Il Buddismo di Nichiren Daishonin si basa sulla fede, la pratica e lo studio. I corsi di Buddismo sono una splendida occasione in cui provare a sperimentare contemporaneamente tutti e tre questi punti di vista. Attraverso tante esperienze dirette affrontiamo alcuni aspetti fondamentali di questi eventi
Per partecipare a un corso di Buddismo è necessaria una tazza. Una tazza? Proprio una tazza, come spiega in uno scritto molto poetico Nichiren Daishonin al discepolo Akimoto per ringraziarlo dei doni ricevuti. L’immagine della tazza e del liquido che essa può contenere diventa un esempio, nelle parole di Nichiren, del corpo e della mente degli esseri umani che sono più o meno in grado di ricevere “l’acqua della saggezza del Budda” a seconda del tipo di contenitore che possiedono. Ma Nichiren ammonisce che si deve fare attenzione ad alcuni difetti che essi potrebbero avere: il recipiente potrebbe essere chiuso da un coperchio e quindi diventare inutilizzabile, potrebbe perdere o potrebbe essere sporco e quindi contaminare il contenuto. «Pur avendo un po’ di fede, se incontriamo cattive influenze, la nostra fede si indebolisce o l’abbandoniamo, oppure la manteniamo un giorno e l’abbandoniamo per un mese. In tali casi siamo come recipienti che perdono acqua» (SND, 9, 101). Adesso è chiaro. La tazza rappresenta la nostra capacità di accogliere dentro di noi l’insegnamento del Budda e per partecipare a qualsiasi genere di attività è necessario preparare recipienti integri e accoglienti in modo da poter trarre il massimo beneficio da queste occasioni.
I corsi di Buddismo sono una tradizione istituita dalla Soka Gakkai per permettere ai partecipanti un approfondimento concreto della conoscenza della filosofia buddista e un accrescimento della fede individuale.
In generale hanno durata di alcuni giorni, e si svolgono presso un Centro culturale o un centro congressi; possono essere rivolti a una zona specifica (un centro, un’area) o a una divisione (uomini, giovani, donne), meno frequentemente si rivolgono a un gruppo o staff (Leonardo, Diamante, sokahan-byakuren, per esempio). Esistono poi corsi a livello nazionale, come quelli svoltisi negli ultimi due anni a Fiuggi e aperti a responsabili di vario livello, e corsi internazionali o europei, anche questi rivolti ai giovani, agli studenti, a persone con pochi anni di pratica.
Ma chi può partecipare a un corso? La partecipazione a un corso dipende dall’organizzazione del medesimo, chiaramente se un corso si rivolge a una zona specifica e molto ristretta, come un capitolo, è plausibile che possano aderire tutti coloro che lo desiderano; se invece il corso abbraccia un’area più vasta o è addirittura internazionale, per ovvi motivi verranno indicati dei criteri per consentire la partecipazione a persone che possano essere, al loro ritorno, di incoraggiamento per gli altri.
Nel 1936 Makiguchi organizzò la prima occasione di questo tipo per un gruppo di compagni di fede alle cascate di Shiraito, un luogo di grande bellezza dove ciascuno si sarebbe potuto rinfrancare nello spirito e nel corpo. Lo scopo chiaro, che si è tramandato attraverso i corsi organizzati da Josei Toda nel dopoguerra fino a quelli dei giorni nostri, era – e rimane – la cura di sé, intesa come momento necessario ad approfondire in modo nuovo e diverso la pratica quotidiana.
Con questo motivo chiaro alla base, il primo punto da tenere presente è il semplice desiderio di parteciparvi, un desiderio che può trasformarsi nella decisione di prendere parte attiva. Ecco, il punto cruciale di un corso forse non è proprio chi “può” partecipare ma chi ha “deciso” di farlo, come ci dice Elsa di Oristano: «Ho deciso di prendere parte a un corso nazionale solo dopo qualche anno dall’inizio della mia pratica. Gli ostacoli che si sono presentati da quel momento in poi non mi hanno in alcun modo frenata, anzi il desiderio di parteciparvi era sempre più forte. L’incontro con la delegazione giapponese, l’intensità, il calore e la fermezza delle loro parole, è stata incoraggiante, fin dal primo momento. I compagni di fede sono stati per me come un caldo abbraccio. Mi sono sentita finalmente parte concreta di questa organizzazione. Sono tornata a casa con un bagaglio di sensazioni e di rinnovata fede e con la decisione di condividere i frutti di questa esperienza e con il profondo desiderio (che si è poi concretizzato) di portare un nuovo Gohonzon nel mio gruppo».
Partecipare perché
Da un lato la partecipazione a un corso di Buddismo serve alla crescita della fede personale, tramite gli approfondimenti, gli incoraggiamenti, le esperienze e anche tramite il momentaneo allontanamento dal quotidiano che si verifica proprio nello stare insieme ad altri praticanti, in maniera intensiva, per alcune giornate. Da un altro punto di vista chi partecipa a un corso dovrebbe prepararsi anche a riportare quanto udito e vissuto. Per ricordare che se siamo un nodo all’interno di una grande rete di relazioni, è importante estendere e offrire qualsiasi cambiamento, che ci riguarda, all’intera comunità. Il vantaggio di questo punto di vista è imparare a vivere qualsiasi evento come qualcosa da trasmettere e condividere con amici e compagni di fede, ma è anche l’inizio di un nuovo viaggio. A volte difficile.
