Mi è stato chiesto se ero delusa dal Buddismo per quello che mi era successo. No, non sono delusa, anzi… Grazie alla malattia sono stata costretta a ribaltare la mia vita, cosa che altrimenti non avrei mai fatto
Ho conosciuto il Buddismo nel 2002 quando frequentavo l’università. Avevo trentasei anni, sposata, con due figli e un lavoro da impiegata. Ho lasciato il lavoro e mi sono iscritta a scienze infermieristiche. Volevo diventare infermiera, come avevo sognato fin da ragazza. Tra i banchi universitari conobbi una ragazza carina e dai modi gentili, ma ciò che mi colpiva di lei erano la tenacia, la determinazione e l’assoluta convinzione di farcela di fronte a qualsiasi problema. Volevo diventare come lei: sicura, determinata, solare, aperta agli altri e forte per affrontare le difficoltà della vita. Le chiesi come faceva e così iniziò a parlarmi di Buddismo. Avevo fatto altri cammini, ma mi sentivo pronta a iniziarne uno nuovo. Volevo cambiare e risolvere tante sofferenze che erano ancora presenti nella mia vita. E così iniziai a recitare Daimoku, a frequentare un gruppo, a leggere qualche rivista dell’Istituto e a mettermi i primi obiettivi. Ho realizzato moltissimo… Mi sono laureata a pieni voti, ho acquistato una casa in campagna che era il mio sogno più grande, ho iniziato a lavorare in terapia intensiva come desideravo, ho realizzato obiettivi prima impensabili nella relazione con i figli e con mio marito. Anche con i miei genitori dopo tanta sofferenza si è instaurato un bellissimo rapporto di stima e fiducia reciproca. Tante cose andavano bene e tante altre andavano aggiustate. A volte mi sembrava di aver risolto un problema e poi ne veniva fuori un altro.
Ma dal marzo del 2009 le cose sono cambiate veramente. Sono stata operata di un tumore al seno e da quel giorno è iniziata una nuova avventura: mi sono trovata catapultata nel mondo della malattia e, questa volta, come paziente. Mi sentivo sola, spaventata, senza speranza, in balia dei pensieri negativi che la mente è così brava a creare. Non sapevo cosa fare… Ero serena solo davanti al Gohonzon e recitavo, recitavo senza tempo. Dovevo fare un secondo intervento e questo mi spaventava più del primo perché il suo esito avrebbe determinato la strada e le terapie da percorrere. Ho chiesto un consiglio nella fede e ho capito che stavo recitando solo per avere piccoli benefici. Mi fu chiesto: «Vuoi vincere qualche battaglia o la guerra?».
Ho capito che dovevo avere una determinazione più forte del karma. La mia guarigione sarebbe stata una sorgente di energia enorme per tutti, avevo la possibilità di mostrare come con questo strumento fosse diverso il modo di vivere e di vincere sulla malattia. Pensavo: «Guarirò perché lo decido io non con la settima coscienza (la ragione), non con l’ottava (il karma), ma con la nona coscienza che è il mio io profondo, la mia spiritualità, la mia Buddità».
Mi consigliarono di recitare Daimoku insieme agli altri, di studiare, di partecipare agli incontri e iniziai ad accogliere le persone nella mia casa per le riunioni. Tutte le mattine recitavo con un gruppetto di amiche, che non finirò mai di ringraziare, e ancora oggi il solo ricordo di quei momenti mi emoziona e mi scalda il cuore. Iniziai a leggere La rivoluzione umana e scoprii come è nato e come si è divulgato il Buddismo. Ciò mi ha trasmesso una immensa gratitudine verso tutte le persone che si sono adoperate per propagarlo. Capii profondamente il senso della terza preghiera silenziosa, che leggiamo durante Gongyo, dedicata ai tre presidenti fondatori. Nel gruppo che frequentavo mi trovavo molto bene e mi sentivo libera di parlare, cosa per me molto difficile. Feci il secondo intervento e i relativi esami per stabilire l’espansione e l’aggressività del tumore.
