È naturale che le nostre preghiere siano indirizzate verso gli obiettivi che ci stanno più a cuore, ma qualsiasi «desiderio terreno» davanti al Gohonzon, si trasforma in combustibile per alimentare «il fuoco della saggezza illuminata»
Qualche numero fa, in una lezione sul Gosho Lettera a Domyo Zenmon, si è parlato di preghiere e di benefici spiegando che entrambi si possono suddividere in visibili e invisibili (Il Nuovo Rinascimento, n. 306, 1 giugno 2004). C’è un’altra classificazione possibile, che non compare mai nei testi buddisti, ma che all’atto pratico assume spesso un’importanza notevole. Le preghiere e i benefici, infatti, possono essere classificati in “raccontabili” e “non raccontabili”, dove nella prima categoria sono compresi quelli portatori di alti valori e nobili ideali – meglio se altruistici – mentre nella seconda rientrano, per esempio, tutte le piccole inezie quotidiane, i desideri “stupidi” e limitati – meglio se egoistici – le sciocchezze per cui viene ritenuto disdicevole scomodare la grande Legge dell’universo che – come «i politici» di cui parla Guccini in una canzone – «ha ben altro a cui pensare». Una variante prevede al livello inferiore tutti i benefici che riguardano la sfera materiale e al livello superiore quelli che hanno a che fare con la crescita spirituale.
La prima cosa che mi viene in mente è che, come abbiamo detto poc’anzi, questa distinzione non trova riscontro nella dottrina buddista: è arbitraria e – forse – ispirata a criteri preconcetti che non sono propri del Buddismo. Questo, al contrario, insegna che le distinzioni che normalmente siamo portati a fare fra il mondo materiale e quello spirituale, così come fra il sé e l’altro da sé, appartengono alla sfera delle illusioni; nei principi buddisti, infatti è frequente che le parole “vita” e “ambiente” o “corpo” e “spirito” siano accompagnate dalla parola funi che è la contrazione di nini funi funi nini e che letteralmente significa “due ma non due, non due ma due”. La seconda è che giudicare un singolo episodio perdendo di vista il significato complessivo di – almeno – un’intera esistenza richiede una buona dose di presunzione.
A molti sarà capitato, partecipando a una riunione di discussione, di sentirsi imbarazzati e guardare da un’altra parte facendo finta di essere immersi in altri pensieri mentre un altro partecipante racconta di aver ricevuto un beneficio che, francamente, ci appare di una banalità sconcertante. «Per fortuna oggi non ci sono ospiti», avrà anche pensato qualcuno. «Tutto qui, il Buddismo?», avrà malignato qualcun altro. Quello che non sappiamo, che non possiamo sapere – e quando è capitato a me, magari me ne sono reso conto solo dopo anni – è che quel beneficio banale, quella cosa “stupida”, quel beneficio “di cui vergognarsi”, in quel particolare momento, in quella particolare condizione vitale, può rappresentare la molla che ti fa decidere che questa “strana cosa” che hai appena cominciato a praticare – o che pratichi già da tempo, ma che in questo periodo non ti convince più così tanto – può valere la pena di essere portata avanti… e questo sì che, in prospettiva, può cambiarti la vita.
È davvero materialista ed egoistico il Buddismo che pratichiamo? La risposta è ovviamente no. È la via per far emergere la propria natura di Budda, per sviluppare la propria compassione, per diventare immensamente felici e pienamente realizzati indipendentemente dalle circostanze, per sviluppare la capacità di abbracciare il maggior numero possibile di persone e costruire un mondo dove ogni singolo essere sia “felice e a proprio agio”. E se il piccolo beneficio, in sé, non conta niente, quando diventa una piccola tappa di questo grande viaggio assume tutt’altra nobiltà: «Ora – scrive il Daishonin – quando Nichiren e i suoi discepoli recitano Namu-myoho-renge-kyo […] bruciano la legna dei desideri terreni e contemplano il fuoco della saggezza illuminata davanti ai loro occhi» (GZ, 710). Non dobbiamo mai dimenticare che la Buddità che tutti potenzialmente possediamo è appunto “potenziale” e che, quando siamo immersi nella realtà dei nove mondi, siamo in tutto e per tutto dei comuni mortali: non c’è da meravigliarsi se in un certo momento della nostra vita siamo più stimolati da un desiderio più “terra terra” piuttosto che dalla salvezza del genere umano e dalla pace mondiale. Ma, insegna il Daishonin, recitando Nam-myoho-renge-kyo qualsiasi desiderio messo davanti al Gohonzon si trasforma in combustibile per alimentare il fuoco della Buddità.
