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Non uguali bensì equivalenti - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:16

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    Non uguali bensì equivalenti

    La riunione di discussione è il luogo dove incontrare persone molto diverse fra loro, una diversità che a volte diventa invece un ostacolo. Un’occasione imperdibile per spalancare le porte al dialogo anche quando sembra impossibile e offrire a noi stessi l’opportunità di aprire nuovi orizzonti

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    La riunione di discussione è il luogo dove incontrare persone molto diverse fra loro, una diversità che a volte diventa invece un ostacolo. Un’occasione imperdibile per spalancare le porte al dialogo anche quando sembra impossibile e offrire a noi stessi l’opportunità di aprire nuovi orizzonti

    Il Sutra del Loto si apre con il racconto di un’assemblea incredibilmente numerosa e variegata che si riunisce sul Picco dell’Aquila per ascoltare le parole di Shakyamuni. Ogni volta che leggo la descrizione dei personaggi presenti, immagino le riunioni di discussione che si tengono in molti angoli del pianeta: se potessimo trovarci tutti nello stesso posto contemporaneamente, credo che l’insieme non risulterebbe meno pittoresco della descrizione del sutra.
    Anche nelle nostre piccole assemblee ci incontriamo per ascoltare le parole del Budda; non di uno solo, ma di tutti quelli che partecipano ai nostri incontri: Budda giovani e meno giovani, maschi, femmine, magri, in carne, poveri, ricchi. Budda chiacchieroni o taciturni, impulsivi o riflessivi, eruditi e non. Nelle nostre riunioni ci troviamo fianco a fianco con persone che probabilmente non avremmo mai scelto come compagne di viaggio, o che forse non avremmo mai avuto la possibilità di contattare perché fuori dalla nostra cerchia di riferimento. Senza contare che siamo portati a ricercare chi ci è affine e questo ci fa vivere in mondi separati, che solo occasionalmente si sfiorano per poi riprendere la propria rotta. Quello che non conosciamo risulta sempre un po’ misterioso, sospetto, a volte ostile.
    Scrive Daisaku Ikeda: «La ricca diversità dei membri della SGI nelle società multietniche e multiculturali del mondo è una della caratteristiche della nostra organizzazione che ha attratto l’interesse e l’ammirazione di molti pensatori. Non è esagerato affermare che la SGI, il cui fulcro è l’unità nella diversità, incarna l’ideale di una società veramente globale» (BS, 166, 72). E in un editoriale aggiunge: «Non basta quindi leggere il Gosho o le guide del nostro maestro in beata solitudine. Bisogna decidere di riunirsi con i propri compagni di fede, e poi farlo concretamente. […] A volte si può essere poco propensi ad andare a una riunione, ma partecipandovi invariabilmente ne usciremo con uno stato vitale più alto e forte e ci sentiremo come rinvigoriti e rinfrescati. Le riunioni della Soka Gakkai hanno il potere mistico di indirizzarci verso la vittoria e la felicità. Il mio maestro e secondo presidente Josei Toda, che considerava ogni riunione con la massima serietà, affermò: “Il Sutra del Loto non insegna forse che quando incontriamo una persona che lo sostiene dovremmo alzarci e riverirla con lo stesso rispetto che mostreremmo a un Budda? Dobbiamo impegnarci per la felicità di ogni singola persona, insieme ai nostri compagni di fede! Non dimentichiamo mai questi princìpi fondamentali. Dobbiamo organizzare le riunioni più gioiose, significative e armoniose del mondo; riunioni non pretenziose, ma aperte a tutti”» (NR, 453, 5).

    Mondi inesplorati

    Grazie ai tanti meeting a cui ho partecipato, mi accorgo di aver incontrato un gran numero di persone. Sarebbe stato possibile per me tutto questo, se non fossi stata un membro della Gakkai? Non posso fare a meno di pensare che la mia vita sarebbe stata meno ricca, le mie visioni più ristrette, il mio cuore più chiuso. Ho ascoltato tante storie, mi sono sorpresa scoprendo un mondo meraviglioso nascosto in persone insospettate, mi sono immedesimata nelle lotte di tanti e mi sono commossa ai loro racconti. Mi sono sentita ispirata, ho ritrovato il coraggio nei momenti difficili, ho portato a casa le parole e gli sguardi di tanti compagni di fede e a mia volta ho cercato di condividere con gli altri le mie esperienze e riflessioni. Credo che la bellezza della Soka Gakkai stia proprio nella capacità di accogliere chiunque, facendo proprio lo spirito magnanimo del Buddismo.
    Torno ancora con il pensiero all’assemblea descritta nel Sutra del Loto: al cospetto del Budda, nessuno è troppo strano, malvagio, stupido o intelligente: c’è un posto per tutti. È un luogo dove non esistono discriminazioni di sorta, dove ognuno può essere quello che è. Qui si riuniscono esseri che normalmente non starebbero insieme; addirittura i nemici siedono spalla a spalla per ricercare la Legge. A nessuno viene chiesto di diventare differente o di assomigliare a qualcun altro, nessuno viene escluso. Nell’introduzione all’edizione russa delle Lezioni sul Sutra del Loto, Il capitolo Hoben e Juryo di Daisaku Ikeda, Margarita I. Vorobyova-Desyatovskaya, studiosa del Sutra del Loto, ha scritto: «Chiunque voi siate, qualsiasi azione malvagia possiate avere commesso o comunque siate caduti in basso, il Budda non vi abbandonerà mai. La vostra vita non perde di valore. Con pazienza e tenacia il Budda insegna, ammonisce, rimprovera e perdona. Il Sutra del Loto dichiara che a questo mondo le persone non sono deboli o impotenti. Questo insegnamento, col suo messaggio di fiducia in se stessi, offre alla gente una fonte di immenso incoraggiamento».

