In questo brano è narrata la storia di Ai Suzumura, conosciuta come “signorina buonumore”, e di come, dopo una lunga malattia, sia tornata a sorridere grazie all’incontro con il Buddismo, senza rimandare la condivisione della propria fede con le persone che le vivevano accanto
Il Nuovo Rinascimento presenta alcuni estratti dal volume 25, pubblicato sulle pagine del Seikyo Shimbun. Il testo integrale è disponibile su www.ilvolocontinuo.it
Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto
Con voce piena di convinzione, Shin’ichi disse ad Ai Suzumura e Utae Kanda: «Fintanto che vivrete, desidero che continuiate a trasmettere fino in fondo lo spirito della Soka Gakkai a ogni persona, attraverso le vostre azioni. Dopo tutto, siete le mie compagne di fede del capitolo Bunkyo e avete combattuto insieme a me!».
Entrambe le donne erano state membri della Divisione donne nel capitolo Bunkyo nel periodo in cui Shin’ichi era responsabile di capitolo.
Ai Suzumura, responsabile di prefettura, veniva da Sukagawa, nella prefettura di Fukushima, e aveva un carattere allegro e ottimista. Dopo avere studiato alla scuola di specializzazione del magistero, aveva insegnato nelle scuole statali. A ventitré anni aveva sposato Hirotaka Suzumura, un rivenditore di riso al dettaglio di Nakoso, un piccolo borgo nella zona di Hamadori. Il loro negozio andava a gonfie vele e Ai pensava che la loro vita sarebbe proseguita così, senza problemi. Fin dai tempi della scuola era stata soprannominata “la signorina buonumore”, era sempre circondata da persone allegre. Ma poco dopo aver dato alla luce il suo primo figlio, Ai si ammalò di tubercolosi, una malattia di cui, all’epoca, spesso si moriva. Quindi fu ricoverata in ospedale, angosciata dalla paura di non poter guarire. Quando finalmente tornò a casa, otto mesi dopo, cominciò a soffrire di insonnia e la sua gastroenterite cronica si riacutizzò. Stremata da un punto di vista emotivo e psicologico, finì per avere un esaurimento nervoso. Vivere per lei era ormai diventata una grande sofferenza. Iniziò a prendere in considerazione l’idea di togliersi la vita; una volta si ritrovò sul bordo di una scogliera con l’intenzione di buttarsi di sotto. La sua vitalità d’un tempo era sparita ed era dimagrita al punto da sembrare un’altra persona. Ora trascorreva le sue giornate attanagliata da pensieri angoscianti. In casa non si udivano più le sue fragorose risate, erano ormai un ricordo lontano, e tutta la famiglia era avvolta in una cappa pesante di silenzio e malinconia.
Anche suo marito, Hirotaka, era sfinito fisicamente e mentalmente, dato che doveva prendersi cura della moglie malata e dei figli nonché portare avanti il negozio. Malediceva il suo destino e quello della moglie.
Nell’ottobre del 1956, otto anni dopo che Ai si era ammalata, a Hirotaka capitò di portare del carbone a suo fratello maggiore, che viveva nello stesso quartiere. Suo fratello era appena diventato membro della Soka Gakkai, e proprio quel giorno a casa sua si teneva una riunione di discussione.
Il fratello accolse Hirotaka esclamando: «Sono così contento che tu sia qui! Sei arrivato al momento giusto, è appena iniziato un meeting della Soka Gakkai. Resta qui, così potrai ascoltare. Entra, siediti lì davanti!». Hirotaka non poteva dire di no a suo fratello, ma si sentiva come in trappola là dentro, e partecipò all’incontro a malincuore. Quelle persone non sembravano particolarmente benestanti, ma i loro occhi brillavano e avevano le guance rosse dall’eccitazione. Raccontavano con tono incisivo le proprie esperienze, di come erano riuscite a superare una malattia o qualunque altro problema attraverso la fede e la pratica buddista. Le loro parole trasudavano convinzione e ascoltandole era impossibile dubitare di non riuscire a diventare felici.
Hirotaka percepì un’intensa luce provenire da ognuno di loro, quella luce che si alimenta della gioia della fede. Inoltre, quando raccontò ai presenti che sua moglie era malata, gli venne assicurato che sarebbe riuscita sicuramente a rimettersi in salute grazie alla pratica buddista. Fiducia e convinzione sono la forza motrice della propagazione. È un ruggito che parte dall’anima, la convinzione assoluta che, al di là della situazione attuale, si può davvero diventare felici. È questo che colpisce il cuore delle persone.
Nel gennaio dell’anno successivo, il 1957, tre mesi dopo quell’incontro, Hirotaka diventò membro della Soka Gakkai. Dal momento che suo fratello faceva parte del settore Nihonbashi del capitolo Bunkyo, anche Hirotaka iniziò a praticare lì. Sua moglie Ai era contraria all’idea che Hirotaka aderisse alla Soka Gakkai. Era di fede cristiana e la sua famiglia aveva costruito una chiesa in un terreno proprio vicino alla casa dei genitori, dove suo fratello maggiore svolgeva le funzioni religiose. Sapeva poco della Soka Gakkai e pensava che suo marito fosse entrato a far parte di una strana setta sconosciuta.
Senza curarsi della sua disapprovazione, Hirotaka si impegnò nella pratica con tutto se stesso perché voleva che sua moglie riacquistasse la salute. Ma ogni volta che le comunicava che stava andando a una riunione, Ai lo implorava di non farlo, scatenando spesso un putiferio. Arrivò a chiamare la sorella per convincere Hirotaka a smettere di praticare.
A casa dei Suzumura cominciarono frequenti visite da parte dei responsabili e di alcuni membri del capitolo Bunkyo, sia da Tokyo che da Onahama, una località di mare nella prefettura di Fukushima, tra cui il responsabile di settore Nihonbashi, Taketo Shimadera e Utae Kanda, che viveva a Onahama. I membri che andavano a fare visita alla famiglia di Hirotaka non mancavano mai di salutare sua moglie con grande cordialità, la rincuoravano sempre con parole di incoraggiamento e le parlavano del potere benefico del Buddismo raccontando le loro esperienze personali.
Man mano che Ai Suzumura ascoltava le storie dei membri del capitolo Bunkyo che si recavano a casa sua, veniva sempre più colpita dalla loro convinzione e cominciò a desiderare di provare a seguire quella religione. Così nel giugno del 1957, cinque mesi dopo che il marito Hirotaka era diventato membro, anche lei entrò a far parte della Soka Gakkai.
Un giorno il responsabile di settore Taketo Shimadera andò a farle visita a casa e le disse: «Cara signora Suzumura, se vuole davvero trasformare il suo karma e diventare felice, non basta che reciti Daimoku. Questa è una pratica per se stessi e per gli altri, così oltre a fare Gongyo e Daimoku abbiamo bisogno di condividere questo Buddismo con le altre persone. Se lei prega solamente per la sua felicità, la sua sarà una fede egoista, egocentrica». La signora ribatté: «Ma io non ho ancora risolto i miei problemi. Quando li avrò risolti, allora potrò pensare a insegnare il Buddismo anche agli altri».
«Ma no, non funziona così! Ad esempio, se una persona è malata e non si sente abbastanza in forze per scendere dal letto, penserà forse di andare in ospedale solo quando si sentirà già meglio o sarà guarita? Anche se può costare fatica, andrà subito in ospedale per farsi curare e per guarire al più presto». «Lei ha ragione, se mi sentissi male io andrei subito in ospedale». «Appunto. Lo stesso vale per il Buddismo. Se vuole superare le sofferenze che l’affliggono, non deve rimandare a domani questo sforzo: è necessario agire subito. Naturalmente se sta poco bene non c’è bisogno di stancarsi troppo. Si può fare shakubuku anche senza andare lontano. Basta parlare del Buddismo a chi viene a trovarci a casa, o ai vicini. In ogni caso, la cosa importante è condividere sinceramente l’insegnamento del Daishonin con la determinazione di rendere tutti felici». «Ma io… non so cosa dire!». «Va benissimo, cominci con quello che sa», disse Shimadera in tono incoraggiante. «Intanto può raccontare perché ha deciso di iniziare a praticare, è un sistema eccellente. Oppure può accompagnare suo marito quando va a trovare qualcuno per parlargli di Buddismo, e confermare quello che lui dice annuendo con semplicità: “Sì, è vero” oppure “È proprio così”».
Ai Suzumura fissò negli occhi Taketo Shimadera e domandò: «Davvero posso diventare felice recitando Daimoku e facendo shakubuku?». «Senza ombra di dubbio! Il presidente della Soka Gakkai Josei Toda lo ha affermato categoricamente». Al meeting generale del capitolo Nakano, nel settembre del 1953, Josei Toda aveva dichiarato: «Voglio fare una promessa a tutti voi che oggi siete qui riuniti. Decidete con grande fermezza di fare Gongyo mattina e sera, senza saltarlo mai, e di fare shakubuku a una persona ogni due mesi.
«Chi di voi ha un problema o una sofferenza faccia un voto. Il Buddismo è una lotta all’ultimo sangue. Se non riuscite a risolvere i vostri problemi pur praticando in questo modo, darò la mia stessa vita».