Sappiamo tutti che i motivi per cui il principe Shakyamuni si prese la briga di fondare il Buddismo, i motivi per cui Zesho-bo Rencho (in seguito più conosciuto come Nichiren Daishonin) decise di diventare la persona più saggia del Giappone, sono altri che non la soddisfazione del piccolo bisogno o desiderio momentaneo ed egoistico. Ma è altrettanto vero che ciascuno segue un suo percorso ed è difficile stabilire a priori quali tappe siano “giuste” e quali “sbagliate”. Il più delle volte, anzi, il vero beneficio non è tanto il raggiungimento del proprio obiettivo – che può essere anche piccolo, insignificante, materiale ed egoistico – quanto il percorso che si è fatto per raggiungerlo e il nutrimento che questo percorso ha portato alla nostra fede.
«KIMURA: È corretto recitare soprattutto per se stessi?
«IKEDA: Sì, certo, va benissimo. È naturale che le nostre preghiere siano indirizzate verso ciò che ci piace di più o sui nostri desideri. Non c’è alcun bisogno di fingere di recitare per una qualche nobile causa, quando questo non sia vero. Perché prendere in giro se stessi? Recitando con naturalezza, senza finzioni e riserve, per ciò che desideriamo di più, si sviluppa gradualmente una condizione vitale elevata e questa sì che è in grado di contenere moltissime altre motivazioni, anche le più nobili.
«È ovviamente altrettanto corretto praticare con il desiderio di diventare una persona di grande umanità, per il benessere dei nostri amici, per kosen-rufu o ancora per la felicità e la prosperità dell’intero genere umano. Si è completamente liberi di recitare per qualsiasi cosa si desideri, tutto dipende esclusivamente da noi, non ci sono regole» (Protagonisti, 1, 235).
È un brano tratto dai dialoghi di Daisaku Ikeda con i giovani, pubblicati da Esperia con il titolo I protagonisti del XXI secolo. Poco oltre si legge ancora:
«IKEDA: Il Buddismo di Nichiren Daishonin insegna che non c’è preghiera senza risposta. Questo non significa però che, come per magia, vedremo realizzarsi immediatamente ogni nostro desiderio. Se recitassimo per vincere alla lotteria domani o per superare un esame con il massimo dei voti senza aver aperto un libro, le nostre chance a tale proposito sarebbero, credetemi, estremamente limitate.
«Se considerassimo invece tutte le preghiere da un punto di vista più profondo, potremmo renderci conto di come tutte quelle preghiere ci siano servite proprio ad andare incontro al genere di felicità che desideriamo più intimamente. Certo capita a tutti di sperimentare che, talvolta, le nostre preghiere non si realizzino, mentre altre volte sì; eppure considerando le cose su un’ampio arco di tempo, siamo sicuramente in grado di constatare che ogni cosa ha preso la direzione più “giusta” possibile per la nostra vita» (Ibidem, 235-6).
In definitiva, l’atteggiamento di giudicare “di scarso o nullo valore” un qualsiasi beneficio per quanto piccolo, è di gran lunga più superficiale del recitare Daimoku “per trovare parcheggio” (obiettivo che, ammettiamolo, di per sé non brilla per “profondità”). Non esistono benefici “minori”.
Ma quella frase «…come per magia…» merita una riflessione a parte. Tanti anni fa, nel 1978, ai tempi in cui la Lotus (casuale quanto emblematico richiamo al fiore del Loto) dominava la Formula 1 con le sue rivoluzionarie macchine a “effetto suolo” che percorrevano a 320 km/h i curvoni veloci che gli altri affrontavano a 270/280, lessi un articolo che tentava di spiegare empiricamente come la vettura fosse “risucchiata” verso l’asfalto grazie al flusso d’aria che le passava sotto. Si trattava di prendere leggermente fra il pollice e l’indice l’estremità del manico di un cucchiaino e, lasciandolo penzolare liberamente, avvicinarne la parte convessa al getto d’acqua di un rubinetto. Ero certo che il cucchiaino sarebbe stato respinto dal getto d’acqua. Invece, contro ogni mia previsione, accadde esattamente il contrario: il cucchiaino venne risucchiato dal flusso. Magia? Più semplicemente dinamica dei fluidi (o aerodinamica, nel caso della Lotus). L’illusione della magia nasce dal fatto che abbiamo a che fare con una legge della fisica di cui abbiamo scarsa o nulla esperienza. Nasce, in buona sostanza, dalla nostra ignoranza. Un ingegnere aeronautico avrebbe trovato l’evento assolutamente in linea con le sue conoscenze e la sua esperienza.
