buone ragioni di “non temere” adduca la mente, per quanto ci si faccia dei bei discorsi, il cuore continua a battere forte in gola, il fiato rimane corto e le mani tremano lo stesso.
    Poi, rileggendo per l’ennesima volta a distanza di tanti anni la stessa frase nella nuova traduzione del Gosho, mi rendo conto che a voler davvero approfondire il significato di “ogni singola parola”, Nichiren Daishonin in quella frase diceva letteralmente che una spada è inutile nelle mani «di chi non avanza», ovvero di chi non si sforza di lottare. Non c’era dunque, come invece spesso in Occidente tendiamo a proiettare, un giudizio da parte del maestro originale per i miei sentimenti naturali o per quelli di chiunque altro. Anche i paurosi hanno la Buddità! C’era solo l’esortazione a continuare ad andare avanti, a continuare a lottare contro la difficoltà che ci si para davanti, avanzando passo dopo passo. E, che ci si senta baldanzosi o tremanti, poco importa. Perché la spada del Sutra del Loto è così potente che anche un cosiddetto “codardo” impugnandola avrà la stessa forza di un demone armato di una mazza di ferro.
    Devo dire che negli anni ne avevo già avuto la conferma pratica. Sì, perché, per quanto si possa, anzi si debba continuare senza fine a migliorare le traduzioni e i commenti per comprendere meglio il pensiero di Nichiren, espresso in una lingua lontanissima dalla nostra nel tempo e nello spazio, per fortuna comprenderne il cuore è molto più semplice, basta recitare Daimoku e applicarlo nella propria vita. Insomma usare la nona coscienza, cioè la natura di Budda che tutti abbiamo, invece della settima coscienza, quella ragione di cui andiamo tanto fieri e alla quale tanto ci affidiamo per giudicare la realtà, ma che ogni tanto ci porta fuori strada.
    Dicevo che le mie esperienze, quelle grosse, di lotta con qualche problema di salute, di vita o di morte, che riguardasse da vicino me o qualcuno che mi era caro, me l’avevano già confermato. Anche se fino all’ultimo c’era sempre una vocetta in me che continuava a informarmi sui possibili esiti nefasti della battaglia in corso, è sempre bastato dare retta anche all’altra voce, quella che nutrendosi di Daimoku, di frasi di Gosho di incoraggiamenti di sensei e dei compagni di fede, continuava a risponderle: «Noooooo, parla quanto ti pare tanto io vado avanti!» per arrivare fino in fondo, e vedere la vittoria davanti ai miei occhi. La vittoria di un “codardo” che ha avuto il coraggio di “avanzare fino alla fine”.
    Come spiegava Tamotsu Nakajima in una intervista dal bellissimo titolo La paura non è un problema (BS, 104, 17), che leggo e rileggo, quando ho paura (e che consiglio caldamente di leggere a tutti i paurosi): «La paura non si può mettere da parte. Ricordiamoci comunque che chi ha avuto coraggio, ha avuto anche paura. A volte non si ha paura solo perché non ci si ferma. È facile quindi essere preda della paura, per questo è importante continuare ad andare avanti senza fermarsi».

    • • •

    La paura “salvavita”

    Miyabe Koyata, ha ventotto anni ed è un samurai, ma è molto timido e introverso; per niente adatto a una vita da guerriero. Gli basta vedere altri combattere per cominciare a tremare, la sola idea di sfidare qualcuno o di dover ricoprire un posto di responsabilità gli appare assolutamente impensabile; lui scappa sempre. In passato ha tentato più volte di cambiare il proprio carattere, ma una serie di insuccessi lo ha convinto a rinunciare. «Vado bene così come sono – dice tra sé – non sono tagliato per un posto di responsabilità. Cercherò di avere una vita tranquilla, senza attirare l’attenzione di nessuno». Ma un giorno Koyata viene selezionato per una missione speciale dal suo signore Mizuno Tadayoshi.
    Famoso per l’astuzia e il coraggio, Tadayoshi ha escogitato un piano audace. Travestendosi da mercante vuole entrare nel territorio nemico e fare una ricognizione nella zona circostante il castello di Nagoya, la roccaforte centrale del vicino dominio Owari, considerata da tutti inespugnabile.
    Al momento di partire per il viaggio chiama il giovane Koyata e un’altra persona ad accompagnarlo. […] Koyata non riesce a capacitarsi del perché proprio lui sia stato scelto per una missione così importante. D’altra parte è impossibile rifiutare. Così si veste da mercante per accompagnare Tadayoshi al castello di Nagoya.
    Durante il tragitto Koyata è ansioso, teso, continua a ripetere azioni che appaiono strane agli occhi dei compagni: di tanto in tanto improvvisamente sparisce, per poi ricomparire poco dopo. Anche quando raggiungono la città che circonda il castello di Nagoya, Koyata scivola via nel buio senza fare rumore e ritorna silenziosamente dopo un po’.
    Finalmente i tre arrivano al castello di Nagoya. Ma non passa molto tempo prima che il nemico li sorprenda a spiare. «Usciamo da qui!» grida Tadayoshi. Il castello, però, ha una struttura molto strana e il signore non sa da quale parte andare. In un batter d’occhio sopraggiunge un’orda di soldati nemici a bloccare ogni via di scampo. «È finita!» pensa Tadayoshi. «Vi mostro io una via di uscita» dice a quel punto Koyata e subito si lancia in una corsa. Da una strada a un’altra, attraverso vicoli e viottoli, con grande facilità e destrezza porta in salvo l’intero gruppo. Entra in una stalla e ne esce con tre cavalli: «Presto, mio Signore, montate a cavallo!». E così i tre si allontanano, riuscendo a seminare il nemico.
    Solo adesso Tadayoshi capisce chiaramente il significato delle ripetute sparizioni di Koyata: il giovane samurai si allontanava per uno scopo preciso, quello di preparare ogni particolare della fuga nel caso la missione fallisse. Aveva persino pensato ai cavalli. Se Koyata fosse stato una persona dotata di grande coraggio e di fiducia in se stesso probabilmente non avrebbe pensato a nient’altro che ad avanzare e ad attaccare il nemico. Ma, proprio per la sua enorme prudenza, aveva preparato in tutti i dettagli una eventuale fuga. Quest’episodio fa capire a Tadayoshi quanti e diversi siano i percorsi delle persone e come ognuno nella vita debba seguire la propria strada individuale. E così, proprio grazie a questo episodio, decide di promuovere Koyata a un posto di responsabilità. Timoroso più che mai, Koyata si spaventa per il nuovo compito e pensa di rifiutarlo, ma, grazie al saggio sostegno di sua moglie, decide: «Sarò solo me stesso. Sarò quello che sono».

    [Da un racconto dello scrittore giapponese Shugoro Yamamoto (1903-1967) citato da Daisaku Ikeda nel suo discorso alla riunione presso il Centro culturale di Chubu, Nagoya, 17 maggio 1995, Il Nuovo Rinascimento, gennaio 1996, pag. 22]

    ©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata