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Non esistono nemici - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:32

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    Non esistono nemici

    Nessuno può credersi tanto perfetto da correggere gli altri. Possiamo invece mettere in comune le nostre esperienze dialogando insieme per cercare la maniera di praticare sempre meglio

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    Nessuno può credersi tanto perfetto da correggere gli altri. Possiamo invece mettere in comune le nostre esperienze dialogando insieme per cercare la maniera di praticare sempre meglio

    Redazione: Nella Vera entità della vita è scritto: «Se non fossero Bodhisattva della Terra, non potrebbero recitare il Daimoku». Vuol dire che basta recitare Daimoku per essere un Bodhisattva della Terra?

    Nakajima: Recitare Daimoku non nel senso di recitarlo solo con le parole, ma di praticarlo. Tutti sono capaci di recitare, il problema è praticare.

    Redazione: Puoi spiegare cos’è la pratica del Daimoku?

    Nakajima: Significa realizzare l’intenzione di base del Buddismo, il desiderio del Budda, il desiderio di Nichiren Daishonin che è la felicità di tutte le persone.
    Se io recito Daimoku, divento felice e mi fermo qui, non sto realizzando l’intenzione del Budda originale. Shakyamuni, subito dopo l’Illuminazione, dovette combattere con il demone Mara, che lo invitava a entrare nel Nirvana perché ormai si era illuminato. Ma Shakyamuni comprese che Mara in realtà era la sua natura oscura ed egoistica, decise quindi di andare tra la gente a rivelare la Via. Anche il Daishonin è partito dal voto di salvare tutte le persone: lui sentiva gratitudine per ogni essere vivente. In un certo senso recitare Daimoku è fondamentale, ma non basta. Il signor Saito – responsabile del Dipartimento di studio della Soka Gakkai, durante il corso a Trets dello scorso agosto ci diceva, a proposito del Gohonzon, che il problema non è l’oggetto in sé, ma come lo si utilizza: dobbiamo avere la stessa intenzione del Daishonin. Noi recitiamo Nam-myoho-renge-kyo, con l’intenzione di rendere felici tutti gli esseri viventi.

    Redazione: Quindi è possibile recitare Daimoku con la voce, ma in realtà non recitare il Daimoku del Daishonin?

    Nakajima: Sì. Altre scuole che derivano dai cinque monaci anziani, ce ne sono tante, recitano Daimoku, ma la loro intenzione non è la felicità di tutti, è la loro sopravvivenza, perciò insegnano solamente la pratica per se stessi.

    Redazione: Può capitare anche a un membro della Soka Gakkai di pensare solo alla propria felicità e non a quella degli altri.

    Nakajima: Una persona che pensa alla propria vita è normale. Ma appena comincia a studiare il Gosho dovrebbe comprendere che non si recita Daimoku solo per se stessi e che la sua felicità è inseparabile da quella degli altri.

    Redazione: Trovi corretto diffondere il Buddismo, parlando solo dei benefici che si possono ricevere?

    Nakajima: Tu puoi essere ricco, bello, pieno di talento, ma sei felice? La gente vede solo l’esterno, la superficie, ma può giudicare come sei dentro? In base al denaro, per esempio, è impossibile.
    C’è un termine giapponese che significa “beneficio dei principianti”: indica i cambiamenti che si hanno appena si inizia a praticare, ma all’inizio si tocca solo la superficie della vita, dentro non si è ancora toccato niente. Questo è solo il primo passo, non è il vero beneficio. Se si rimane a quei livelli non si riesce a comprendere il senso profondo della pratica buddista.

    Redazione: Quindi ci può essere un grande cambiamento in una persona quando sente che la sua felicità è legata a quella degli altri: senza la pratica per gli altri, senza questa consapevolezza non esiste la felicità.