    Avere un nobile scopo in comune

    Le immagini che il Sutra del Loto fa apparire davanti ai nostri occhi sono davvero evocative e magnifiche. Tutti hanno il diritto di essere quello che sono, di esprimersi per come sono, in altre parole, di mantenere la loro individualità. Cosa può mettere insieme esseri tanto distanti gli uni dagli altri al punto di farli ritrovare fianco a fianco? Solo un motivo davvero alto, qualcosa di veramente grande, capace di accogliere e riunire tutti in armonia: l’aspirazione a ricercare un significato alla propria vita, a realizzare una felicità condivisa e alla pace. Solo spalancando le porte del nostro “grande io” siamo in grado di percepire realmente il legame profondo con gli altri e troviamo la capacità di armonizzare gli opposti, anche quelli dentro di noi. Quando facciamo nostro un ideale veramente nobile come quello di kosen-rufu, possiamo espandere la nostra vita al punto che possa abbracciare le differenze, imparando ad apprezzarle per la ricchezza di sfumature che ci offrono.
    Il Buddismo ci incoraggia a manifestare appieno la nostra individualità, ciascuno fiorendo a modo suo, e a mettere al servizio degli altri le proprie specialità. Il presidente Ikeda scrive: «Poiché la vita di ognuno di noi è unica – come il ciliegio, il susino, il pesco e il prugno, come insegna il Daishonin – utilizziamo al massimo i talenti e le capacità di cui siamo dotati. Impegnamoci a realizzare la nostra missione di kosen-rufu e a recitare Daimoku con tutto il cuore» (NR, 516, 6). Siamo tutti diversi, eppure tutti abbiamo lo stesso valore. Non siamo uguali, ma siamo equivalenti.

    La diversità preziosa

    È facile essere d’accordo in linea di principio sulla ricchezza delle diversità, ma all’atto pratico le diversità ci mettono alla prova, mentre l’uniformità rassicura e ci fa sentire protetti e integrati: un coro all’unisono è più facile da gestire, ma i controcanti arricchiscono l’armonia e producono un effetto finale molto più interessante.
    Le nostre riunioni, l’attività che portiamo avanti insieme agli altri, sono un allenamento costante a interagire con gli altri. E questo non è sempre facile. Con qualcuno possiamo provare simpatia e affinità; altri invece possono infastidirci, qualche volta senza neppure sapere bene il perché, magari solo per il timbro di voce, un certo modo di esprimersi, troppo formale, o forse troppo poco. Per il modo di vestirsi, il lavoro che fanno, per le loro scelte di vita che possono cozzare con la nostra etica. Di motivi ce ne sono sempre tanti; qualche volta non riusciamo neppure a comprendere perché una tale persona o un tale comportamento ci disturbano così tanto.
    Forse gli altri stanno soltanto mettendo in discussione le nostre certezze e ci mostrano quello che non ci piace di noi. In ogni caso ci forniscono un’occasione unica per cambiare qualcosa, per renderci migliori, più tolleranti e compassionevoli offrendoci uno spunto per uscire dalla nostra solita cornice e prendere in considerazione un punto di vista diverso.
    Questa trasformazione parte dalla preghiera e dal desiderio di essere capaci di apprezzare melodie diverse dalla nostra; uno stato vitale elevato ci consente anche di oltrepassare il muro dell’emotività e di aprire il cuore. Così possiamo abbracciare anche la persona con cui abbiamo maggiori difficoltà e trasformare tutto e tutti in alleati della nostra rivoluzione umana. Questo è il motivo per cui allenarsi ad accogliere la diversità è un regalo che facciamo prima di tutto a noi stessi per ritrovarci accresciuti e migliori.
    In ogni gruppo di persone, sostiene Ikeda, ci sarà sempre qualcuno con cui sorgeranno incompatibilità. Se da un lato tutto questo è assolutamente comprensibile e umano, dall’altro dovremmo impedire che simpatie e antipatie personali ci inducano ad assecondare il demone che disgrega, divide, aliena, l’essere umano dalla natura, le persone le une dalle altre (cfr. Il mondo del Gosho, vol. 1, pag. 154). Quando la nostra prio­rità è realizzare kosen-rufu non rimane tempo per i litigi. Il ritmo fondamentale dell’universo è «il ritmo della compassione che permette a tutti gli esseri viventi di crescere e progredire. Lo si potrebbe anche chiamare una “lunghezza d’onda” di compassione; gli esseri viventi sono i “ricevitori” che possono intercettare questa lunghezza d’onda. […] Per descrivere questo fenomeno potremmo anche usare l’immagine di un diapason. Se si hanno due diapason della stessa frequenza e se ne fa risuonare uno, l’altro, anche se si trova a una certa distanza, comincerà a vibrare spontaneamente. Proseguendo in questa analogia, quando il diapason della nostra vita inizia a vibrare di compassione, anche se inizialmente siamo soli, sicuramente altri diapason cominceranno presto a vibrare della stessa compassione. La compassione ha una sua “lunghezza d’onda”, ma è necessario che ci sia qualcuno che si metta a vibrare per primo» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 2, pag. 100).

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