Toda trasmise questa guida in ogni angolo del paese. A volte consigliava di «fare shakubuku a una persona ogni mese». Ma che si trattasse di una persona ogni mese od ogni due mesi, ciò che stava chiedendo ai membri era di parlare del Buddismo a tutti coloro che incontravano. In altre parole, quello che Toda chiedeva ai suoi discepoli era di dedicare fino in fondo la propria vita alla diffusione del Buddismo. «Voglio cambiare il mio karma, che mi sta facendo soffrire in maniera inaudita ogni giorno!». Con questa determinazione in mente, Ai Suzumura cominciò ad andare a trovare i conoscenti che abitavano vicino a lei per parlare di Buddismo. In genere venivano colti di sorpresa a vedersela comparire alla porta di casa. Questa donna, ultimamente, era stata spesso a letto malata, con un’espressione cupa sul volto, e ora non soltanto faceva lo sforzo di andarli a trovare, ma cercava di parlare loro con estrema sincerità della sua fede buddista.
«Voglio dimostrare a tutti che posso superare tutti i miei problemi attraverso questa pratica, assolutamente», diceva. «L’insegnamento del Daishonin è veramente meraviglioso». Man mano che andava in giro a parlare in questo modo, la sua carnagione così spenta e pallida riacquistava colorito, mentre la sua voce si faceva più vivace e vigorosa. Tutti erano sbalorditi dalla trasformazione di Ai, che era stata a lungo una donna priva di entusiasmo e di energia. Tuttavia, a forza di condividere la sua nuova fede, si era come trasformata e i suoi vicini ora ascoltavano attentamente le sue parole.
Quando parlava di Buddismo, Ai si rianimava e sentiva come una corrente calda scorrerle attraverso il corpo, inondandola di una forza vitale incredibile. A poco a poco cominciò a rifiorire e sul suo volto tornò il sorriso che era mancato per così tanto tempo. In tutto questo periodo fu Utae Kanda a incoraggiarla costantemente.
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Da quando Ai Suzumura era diventata membro della Soka Gakkai, Utae Kanda spesso partecipava alle attività insieme a lei, dato che entrambe venivano dal settore Nihonbashi del capitolo Bunkyo. Utae fece del suo meglio per sostenere Ai con forza e con calore umano.
«Voglio incoraggiare le persone di Fukushima e voglio far crescere individui più capaci di me. Desidero che la signora Suzumura diventi così, a tutti i costi!». Questo era il desiderio sincero di Utae.
A fine giugno del 1957, subito dopo che Ai era diventata membro, il capitolo Bunkyo annunciò, come attività per il mese di luglio, l’obiettivo che ogni gruppo facesse conoscere il Buddismo a dieci nuove famiglie. Per la verità era stato Shin’ichi Yamamoto, che in quel periodo svolgeva le funzioni di responsabile del capitolo, a proporre questo obiettivo. In quel momento i membri della Soka Gakkai contavano circa seicentomila famiglie. L’organizzazione si stava avvicinando alla realizzazione dello scopo di settecentocinquantamila famiglie, proclamato sei anni prima da Josei Toda durante la cerimonia della sua nomina a secondo presidente della Soka Gakkai. Se tutti i membri si fossero uniti e impegnati nella propagazione con tutte le forze, avrebbero potuto raggiungere quell’obiettivo entro la fine dell’anno.
Shin’ichi sapeva fin troppo bene che partecipare a quella grande battaglia per realizzare settecentocinquantamila famiglie voleva dire lasciare la propria impronta lungo il cammino della storia di kosen-rufu. Sarebbe stato un record di cui andare fieri per le generazioni a venire. Così importante e nobile era il suo significato.
Per questo motivo voleva far sì che venisse coinvolto il maggior numero possibile di membri. Ecco perché aveva lanciato l’obiettivo di dieci nuove famiglie per gruppo. Shin’ichi desiderava in particolar modo che chi non era ancora riuscito a fare shakubuku o era appena diventato membro potesse sperimentare la gioia che si prova dedicandosi a propagare la Legge.
Se soltanto i responsabili o anche soltanto una parte dei membri si impegnano nel perseguire gli obiettivi stabiliti nell’attività, non cresceranno persone di valore, né potrà espandersi realmente il movimento di kosen-rufu. Tutti i membri dovrebbero sentirsi responsabili nella realizzazione di questo nobile scopo, diventando i protagonisti sul grande palcoscenico di kosen-rufu sforzandosi al massimo nelle proprie attività. In questo modo si avranno dei progressi tangibili e pieni di fresca vitalità.
Tutti i membri sono Bodhisattva della Terra! Sono tutti Budda con una nobile missione. Uno dei requisiti più importanti per un responsabile di kosen-rufu è riuscire a creare le condizioni in cui ognuno possa manifestare completamente il proprio potenziale.
A fine giugno del 1957, il presidente Yamamoto visitò l’isola di Hokkaido. A Yubari, una città dell’isola, il sindacato dei minatori di carbone stava tentando di estromettere i membri della Soka Gakkai dalle sue file, e Shin’ichi vi si era subito recato per difendere la libertà di culto e i diritti dei suoi amati membri.