    Nakajima: Sì, non esiste felicità perché noi dovremmo sentire gratitudine per tutte le persone, per tutte le vite, passate e presenti. Nessuno può stare bene da solo: abbiamo conosciuto il Buddismo perché qualcuno ce ne ha parlato, esistiamo “in relazione” a qualcun altro. In quanto esseri umani abbiamo interessi in comune, che spesso non vediamo perché ci sembrano molto lontani da noi e quindi ci sembra che non ci sia relazione con gli altri.
    Stiamo parlando di engi, la relazione di interdipendenza di cui parla il Buddismo.

    Redazione: Questa relazione esiste anche con chi si considera nemico?

    Nakajima: Certo, non esistono nemici, anzi…

    Redazione: In che senso non esistono nemici?

    Nakajima: Dal tuo punto di vista pensi che qualcuno sia un nemico, in base ai tuoi interessi: se disturba i tuoi interessi, allora diventa nemico, ma dal punto di vista della vita c’è un’altra misura: l’interesse di tutti è vivere bene. Prima di tutto siamo esseri umani, quello che vuoi tu, lo vogliono anche gli altri. C’è differenza tra noi esseri umani, e questo è normale: sarebbe impossibile essere tutti uguali, sarebbe noioso…

    Redazione: Dunque prima di tutto si parte dal nostro comune essere umani, dal fatto che tutti desideriamo essere felici. Poi siamo anche membri della Soka Gakkai che abbiamo il grande scopo comune di kosen-rufu: quale dovrebbe essere il rapporto migliore cui dobbiamo tendere con gli altri compagni e compagne di fede?

    Nakajima: Compagno di fede indica una persona che sta praticando il Buddismo, che sta cercando di comprendere il Buddismo e la vita, perciò se siamo praticanti dobbiamo approfondire la nostra pratica, e migliorare sempre il nostro comportamento come esseri umani. Questo comportamento lo dovremmo verificare in base al Gosho e all’insegnamento del presidente Ikeda, detto questo siamo tutti Bodhisattva della Terra, come dice il Gosho: siamo nati per propagare questo Buddismo, e se ci stiamo impegnando per la felicità degli altri stiamo facendo l’azione del Budda, perciò l’unica relazione cui dovremmo tendere come compagni di fede è quella basata sul rispetto.

    Redazione: Nella tua esperienza personale, come metti in pratica il rispetto verso gli altri?

    Nakajima: Le persone che dalla nascita sanno cosa vuol dire rispetto sono poche. Si può comprenderlo solo vivendo. Non è una cosa formale, ognuno deve ricercare nella sua vita cosa vuol dire rispettare gli altri. All’inizio si pensa di aver capito cosa sia il rispetto, ma non è finita ancora… Io sono stato fortunato, perché durante la guerra e dopo, c’erano molte difficoltà, e io – guardando la gente – cercavo di capire che situazione avessero, quale sofferenza stessero passando. I miei genitori mi hanno insegnato fin da piccolo a mettermi nei panni degli altri. Mi chiedevano: «Se fossi nella situazione di quella persona, cosa faresti?». Quindi in parte me lo hanno insegnato e in parte ho cercato di pensare che ognuno comunque sta facendo uno sforzo per essere felice.

    Redazione: Per esempio, tra responsabili della Soka Gakkai, quando si parla di altri può capitare che si mettano in luce gli aspetti negativi di una persona. Nel Gosho è scritto invece che quando una persona è lodata riesce a superare grandi difficoltà.

    Nakajima: Nella società questa capacità di lodare manca totalmente, ma praticando il Buddismo bisognerebbe cambiare il comportamento. Spesso non succede così: noi pratichiamo e portiamo le cose peggiori della società dentro la Soka Gakkai, ma così roviniamo il Buddismo.

    Redazione: Perché succede questo secondo te?

