Luigi di Iorio lavora a Milano, si occupa di formazione manageriale e insegna Intelligenza emotiva e business presso la Scuola di economia & management. Dal 2008 si occupa del coordinamento delle attività di redazione del Volo Continuo
Cos’è l’intelligenza emotiva?
L’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere e governare le emozioni. È una scoperta relativamente recente dovuta agli studi sulla pluralità dell’intelligenza di Howard Gardner e Daniel Goleman.
Howard Gardner nel suo saggio Formae mentis sostiene che il fenomeno “intelligenza” può essere scomposto in una serie infinita di abilità umane. Secondo la sua tesi l’uomo dispone di nove intelligenze, fra cui l’intelligenza intrapersonale (la conoscenza di se stessi e la gestione di sé) e l’intelligenza interpersonale (la conoscenza degli altri e la gestione dei rapporti sociali). Nel suo best-seller Emotional Intelligence, Daniel Goleman coniuga queste due intelligenze sotto la grande etichetta teorica definita “intelligenza emotiva”, che ha riflessi molto forti soprattutto dal punto di vista lavorativo. A questi studi infatti si ispirano diversi approcci formativi all’interno delle aziende, sia dal punto di vista della formazione manageriale sia dal punto di vista della formazione comportamentale. In Italia esistono due corsi accademici di Intelligenza emotiva e business e Intelligenza emotiva e leadership e io sono co-docente in entrambi gli insegnamenti dal 2007. Nello specifico mi occupo del rapporto tra le emozioni e il prendere decisioni in situazioni di crisi.
Come hai scelto questo lavoro e qual è il legame con l’attività buddista?
Credo di aver accumulato tanta fortuna e l’ambiente mi ha risposto di conseguenza facendomi incontrare una persona di valore, il mio capo. Il legame fra la mia professione e il Buddismo è strettissimo e ho cercato di avanzare seguendo i consigli dei tre maestri, impegnandomi al massimo anche in cose che non mi piacevano. Ho sempre in mente una frase di Josei Toda quando parla ai giovani del lavoro: «Invece di lamentarvi perché fate un lavoro diverso da quello che avreste voluto – diceva – diventate persone insostituibili lì dove siete» (I protagonisti del XXI secolo, Dialoghi con i giovani, vol. 1, pag. 78). Mettendo in atto queste parole ho imparato che solo se ti impegni al massimo delle tue capacità riesci a capire quello che ti piace fare e quello che non ti piace. Ho fatto mio anche l’incoraggiamento del presidente Ikeda: «L’importante è vincere nella giornata odierna e su se stessi, facendo un passo in avanti. La gloria brillerà in una vita costruita sulle sfide quotidiane e poco appariscenti» (www.ilvolocontinuo.it). Questo bellissimo lavoro che svolgo è frutto dello sforzo quotidiano e del desiderio di migliorarmi un giorno dopo l’altro.
Senza nulla togliere al beneficio dei risultati raggiunti, la vera gioia sorge dal mio impegno nel coltivare il lavoro dei miei sogni.
Hai collaborato con il Volo Continuo fin da quando era una rivista cartacea. L’attività di redazione ti è servita in qualche modo nel lavoro?
Dico spesso ai miei amici che non c’è nessun tipo di formazione prestigiosa, master, laurea o dottorato, che superi l’insegnamento che il nostro maestro ci dà ogni giorno. Niente può minimamente eguagliare la sostanza degli insegnamenti buddisti che ogni minuto, ogni secondo ci danno la direzione verso il modo corretto di vivere. Se ci si lascia guidare dagli insegnamenti buddisti si vince sempre, lo posso affermare con convinzione. Per esempio, mi capita spesso di lavorare in contesti dove si cerca di gestire i conflitti, o dove la competizione tra colleghi è molto forte, oppure dove i capi dovrebbero trattare meglio i collaboratori e viceversa. In questi casi, dire alle persone semplicemente cosa devono o non devono fare non funzionerebbe. Allora “uso la mente del Budda” e, prima di tutto, cerco di entrare in relazione con loro, di capirli, sostituendo al giudizio un ascolto profondo della loro persona per poterne cogliere tutte le sfumature. La formazione direttiva non lascia segni nel tempo, l’unica strada è quella di usare il cuore, altrimenti non posso permettermi di dire nulla. Soprattutto considerando il fatto che, oltre a dimostrare meno della mia età effettiva, talvolta mi trovo di fronte a persone con più di trent’anni di esperienza lavorativa.
In quali occasioni hai vinto su te stesso?