«A me è accaduto di avere paura, prima di partecipare – racconta Veronica di Pistoia -. Prendere parte a un corso significa uscire dalla protettiva intimità della riunione di discussione e condividere con molte voci la potenza del Daimoku: un solo suono, una sola mente, un solo cuore. Le emozioni sono amplificate, vista l’intensità della sintonia che si crea con i compagni di fede e l’occasione che si ha per approfondire gli insegnamenti del Daishonin. Ci vuole coraggio per partecipare a un corso: perché più ci si sfida più la vita pone ostacoli, più si vogliono affrontare più questi appaiono insormontabili. Rimanere saldi nella propria fede e affrontare la propria vita e le proprie paure è la più grande dimostrazione di valore che si può dare». A volte anche a un passo dalla partenza sorgono ostacoli, non solo dall’esterno, come racconta Enzo di Siracusa: «Tutto sembrava filare per il meglio, ma al momento della decisione cominciarono a insediarsi i “demoni” dell’insicurezza, del dubbio e dell’attaccamento al denaro. La frase del Gosho “Sforzati di raccogliere il potere della fede. Considera prodigiosa la tua sopravvivenza. Usa la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra. Allora, come afferma il sutra, ‘Tutti i nemici saranno annientati’. […] Un codardo non potrà ottenere risposta a nessuna delle sue preghiere” (SND, 4,195), mi diede l’incoraggiamento giusto, risvegliando la fiducia in me stesso. E ce la feci a partire».
Effetti desiderati
Può darsi il caso di un praticante che voglia partecipare ma che, per motivi contingenti, si trovi in difficoltà. I casi possono essere molteplici e non è certo questo stralcio di riflessione il luogo adeguato a dispensare consigli; di fondo comunque è importante che le persone che sono accanto a chi ha queste difficoltà sostengano la persona col Daimoku e facciano sentire che solo da lei può scaturire la saggezza sul da farsi: in alcune occasioni è giusto sfidarsi andando e partecipando, in altre la vera sfida è rimanere a casa e magari realizzare lì un pezzo della propria rivoluzione umana.
Attorno ai corsi esistono poi delle vere e proprie leggende metropolitane, tipo «preparati a soffrire molto perché si “smuove” il karma» oppure «vado a Trets per cambiare “tutto” il mio karma», e molte altre ancora. Né un corso di Buddismo, né un luogo specifico come un Centro culturale piuttosto che un altro hanno il potere di cambiare, da soli, alcunché nella vita dell’individuo praticante; il cambiamento avviene perché lei o lui consapevolmente ha già messo in moto dei meccanismi di vita profondi. Semmai, l’occasione esterna (il corso, l’intensificazione delle relazioni umane nella preparazione o nei giorni del corso stesso) promuove un’accelerazione di quel cambiamento, e se le condizioni interiori individuali sono mature allora può accadere che emerga sofferenza o un cambiamento radicale, perché alla fine ciò che conta – come dice Silvia di Roma – è «Che sono tornata con le idee chiare su quale sia la mia missione su questa terra: ricreare ovunque io sia la stessa atmosfera di kosen-rufu che ho vissuto a Trets».
E dopo? «Il corso, si sa, non finisce praticamente mai – racconta Luigi che vive a Tokyo da nove anni e che recentemente ha preso parte a uno di questi eventi. – Dal mio ritorno ho iniziato a mettere in pratica la visione di kosen-rufu della SGI. Ho creato dei circoli fra gli amici non giapponesi e non praticanti che vivono nella mia zona, organizzando degli incontri e cercando di essere sempre un incoraggiamento per gli altri. Tutto questo in una metropoli come Tokyo dove la gente corre tutto il giorno e nessuno ha mai tempo. In questo momento quello che ricerco di più è avere una vita quotidiana frizzante e semplicemente “bella” sotto tutti gli aspetti. Il cambiamento non si è fatto attendere: non passa giorno che le persone mi chiedano come faccio a sprizzare ogni giorno di quel non-so-che, il quale fa sì che si dica: “non so perché, ma quando ti parlo mi sento bene”».
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con Parole mie / L’urlo del cuore
Lo scorso anno ho partecipato a un corso al Centro culturale di Trets organizzato per la mia regione. La mancanza di denaro per vivere dignitosamente, un carico di lavoro eccessivo e mal retribuito, la preoccupazione di non riuscire a sostenere le spese familiari e un gran senso di solitudine erano gli ingredienti del mio malessere. Pensieri supernegativi e tachicardia mi impedivano di dormire, lasciandomi una grande spossatezza. Al corso volevo approfondire lo studio del Buddismo per elevare lo stato vitale. Ci siamo immersi nello studio del Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza e delle sette lezioni del presidente Ikeda dedicate a questo argomento.
Tornata a casa ho iniziato a fare attività con più convinzione e il mio cuore un po’ pietrificato si è riattivato. Mi aveva molto colpito il concetto che “il Daimoku della fede è inscindibile dal Daimoku della pratica”. Tutti i giorni rideterminavo di avere fiducia, di credere che le cose si sarebbero sbloccate, cercavo insomma di curare il Daimoku della fede. I benefici mi hanno sommerso. Mia madre, settantasettenne, ha iniziato a fare Gongyo con regolarità, risolvendo il trentennale e grave problema dell’insonnia, ha scoperto il piacere della lettura assaporando due o tre libri la settimana. È arrivato un sostegno economico che ci solleva completamente dalle difficoltà. Da gennaio, il carico di lavoro è stato ridistribuito più equamente. Proprio in questi giorni, mi sono accorta che l’ansia e il senso di solitudine sono completamente scomparsi, mi sento libera e tranquilla. Ieri alla riunione ho sentito un amico dire: «Grazie alla recitazione sentivo il cuore che mi “urlava” nelle orecchie cosa era meglio fare». Anch’io posso dire che il cuore ha ripreso a “urlarmi” nelle orecchie.
Grazia Briccolani