Lo stesso accade quando ci imbattiamo nei sorprendenti risultati di una preghiera rivolta direttamente alla mistica Legge dell’universo: a volte accade qualcosa che “ha del miracoloso”, ma che in realtà non ha niente di straordinario, per chi la Legge la conosce.
«La saggezza dei Budda è infinitamente profonda e incommensurabile. L’accesso a questa saggezza è difficile da comprendere e difficile da varcare […] Ricapitolando, Shariputra, il Budda ha pienamente realizzato la Legge infinita, incommensurabile, senza precedenti. Ora basta, Shariputra, altro non dirò, perché la Legge cui si è risvegliato il Budda è la più rara e la più difficile da comprendere. La vera entità di tutti i fenomeni può essere compresa e condivisa solo tra Budda» (SDL, 2, 29-30).
Ecco qua il nostro ingegnere aeronautico che ci spiega come mai noi comuni mortali non siamo in grado di comprendere come i benefici che riceviamo siano assolutamente “normali” e a volte siamo tentati di ritenerli frutto di magia. La cosa importante, però, è che – anche senza conoscere l’aerodinamica – se abbiamo abbastanza pelo sullo stomaco possiamo salire sulla Lotus e percorrere quel curvone a 320 km/h. E – anche senza possedere (se non come potenzialità) l’infinitamente profonda e incommensurabile saggezza del Budda – possiamo recitare Daimoku per sfruttare quella Legge a cui il Budda si è illuminato. Colin Chapman ha creato la Lotus a “effetto suolo”, Shakyamuni ha esposto la Legge dell’universo nel Sutra del Loto e Nichiren Daishonin l’ha materializzata nel Gohonzon insegnandoci che per farla funzionare bisogna recitare Nam-myoho-renge-kyo.
Ma la funzione principale di questo articolo sarebbe quella di presentare le molte esperienze di fede “applicata” alla vita quotidiana che compaiono in questo numero del Nuovo Rinascimento. E allora, come non concludere ricordando che «per valutare le dottrine buddiste, io, Nichiren, credo che i metodi migliori siano la prova teorica e la prova documentaria. Ma ancora migliore di queste è la prova concreta» (I tre maestri del Tripitaka pregano per la pioggia, SND, 8, 204). E, per incoraggiarci a sperimentare di persona il gusto dei benefici, lasciamo che da queste pagine altre persone ci raccontino come hanno utilizzato il Buddismo per diventare più felici.
In fondo, anche la Ferrari vinse il mondiale di Formula 1 nel 1979 utilizzando una vettura a “effetto suolo” progettata sulla base dell’esperienza fatta, l’anno precedente, dalla Lotus.
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Gli introvabili
Ma dove ho letto quella frase?
«Se la compassione di Nichiren è veramente grande, Nam-myoho-renge-kyo si diffonderà per diecimila anni e più, per tutta l’eternità, perché ha il benefico potere di aprire gli occhi ciechi di tutte le persone del Giappone e sbarrare la strada che conduce all’inferno di incessante sofferenza. I suoi benefici superano quelli di Dengyo e di T’ien-t’ai e anche quelli di Nagarjuna e Mahakashyapa. I benefici di cento anni di pratica nella terra della perfetta beatitudine non si possono paragonare ai benefici ottenuti in un solo giorno di pratica in questo mondo impuro. Duemila anni di propagazione nel Primo e nel Medio giorno della Legge sono inferiori a un’ora di propagazione nell’Ultimo giorno della Legge. Questo non dipende in alcun modo dalla saggezza di Nichiren, ma semplicemente perché i tempi sono maturi. In primavera sbocciano i fiori, in autunno appaiono i frutti. L’estate è calda, l’inverno è freddo. Questo non è dovuto al tempo?» (Ripagare i debiti di gratitudine, SND, 2, 216)