Tutte le volte che mi sono sforzato di fare cose che non mi piacevano, sfidandomi soprattutto in quelle, volendo diventare il migliore nella cosa in cui non mi sentivo capace. Ho realizzato così che esiste un mondo di infinite possibilità di sviluppo. Per esempio, sono entrato nella società dove sono attualmente occupandomi della parte commerciale, cioè della vendita della formazione. La prima volta che ho contattato un possibile cliente mi tremava la voce. Continuando a sfidarmi in questo aspetto del mio lavoro, che non mi veniva naturale, ho imparato a farlo e adesso mi ci diverto pure! Durante i primi mesi della mia carriera di formatore in aula mi sono letteralmente buttato, anche quando non mi sentivo pronto, giocando soprattutto sull’umanità e sulla possibilità di creare delle relazioni con i partecipanti.
C’è un’esperienza in particolare che vuoi raccontarci?
Il BCI (Business Continuity Institute) organizza ogni anno un congresso mondiale a Londra con lo scopo di diffondere la cultura e le esperienze di successo attorno al tema della continuità operativa all’interno delle aziende. La continuità operativa è tutto quello che le aziende mettono in atto prima, durante e dopo le crisi per assicurare la produzione in caso di calamità naturali o crisi finanziarie.
Una delle più importanti società di consulenza ha chiesto alla nostra società di fare – in occasione di questo evento – , un doppio intervento su come affrontare le crisi dal punto di vista dell’intelligenza emotiva. Mancava qualche mese al convegno e il mio capo mi chiese come ero messo con la conoscenza della lingua inglese, e io, con molta incoscienza, gli risposi che mi sentivo di partecipare. Avevo sottovalutato clamorosamente qualche aspetto. Qualche mese dopo aver accettato ho scoperto infatti che l’intervento sarebbe durato più di un’ora, che avrei avuto davanti un centinaio di persone e che buona parte della conferenza si sarebbe basata su domanda e risposta!
Mi iscrissi così a un corso di inglese on-line, non volendo rinunciare all’attività e al tempo per il lavoro, continuai a recitare una media di due ore di Daimoku al giorno. La mia conoscenza dell’inglese non era così fluente ma realizzai che con la fede nel Gohonzon sarei potuto uscire dalla mia zona di sicurezza e sfidarmi fino in fondo. Fino a qualche giorno prima della conferenza, che si è svolta a novembre 2012, ho avuto una sorta di ossessione. Ricordo che durante tutto il viaggio da Milano a Londra ho recitato Daimoku. Facevo finta di ripassare durante il viaggio, ma in realtà recitavo Daimoku.
La conferenza è stata un successo! E alla fine ho citato il presidente Ikeda traendo spunto dal capitolo “Protezione assoluta” tratto dalla Nuova rivoluzione umana (www.ilvolocontinuo.it). Ho capito da questa esperienza che non c’è davvero limite al miglioramento personale e che se recitiamo con tutti noi stessi non c’è limite a ciò cui possiamo aspirare. Ora mi sembra un’equazione matematica!
Come riesci a conciliare la tua carriera professionale con i molti impegni all’interno dell’attività buddista?
È difficilissimo per me! Sono ancora molto dispersivo e mi sembra di fare molto meno di quello che dovrei fare. I miei corresponsabili e gli altri che fanno attività con me mi supportano e senza di loro non saprei come fare. Ho scoperto che tutto quello che non riuscivo a fare non doveva essere motivo di collera o rabbia o tristezza perché non ero riuscito a sentirmi protagonista di kosen-rufu. Anche perché questo essere al centro era ed è legato al personale paradigma per cui se faccio tutto e sono sempre attivo automaticamente sono più felice. In realtà ho scoperto che non funziona proprio così: è il cuore che deve cambiare e non la modalità di fare più cose, più velocemente o più efficientemente.
Durante i primi anni di pratica pensavo che fosse sufficiente recitare tanto Daimoku al mattino perché le cose andassero nella direzione corretta. Giusto. Però durante la giornata le mie tendenze emergevano comunque. Mi sono reso conto che esiste una condizione aggiuntiva necessaria, un altro tassello fondamentale: il dialogo interiore, secondo per secondo, con il mio maestro Ikeda. Un aspetto affatto secondario che mi ha aiutato e mi aiuta ad affrancarmi dalle mie tendenze e a lottare ogni volta. Dico questo perché all’inizio della mia pratica concludevo le giornate chiedendomi: «Ma perché pur avendo recitato tanto Daimoku, oggi è stato un disastro?». Perché mancava l’aspetto della lotta e quello del dialogo con il maestro, oltre al fatto che mi concentravo sugli effetti e non su quanto stessi realmente lottando. Ho capito questo meccanismo e, anche se non è sempre facile coglierlo, cerco di ricordarmelo.