Un giorno, parlando con un’amica non buddista che stava vivendo anche lei un brutto periodo, ci trovammo a piangere insieme, e lei mi disse: «Il tuo problema è più grosso del mio, cosa posso fare per te?». La guardai negli occhi e sentendo tutto il bene che le volevo, le dissi: «Recita Nam-myoho-renge-kyo per me, inizia subito e fallo tutti i giorni», consapevole che il Daimoku che le chiedevo di fare era principalmente per la sua felicità.
Non è stato un percorso semplice, non lo è nemmeno adesso. Pieno di alti e bassi, di momenti felici e paure da superare ma guardandomi indietro scopro come tutto sia andato per il meglio.
Il tumore era circoscritto, non ho i segni dei due interventi e della radioterapia sul mio corpo.
Sono tornata a lavorare in terapia intensiva dopo circa quattro mesi con una forza nuova, conscia che anche lì dentro posso creare un ambiente di pace.
Ho imparato il significato della parola trasformare. Il Buddismo mi insegna che abbiamo il potere non solo di trasformare uno stato negativo, ma addirittura di utilizzarlo per raggiungere uno stato ancora più positivo.
Ho assaporato momenti di totale felicità. Sento di non subire più la vita. Vivo con più leggerezza la realizzazione degli obiettivi: se qualcosa non si realizza ho imparato a rideterminare e a essere felice lo stesso perché la felicità è una condizione vitale dentro di me e non dipendente dall’esterno. Ho aperto il mio cuore agli altri. Per esempio, mi era molto difficile parlare di Buddismo alle persone. Piano piano ho iniziato a farlo rompendo le barriere della timidezza e raccontando qualcosa di me a chi me lo chiedeva. Ho parlato di Buddismo in varie sale d’attesa di ospedali a persone che erano lì, come me, in cerca di una speranza. Diverse donne operate al seno mi hanno contattata per avere un sostegno, per poter parlare e sento che la mia missione oggi è anche questa: stare vicino, incoraggiare e soprattutto essere l’esempio concreto che la malattia non può distruggere la nostra felicità ma può essere il trampolino di lancio per un nuovo modo di vivere.
Mi è stato chiesto se ero delusa dal Buddismo per quello che mi era successo. No, non sono delusa, anzi… Grazie alla malattia sono stata costretta a ribaltare la mia vita, cosa che altrimenti non avrei mai fatto. Sono cresciuta nella fede e il Daimoku mi ha aiutato a trasformare la paura in coraggio, pensando che la vita mi protegge e riserva il meglio per me, senza dubitare mai. Ho iniziato ad accettare la mia sensibilità che mi fa piangere per un niente. Ho cominciato a volerle bene e a comprendere che proprio per questo posso capire gli stati d’animo delle persone ed essere vicina agli altri in un modo speciale.
Quella mia amica pratica il Buddismo ancora oggi e sta realizzando grandi cose nella sua vita. Il nostro motto è diventato: non si vince da soli ma insieme!
La sfida con la malattia non è finita. Sono entrata a far parte di quel gruppo di donne che ogni sei mesi deve fare tutta una serie di esami, visita oncologica inclusa. Molte volte ho ancora paura e allora recito Daimoku e mi ripeto con una forza nuova: «Io sono guarita».
Vorrei ringraziare, oltre a mio marito e ai miei figli, tutte le persone che in questo percorso mi sono state vicino: chi mi ha parlato di Buddismo e mi ha insegnato a non mollare mai, chi mi ha accolto a casa sua, chi mi è stato vicino, chi mi ha consigliato nella fede, chi mi ha trasmesso la leggerezza della vita, chi ha recitato per me, chi mi ha insegnato a essere felice anche quando un obiettivo non si realizza.
Con mio grande stupore recentemente mi è stata affidata una responsabilità di gruppo: ecco una nuova sfida alle porte.