    Nakajima: Perché non si è insegnato bene il Buddismo e di conseguenza non si è in grado di seguirlo correttamente e si è quindi trascinati dalla società.
    Chi non vuole essere trascinato dalla corrente, fa comunque uno sforzo. Ora le persone, valutando le situazioni, molto spesso vedono tutto negativamente, ma mi chiedo: pur vedendo così, cosa stai facendo tu per cambiare la situazione? Niente? Allora stai in qualche modo sostenendo quelle cose negative. Per migliorare ci vuole un enorme sforzo, e poi magari non si vedono neanche tanti risultati, ma facciamo comunque lo sforzo di trasformarle e alla fine, grazie a questo sforzo, le cose cambieranno. Tante persone dicono che stanno praticando, ma in realtà non stanno mettendo in pratica nulla del Buddismo del Daishonin.
    A noi serve il maestro per praticare bene. Per quale motivo? Non per culto della personalità, ma per migliorare il nostro comportamento come buddisti. Oggi il nostro maestro è vivo, ma un giorno morirà e a quel punto chi sarà il maestro? Non ci sarà più, allora ci sarà il rischio che ognuno inventi e interpreti come vuole. Il presidente Ikeda sta scrivendo moltissimo – naturalmente basandosi sul Gosho – proprio per lasciarci una guida eterna sulla quale basare il nostro comportamento. Molti dicono di seguire il maestro, poi in realtà il loro modo di comportarsi è contrario all’insegnamento del maestro. Molti sono così, perché ci vuole uno sforzo enorme per realizzare giorno dopo giorno quello che ci chiede il maestro.

    Redazione: Spesso si sente la necessità di correggere qualcuno, perché non ha un buon atteggiamento nella pratica, o perché non si comporta bene etc. Quando c’è da correggere il comportamento di qualcuno tu come fai?

    Nakajima: Correggere gli altri è una cosa molto difficile, io non so correggere, l’unica cosa che posso dire è in base al Gosho o a quello che dice il nostro maestro. Possiamo ragionarci insieme: valutare insieme se stiamo usando bene o no il Gosho. Se siamo praticanti, bisogna capire cosa dice il Buddismo, e quello che dice bisogna metterlo in pratica: questo è il nostro movimento.
    Se io penso di essere arrivato, di essere bravissimo allora correggo tutte le persone, ma in realtà non sono perfetto, quindi, come faccio a correggere gli altri? Il punto di partenza è già sbagliato. Se c’è qualcuno che si crede un padreterno allora è inutile praticare, ha già capito tutto lui… Penso invece che ci possiamo correggere uno con l’altro dialogando: possiamo cercare la maniera migliore per praticare, mettendo insieme la mia esperienza e la tua cerchiamo di migliorare entrambi.
    Personalmente non sono capace di usare la parola “correggere”, cerco sempre di controllare la mia arroganza e, di base, ho la tendenza – come dicevo prima – a rispettare gli altri.

    Redazione: Capita anche nella Soka Gakkai che chi ha un atteggiamento così sia ritenuto un po’ debole…

    Nakajima: Lo so. Sarebbe meglio se una persona invece di correggere severamente cercasse di dialogare partendo dal Gosho, cercando di capire l’altro, di approfondire insieme l’insegnamento del Daishonin.
    Ma spesso le cose non vanno così: per essere sicuri e più tranquilli si va alla ricerca di uno schema, di una tecnica. Credo che questo atteggiamento nasca dal fatto che si riesce ad accettare solo persone uguali a noi.

    Redazione: Praticamente noi membri, noi responsabili dovremmo avere un’apertura mentale a 360 gradi, e riuscire a dialogare con ogni tipo di membro della Soka Gakkai mettendo sempre in discussione noi stessi, senza tutta quella sicurezza…

    Nakajima: Infatti. Dovremmo avere principalmente la sicurezza nella Legge mistica.
    Portando avanti la nostra pratica dovremmo diventare sempre più umili. Per accettare la diversità degli altri, la nostra mente dovrebbe essere sempre più aperta. Chi cerca questo atteggiamento si può chiamare “praticante buddista”. Se ci si chiude agli altri si rinuncia a “lucidare” il nostro comportamento come bodhisattva.
    All’inizio della mia pratica ero molto rigido, poi – andando avanti mi è sembrato tutto più complesso, perché le persone non possono essere inquadrate in base all’idea che io mi sono fatto di loro.

    Redazione: Bene, allora nel prossimo colloquio possiamo riprendere il tema delle relazioni interpersonali.

     

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